Dalla pubblicità al potere politico,alle masse piace essere aizzate e illuse. Da promesse inverosimili

C’è una storia in cui starebbe benissimo Elon Musk che salta sul palco di Donald Trump con la maglietta Occupy Mars: è una trilogia di fantascienza scritta da Richard K. Morgan, si intitola Bay City ed è diventata una bella serie televisiva, Altered carbon. Siamo nel 2384 e finalmente l’immortalità sembra a portata di mano, perché la coscienza umana può essere immagazzinata digitalmente e caricata su un supporto inserito sulla colonna spinale: in pratica, ci si trasferisce da un corpo all’altro quando quello originale si deteriora. Però non funziona in modo identico per tutti: solo i ricchissimi “Mat” hanno a disposizione corpi magnifici in cui traslocare e backup della coscienza. Gli altri vengono ingannati, finiscono dentro involucri vecchissimi anche se sono bambini e soprattutto la loro coscienza può essere distrutta. Insomma, come scrisse il giornalista Mark O’Connell in Essere una macchina, inchiesta sui veri transumanisti (inclusi quelli che stanno sperimentando seriamente la duplicazione digitale della propria coscienza), la lotta di classe del futuro sarà per l’immortalità. E sarà molto difficile vincerla.

Non è fantascienza, ci si dice guardando i salti di Elon Musk col cappellino nero con su scritto Make American Great Again: è, semmai, una delle dimostrazioni plateali del potere, e non a caso avviene in supporto di Trump, e non a caso viene dal Villain dei multimilionari, quello che guarda Giorgia Meloni come Sauron guarda le elfe ne Gli anelli del potere (e magari il paragone piacerà alla presidente, per una volta). Magari funziona sempre così, e alle masse piace essere aizzate a distanza, come scriveva Elias Canetti: negli anni, però, sembra che si sia affinata la capacità di far credere a elettori e seguaci di star lavorando per loro, e che quell’America da rendere grande sarà quella di cui godranno, e che le manganellate ai cortei sono per farli stare tranquilli.

Crederci, già. Ci si chiede come sia possibile, ma avviene e avviene ogni giorno. È come quando si prende un aereo pensando ai video di Emirates che circolano sui social, e che mostrano suite con doccia, poltrone zero gravity, scrittoi e lenzuola di lino, e ci si convince ingenuamente che siano per tutti, e non per chi ha svariate migliaia di euro a disposizione per togliersi lo sfizio di andare a Parigi sorseggiando cognac. Poi, come è noto, ci si ritrova con le ginocchia in bocca sugli strettissimi sedili delle compagnie low cost, fradici di sudore perché costretti a infilarsi due giacche sopra tre camicie per non appesantire la valigia e dover pagare il bagaglio in stiva. Avviene, banalmente, perché amiamo essere illusi, e mai ci verrebbe in mente che quei manganelli applauditi da stuoli di commentatori social potrebbero, chissà, abbattersi prima o poi sulle loro teste.

E dal momento che si crede sempre a chi dice di star lavorando per noi, la cosa preziosa di oggi è Julia di Sandra Newman, che esce per Ponte alle Grazie nella traduzione di Claudia Durastanti: è la riscrittura di 1984 di George Orwell raccontata dalla giovane amante di Winston Smith. Ed è diabolicamente interessante, perché mostra i meccanismi con cui il potere agisce sui suoi sudditi, ma dal punto di vista femminile (e femminista). Peraltro, leggendolo, viene da chiedersi se qualcuno si sia mai domandato se la definizione di “partito dell’amore” che Silvio Berlusconi diede di Forza Italia derivi dal ministero dell’Amore concepito dal Grande Fratello. E nel romanzo, se ricordate, era qualcosa di molto simile al nostro ministero dell’Interno. Questo ministero dell’Interno.