Nuove frontiere
Il pasticcio dei ruoli sullo Spazio
La governance sui voli sub orbitali trasferita da Enac, che già la detiene, all’Asi. Il rischio che il disegno di legge burocratizzi un settore che vive di competenze agili. E concorrenza
Fanno ormai parte della nostra quotidianità le straordinarie opportunità della Space Economy, che alimentano il giro d’affari stimato al 2023 in circa 630 miliardi di dollari, con una proiezione decennale, secondo le indicazioni del World economic forum, che ne prevedono il triplicarsi fino a 1.800 miliardi di dollari o più. I prodotti e servizi “made in Space” come navigatori e comunicazioni satellitari, sono praticamente irrinunciabili, così come lo saranno a breve le cure mediche e i farmaci testati in orbita. Ma non solo. La nuova corsa allo spazio realizza la visione di una umanità che tende ormai, forse naturalmente o forse necessariamente, a divenire “multiplanetaria” e si prepara al grande salto attraverso il primo utilizzo dei voli spaziali e sub orbitali, da alcuni anni aperti anche ai privati, in attesa di poter raggiungere i prossimi insediamenti lunari e poi marziani. E se per mezzo secolo la prima corsa alla conquista dello Spazio è rimasta appannaggio esclusivo degli Stati, con un epico testa a testa tra gli Usa e l’ex Unione sovietica che si è protratto anche oltre la Guerra Fredda, la nuova e attuale sfida che si inserisce nella ribattezzata fase di «rinascimento spaziale», vede l’ormai determinante, se non prevalente apporto delle imprese private, alle quali vengono così affidati sia gli interessi commerciali che di natura pubblica, ivi compresi quelli collegati alle rinnovate esigenze di sicurezza e difesa, tornate al centro anche dell’agenda dell’Unione Europea all’indomani dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina. In tale cambio di paradigma si manifesta necessario e urgente un adeguamento normativo, poiché le ormai storiche convenzioni, maggiormente condivise e ratificate dalla Comunità internazionale tra la metà degli anni Sessanta e Settanta del trascorso secolo, come l’Outer Space Treaty del 1967, pur se ispirate a fondamentali e attualissimi principi di leale e pacifica cooperazione, di mutua assistenza e piena condivisione delle risorse spaziali, non bastano più a tutelare gli enormi capitali privati messi in gioco. Ecco perché ogni Stato che si dota di una legge spaziale ad hoc, aumenta il suo appeal internazionale, quindi la capacità di attrarre investimenti stranieri e così consolidare le partnership fondamentali per poter battere, o almeno contenere, la concorrenza ormai proveniente da ogni angolo del mondo.
Così ai i maggiori player mondiali, si allinea il nostro Paese, attraverso l’adozione della prima legge spaziale italiana, affidata al Ddl approvato il 20 giugno dal Consiglio dei ministri e appunto denominato “Disposizioni in materia di economia dello Spazio”. Tuttavia, se una sistemazione organica della materia si presenta di certo come cosa buona e giusta, la stessa dovrebbe realizzare un impianto normativo capace di sorreggere procedure snelle e pragmatiche, così come da sempre indicato da autorevoli studiosi, personalità ed istituzioni nazionali, e come per altro avviene ad esempio negli Usa, dove a parte lo storico e fondamentale ruolo della Nasa, quale ente tecnico scientifico deputato principalmente al supporto dell’evoluzione industriale spaziale, il rilascio di ogni autorizzazione, permesso e licenza, viene affidato alla Federal aviation administration (Faa), articolazione del ministero dei Trasporti, che cura in tempi relativamente rapidi e attraverso efficienti procedure standard, ogni iter di approvazione sia per gli operatori aeronautici che spaziali. E in Italia? Quale scenario apre il Ddl Spazio? In effetti, come ho avuto modo di rappre- sentare in una mia recente ricerca universitaria, pubblicata sulla rivista dell’Associazione Italia studiosi di Diritto dell’Unione Europea, appunto intitolata “Il Ddl Spazio italiano: le nuove governance, il dubbio sulla disciplina dei voli sub orbitali e l’allontanamento dal modello Usa”, alcune potenziali criticità contenute nel Disegno di legge, potrebbero addirittura rallentare l’intero comparto spaziale nazionale, data l’impostazione altamente burocratizzata ed il cambio non coerente di competenze normative, così come ad esempio nel campo dei voli sub orbitali commerciali, che dall’Ente nazionale aviazione civile (Enac), omologo della Faa, verrebbero attribuite alla direzione dell’Agenzia spaziale italiana, omologo della Nasa, seppur con le dovute differenze e contestualizzazioni.
Ogni attività spaziale dovrà inoltre essere autorizzata con provvedimento di alta amministrazione, affidato al presidente del Consiglio dei ministri, previa articolata fase istruttoria che vede coinvolti in tempi alterni diversi soggetti pubblici, come la stessa Agenzia spaziale italiana, il Comitato interministeriale per le politiche relative allo Spazio e alla ricerca aerospaziale (Comint) e, al bisogno, il ministero della Difesa. Tutte istituzioni dotate singolarmente di impareggiabile competenza ed esperienza, ma poste in tale complesso contesto amministrativo, in un Paese come il nostro avvilito da una cronica inefficienza burocratica, potrebbero trovare non poche difficoltà interlocutorie e partecipative, con ovvie negative ripercussioni sui tempi di decisioni finali, tenendo sempre presente conto come le attività spaziali, soprattutto commerciali, crescono e cresceranno esponenzialmente, con ritmi vertiginosi, unitamente alla mole di richieste di autorizzazioni e permessi vari. Uno scenario più che probabile e per niente auspicabile. E tanto evidentemente non potrà rassicurare né gli investitori stranieri, né le stesse imprese italiane. Anche in tal caso, la soluzione migliore poteva essere rappresentata dal concentrare in unico ente, tutto l’iter di istruttoria ed autorizzazione, come appunto nel caso della Faa statunitense, e come in effetti fino a ieri accadeva nel nostro Paese per la governance dei voli sub orbitali commerciali, in quanto già disciplinati dall’Enac che, con riconosciuta efficienza e competenza, avendo emanato, proprio negli ultimi anni, anche due atti fondamentali, ossia il Regolamento per le operazioni sub orbitali e di accesso allo spazio (Saso), e il Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli spazioporti, in virtù del quale è stato possibile istituire il primo spazioporto italiano presso la struttura di Grottaglie (Taranto) e dove la società Virgin Galactic ha già pubblicamente dimostrato vivo e concreto interesse a esercitare come operatore spaziale.
Eppure, stando alla lettura della bozza di Ddl, pubblicato sulle maggiori testate giornalistiche nazionali già prima della pausa estiva, malgrado il massimo ed ancora perdurante iper riserbo governativo, tale potere regolamentare verrebbe addirittura sottratto ad Enac per essere trasferito per la prima volta in capo all’Agenzia spaziale italiana, per cui quest’ultima, oltre all’enorme mole di lavoro e competenze già proprie, dovrebbe già nel prossimo futuro organizzare ex novo personale, comunque da formare e strutture da dedicare a tale delicatissima funzione normativa. In virtù di tale stravolgimento di governance, si aprirebbe altresì un paradosso istituzionale, che colliderebbe potenzialmente anche con gli inviolabili principi europei di libera concorrenza, laddove l’Agenzia spaziale italiana verrebbe ad esercitare un incompatibile multi-ruolo di ente regolamentatore quanto di controllore e di controllato, di ente partecipante al processo di conferimento di finanziamenti pubblici ma anche destinatario dei medesimi benefici economici, tanto ciò anche in virtù dello storico ruolo, per altro sempre egregiamente esercitato, di supporto non solo alla ricerca, ma anche all’industria spaziale, consolidato attraverso fondamentali e strategiche partnership con aziende pubbliche e private, tanto nazionali quanto internazionali. La speranza è che nelle more dell’adozione del definitivo testo legislativo, si provveda quanto prima ad una prima ed urgente rivisitazione del Ddl, affinché tali ombre non si tramutino in notte fonda, senza stelle e senza Spazio.