Formule scientifiche, leggi ed esperimenti non fanno più paura. È l’ora dei divulgatori che spopolano su social, YouTube e in televisione. E della rivoluzione Stem al femminile

La fisica non fa (più) paura. Non è facile indicare con precisione quando sia successo, quando sia diventata un fenomeno così pop. È semplice, però, capire come sia stato possibile, di fronte alla recente invasione di contenuti di divulgazione scientifica, che i social network abbiano avuto un ruolo essenziale, trasformando anche il linguaggio dei media tradizionali.

«L’interesse per la scienza ha sempre oscillato», afferma a L’Espresso il fisico e divulgatore Carlo Rovelli. «Quando ero ragazzino io, negli anni Sessanta, era molto alto. Si era arrivati sulla Luna e i benefici globali della tecnologia erano ovvi. Penso che l’interesse attuale per le scienze, che mi sembra sia effettivamente maggiore di vent’anni fa, sia parte di queste oscillazioni. Nasce da un bisogno di strumenti per capire il mondo».

Secondo il professore, oggi la scienza è un po’ più saggia dello scientismo ingenuo del passato: «Nessuno crede più che il mondo sia comprensibile solo in termini di particelle e forze. La scienza si è quindi liberata dalla superficialità che aveva ereditato dall’eccessivo ottimismo dell’illuminismo o della fascinazione ottocentesca per il progresso. Riconosce la complessità, le emozioni, la parzialità dei punti di vista. Riesce a offrire coordinate plausibili per pensare a noi stessi e alla realtà». 

A cambiare rispetto a un recente passato, in cui molti si sono appassionati alla fisica attraverso Carl Sagan, Richard Feynman o Stephen Hawking, è soprattutto la percezione delle materie scientifiche nella quotidianità, la necessità di un annullamento delle distanze. «Quando quaranta anni fa in Italia la comunicazione scientifica era fatta da professionisti che intimidivano il pubblico, l’innovazione di Piero Angela è stata restare semplice, amichevole», sostiene Filippo Bonaventura, astrofisico e coordinatore editoriale della redazione di Geopop: «Oggi quell’approccio si è evoluto grazie ai social e grazie a uno stile di comunicazione che va anche oltre il linguaggio stesso e mira a spiegare concetti complessi come si potrebbero spiegare ai propri amici». È un equilibrio nuovo tra rigore scientifico e approfondimento, affrontati eliminando ogni barriera: «Questa è la sfida che prima non c’era, comunicare come se fossimo nella stessa stanza», da pari a pari.

Geopop è una community di divulgatori scientifici che conta 3,1 milioni di follower solo su Instagram e 2,7 milioni di iscritti su YouTube, dove i video resistono oltre la soglia di attenzione dei sessanta secondi. Non è però l’unica testimonianza di questa ondata mainstream che ha investito la fisica e le materie Stem. Ne è una prova l’immediata riconoscibilità del professor Vincenzo Schettini, @lafisicachecipiace, anche per chi ha meno familiarità con i social.

«Avverto anche io questa sorta di curvatura verso la parte più pop e divertente di tutta la scienza, già da tempo», conferma Schettini. «Noi italiani però forse siamo un po’ in ritardo, perché il fermento su YouTube era presente già quindici anni fa, quando io stesso studiavo i canali inglesi di fisica. Ho sentito poi l’eco di ciò che stava accadendo e l’ho reinterpretato a modo mio. L’esperimento cioè è arrivato dopo, ma sono nato con le lezioni più tradizionali: la formula, l’unità di misura, la lavagna». All’inizio Internet è stato soltanto un mezzo, per poi diventare l’elemento di trasformazione della comunicazione stessa. «Tutto è cambiato quando ho cominciato a pensare al mondo degli adulti, che non ha l’esigenza di risolvere la formula, perché non deve fare l’interrogazione, ma desidera capire meglio aspetti della quotidianità, come cosa fare quando i vetri dell’auto sono appannati», anche se i social da soli non bastano. Da qui anche la scelta di pubblicare due libri, “La fisica che ci piace” e “Ci vuole un fisico bestiale” (Mondadori Electa) - di cui il primo ha superato 100mila copie -  o con le lezioni di fisica a teatro e l’approdo in Rai con “La fisica dell’amore”: le modalità di espressione cambiano, ma la domanda di approfondimento resta. E interessa anche un pubblico non scontato, quello giovanissimo e femminile, motivo per cui nascono realtà come Generazione Stem, progetto editoriale di La Piazza Group e community scientifica per l’empowerment delle studentesse.

«Solo il 5 per cento delle ragazze italiane immagina una carriera in ambito Stem», sottolinea la fondatrice Alessandra Cravetto. «Il nostro lavoro nasce proprio per avvicinarle alle materie, dimostrare che non è vero che non sono adatte alle donne», anche perché «oggi là fuori ci sono milioni di possibilità, molti corsi universitari diversi, ma ci sono pochissime situazioni oppure pochissime persone, professori compresi, che aiutano a barcamenarsi in questa scelta».

Generazione Stem, nata solo un anno fa, traduce l’onda di interesse online in un impegno offline, soprattutto all’interno delle scuole, grazie a un gruppo di collaboratrici che «fanno da testimonial del proprio percorso». «Sono ragazze che hanno pochi anni in più rispetto a quello che è il loro pubblico sui social network, perciò studentesse e studenti si sentono anche molto più coinvolti e osano anche di più», prosegue Cravetto. «Fanno domande che di solito non osano fare a un professore o a qualcuno più grande che non ha le stesse loro modalità di comunicazione. È così che si crea vera vicinanza, vero scambio». Pur svolgendo una diffusa attività di mentoring, recruiting e orientamento scolastico, quindi, Generazione Stem è un progetto pensato con una strategia precisa, la costruzione di una comunità social, volutamente pop: «Se parli con una ragazza tra i 14 e i 20 anni e le chiedi di nominarti un giornalista della carta stampata o un giornalista della televisione spesso non ha idea di cosa rispondere. C’è un totale distaccamento tra la nuova generazione e i media tradizionali di informazione. Allora se vuoi arrivare agli adolescenti devi usare il loro linguaggio e devi usare content creator che sono nati con gli stessi strumenti, che ragionano con la stessa velocità». È così che oggi Generazione Stem conta più di 90 collaboratrici che «normalizzano la presenza delle donne nelle materie Stem», semplicemente portando la loro esperienza, dicendo «se ce l’abbiamo fatta noi potete farcela anche voi».

Per notare, tuttavia, i primi cambiamenti concreti dell’ondata pop delle scienze e della fisica sui dati dell’istruzione italiana ci vorrà ancora tempo. Secondo l’Istat nel 2023 solo una persona su quattro (25 per cento) tra i 25 e i 34 anni ha una laurea nelle discipline scientifiche e tecnologiche (Stem). Tuttavia si tratta di un dato medio che se scomposto per genere sale al 37 per cento per gli uomini e scende al 16,8 per cento per le donne. Tra le indagini più recenti, uno studio dello scorso luglio sulla rivista scientifica femminista Sex Roles ha confermato come questi dati si riflettano anche fuori dall’Italia e siano dovuti a pregiudizi di genere già alla scuola materna.

Qualcosa sta però cambiando. «Penso sia una dinamica che riflette la consapevolezza di quanto capire un po’ di più il mondo intorno a noi generi meraviglia e gratificazione: dare risposte a domande che non avremmo formulato ma che ci riguardano», afferma Ersilia Vaudo a proposito di questo bisogno crescente nel pubblico di riavvicinarsi allo studio delle scienze. Astrofisica, dal 1991 all’Agenzia spaziale europea, lo scorso maggio ha pubblicato per Mondadori Ragazzi, “Perché studiare fisica (non) è complesso”, lettura agile dedicata ai giovanissimi, bambini e bambine da considerare tutti «piccoli esploratori, con l’istinto a fare domande e a non fermarsi alle prime risposte». Preceduto dal saggio “Mirabilis” (Einaudi), il libro è una testimonianza personale dell’avvicinamento alla materia e rientra in una più ampia attività di divulgazione di Vaudo, che soprattutto dal suo TED Talk del 2015 sulla resilienza dell’universo, si apre a un pubblico sempre maggiore: «È da allora che le richieste di raccontare le meraviglie di una realtà, quella cosmica, che ci prescinde ma a cui apparteniamo, sono state tante». Questo interesse, fortunatamente, si sta traducendo in una nuova consapevolezza, soprattutto delle studentesse, sull’impatto a breve termine delle materie Stem: «Dal cambiamento climatico alle questioni energetiche, sono questi gli spazi dove si immagina e si rende possibile il futuro. Per esperienza diretta, un numero sempre crescente di ragazze vuole intraprendere le carriere spaziali. E il futuro ha bisogno dei talenti di tutti».