Dall'11 settembre 2001, l'Occidente ha associato l'Islam al terrorismo globale. Israele ha sfruttato questa narrativa presentando Hamas come parte del jihad internazionale. Tuttavia, Hamas non ha mai compiuto attacchi al di fuori del conflitto israelo-palestinese. L'analisi di Olivier Roy, esperto di Medio Oriente, in esclusiva per L'Espresso.

Per la soluzione «due popoli, due Stati» è troppo tardi. L’attacco di Hamas contro i civili israeliani del 7 ottobre 2023 ha dato a Israele l’occasione di dare avvio alla diaspora palestinese. A dirlo, durante il festival di Internazionale a Ferrara, è Olivier Roy, professore di Scienze politiche, esperto di Medio Oriente, oggi docente all’Istituto universitario europeo di Fiesole (Firenze).

 

Che cosa è cambiato in modo irreversibile dopo tanti decenni di conflitto tra israeliani e palestinesi? 
«In Medio Oriente c’è stato un conflitto tra Israele e gli arabi fino al 1967. A partire dal 1967 è diventato un conflitto israelo-palestinese e i mancati accordi di Oslo hanno consacrato il dualismo tra Israele e Palestina. Gli accordi e la politica israeliana andavano nello stesso senso, ovvero creavano un equilibrio, che gli israeliani volevano a loro favore, certo, ma con l’intenzione di contenere le forze avverse e creare un perimetro di sicurezza intorno al Paese. Adesso gli israeliani hanno una strategia diversa: espellere, utilizzare e neutralizzare i palestinesi. Non è più una politica di equilibrio, ma di riconquista del territorio compreso tra il Mediterraneo e il fiume Giordano. Non si tratta di un genocidio, ma di un etnocidio: cercano di rendere impossibile la vita ai palestinesi perché se ne vadano e si disperdano per il mondo. La soluzione dei due Stati è morta». 

 

Com’è possibile che gli israeliani facciano ai palestinesi quello che i tedeschi hanno fatto a loro nel secolo scorso?
«È un grande classico della Storia. Chi prende il potere fa soffrire gli altri. Ma non gli stessi che l’hanno fatto soffrire. Gli israeliani hanno trasferito la colpa tedesca sui palestinesi». 

 

Ritiene che tutto l’arco politico israeliano sia complice?
«La destra ha una visione millenaria della Grande Israele, ma la sinistra non ha una politica alternativa, non ha mai fatto nulla per contenere i coloni e impedire la continua erosione dei territori palestinesi. Il 7 ottobre ha fornito a Israele l’opportunità di neutralizzare il popolo palestinese. Nella tradizione israeliana c’era l’idea che a un certo punto si ferma il contrattacco e si mantiene un equilibrio tra le forze, secondo la politica delle linee rosse: ogni parte decide di non andare oltre un dato livello di violenza. Questa politica non esiste più per due ragioni: l’ideologia dominante dell’estrema destra che vuole l’espansionismo israeliano e il fatto che non ci sono più forze militari o politiche che possano impedirne la realizzazione. Quest’ultima è la grande novità: fino a oggi Hezbollah e l’Iran avevano dissuaso Israele dall’attaccare davvero Gaza o il Libano. Ora non più».

 

Ma non esistono Stati che possano impedire l’espansione di Israele?
«Nessuno oggi può o vuole impedire la riconquista israeliana. L’obiettivo israeliano di distruggere la forza militare di Hamas è compiuto. Il secondo obiettivo di neutralizzare Hezbollah è in corso. Il terzo riguarda l’Iran. E all’Iran gli israeliani offrono una scelta. O si ritira dal Medio Oriente o sarà attaccato. La grande novità è l’incapacità militare dell’Iran e di Hezbollah di opporsi a Israele, che, attraverso il Mossad, ha penetrato l’apparato militare e forse anche quello politico di Hezbollah e dell’Iran. Prima del 7 ottobre gli israeliani uccidevano i dirigenti di Hamas e dell’Olp, ma non ottenevano un risultato strategico perché subito dopo l’uccisione di un dirigente ne veniva fatto un altro. Ora, invece, con i cercapersone hanno fatto fuori l’intera catena di comando di Hezbollah e possono colpire l’Iran dove e come vogliono. Hanno assassinato Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, in un edificio dei pasdaran a Teheran, nel cuore della capitale iraniana. L’Iran è più debole di quanto non pensassimo».

 

Perché la sinistra occidentale e gli Stati arabi non si oppongono a questa strategia?
«Dall’11 settembre 2001, l’Occidente ritiene che il problema dietro al terrorismo sia l’Islam. Israele presenta Hamas come parte di questo movimento terrorista e così si mette dalla parte degli occidentali. Ma Hamas non ha mai fatto attentati al di fuori del perimetro israelo-palestinese. E poi ci sono i Paesi arabi: avremmo potuto attenderci una solidarietà forte verso la Palestina, che non c’è stata. C’è uno stato emotivo, ma non ha nessuna conseguenza politica o strategica. Marocco, Emirati Arabi e Arabia Saudita continuano la politica di cooperazione con Israele senza avere problemi con quella che definiamo la “strada araba”. Due i motivi: il fatto che i governi considerino i palestinesi dei disturbatori dell’ordine locale e la morte del panarabismo politico e religioso. Ogni Stato persegue solo i propri interessi. Ad esempio, il Marocco ha negoziato il sostegno a Israele in cambio del riconoscimento della sua sovranità sul Sahara occidentale. Il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, non vuole più essere il punto di riferimento dell’Islam mediorientale. Gli unici che potrebbero dissuadere Israele sono gli Usa, ma non hanno nessuna convenienza a farlo, mentre l’Europa non ha i mezzi di pressione per farlo. È divisa tra una spinta umanitaria a fare qualcosa per Gaza e un punto di vista ideologico per cui l’Islam è una forma di antisemitismo. Dunque è neutralizzata».

 

Cambierebbe qualcosa se Kamala Harris vincesse le elezioni negli Stati Uniti?
«Non cambierebbe nulla perché, in fondo, democratici e repubblicani sono d’accordo nel lasciare mani libere a Israele».