belle storie
La parola scritta per rinascere dopo la perdita
Veronica Tomassini ci ha donato il romanzo “Sangue di cane”. Ora è il momento di restituirle il regalo
Veronica è tornata a casa di nuovo dopo la morte del suo compagno. Veronica ha lasciato la sua casa pulita, ha riordinato ogni stanza, ha lavato la biancheria, ha riempito il frigorifero per gli inquilini che avrebbero occupato quegli spazi ignorando la sua storia, le storie scritte, quelle vissute e quelle perdute per sempre. Ha richiuso la porta alle spalle oggi, come diciassette anni fa, quando interruppe la storia d’amore che ha ispirato il meraviglioso romanzo “Sangue di cane”, di recente ristampato dalla casa editrice “La nave di Teseo”, che ne ha capito l’immenso valore. Veronica Tomassini è la scrittrice italiana, contesa e apprezzatissima all’estero, che ho già raccontato in questa rubrica. Il suo romanzo, ambientato in Sicilia negli anni Ottanta, racconta la storia di una ragazza siciliana che al semaforo incontra e si innamora di Sławek, un uomo serbo bellissimo, senza fissa dimora e alcolizzato, che vive ai margini della società. Che torni in libreria questa storia così sincera e tormentata è un grande regalo ai lettori, i quali, in questi anni, hanno anche imparato ad apprezzarla in un contesto che solo apparentemente sembra starle stretto: i social network, in special modo Facebook, dove ha sorprendentemente radunato una comunità di intellettuali, giornalisti, scrittori e lettori, curiosi ed estimatori. Veronica ha condiviso immediatamente il suo lutto.
Parlare di fede, sofferenza, solitudine, emarginazione, povertà e morte crea spesso una frattura tra l’artista e il suo contesto sociale; l’incomprensione è una reazione comune di fronte a ciò che mette in discussione l’ordine stabilito. Invece Veronica è riuscita in un’impresa impossibile e forse inconsapevole.
«Ho un’incosciente autenticità che mi rende più vicina alle persone. La mia vita cade in pozzi di dolore e per riemergere devo utilizzare la parola, l’unico mezzo che ho, in questa solitudine geografica. Molte volte le cose che racconto sono intrise di dolore, ma aprono una finestra su quello che noi siamo nella profondità. Qualcuno mi accusa di essere una procacciatrice di disgrazie, ma è la mia vita. Io avrei voluto un compagno accanto, una famiglia. Volevo un nuovo amore, l’ho avuto, ma è durato quello che è durato». Il compagno di Veronica è morto lo scorso agosto, mentre lei lo aspettava pregando in Chiesa. Era a Tivoli per provare a costruire un progetto di vita lontano dalla Sicilia. Aveva affittato una casa con i suoi risparmi, una sua lettrice le aveva regalato un pc per potere scrivere, i suoi lettori la incoraggiavano a credere in quella seconda possibilità e poi le si sono stretti accanto quando ha vissuto questa perdita. «Non sono arrabbiata con lui, discuto con Dio. Sapevo che Matteo aveva un disagio importante, forse non sapevo tutto, non avevo la piena consapevolezza, ma è a Dio che chiedo: perché me l’hai tolto?». Veronica avrebbe dovuto festeggiare un grande obiettivo: la ristampa di un libro-testamento di chi ha conosciuto lo smarrimento e la redenzione. Se sono qui a riscrivere di lei è perché sarebbe bello restituirle questo dono letterario: leggetela. «Non era l’ultima parola la porta sbattuta in “Sangue di cane”. Non è l’ultima parola quella che è stata pronunciata a Tivoli. Ci sarà qualcosa di più bello, odoroso, di più fiorito. Anche se annaffiato dalle mie lacrime».