Purtroppo la quarta stagione della serie dei record ha perso il fuoco dell’esordio. E inizia a ricordare “Terra Amara”

Non c’è niente di male nell’allungare il brodo, ci mancherebbe, accade nelle migliori famiglie e figuriamoci se non è accettabile nelle serie televisive. Ma a tutto c’è un limite. Persino al dado nella pentola. E questa è la sgradevole sensazione che rimane quando ci si approccia alla quarta stagione di “Mare fuori”, che dopo un debutto decisamente convincente ha cominciato a perdere pezzi, verosimiglianza e convinzione anno dopo anno. 

 

Un impoverimento inversamente proporzionale al suo successo e a quello dei piccoli divi che lo interpretano. D’altronde non è neppure colpa loro perché, come insegna l’immortale Jessica Rabbit, li disegnano così. Per le coppie di innamorati le frasi ispirate da bigliettini da cioccolatino sono state utilizzate come i trasferelli direttamente sul copione: «In questo mare che ti porti dentro, ti voglio tenere per mano», «L'amore è come il fuoco. O ti scalda il cuore o ti brucia la casa», «L'amore fa male dall'inizio alla fine. Questo è l'amore». E così via. 

 

Praticamente la serie italianissima dei record (1.136.202 visualizzazioni in sole due ore che hanno fatto crollare RaiPlay) ha indossato la maschera di Diabolik e con un morphing spiazzante si è travestita da “Terra Amara”. Insomma una sorta di soap opera, dove i sentimenti si raccontano con gli occhi sgranati, l’emozione con la bocca aperta, e i cattivi con la mascella stretta. 

 

Nella sceneggiatura troppe cose non tornano: un carcere minorile dove le cabine armadio sembrano essere più grandi delle celle (c’è chi possiede persino l’abito per il lutto) e in cui si entra e si esce con facilità, persino per festeggiare il compleanno al ristorante. Un ospedale che vanta più camorristi che chirurghi, dove nonostante piantoni davanti alle porte e telecamera di sorveglianza ovunque ci si muove con agio, si ammazza e si torna in corsia giusto per fare sesso con chi passa da quelle parti. E soprattutto dinamiche semplificate allo stremo, gravidanze di redenzione e passati raccontati con l’evidenziatore, incursioni nel brutale non funzionali al racconto. 

 

Ma anche questi potrebbero essere dettagli trascurabili. Se non fosse che in questo minestrone di criminalità cartonata e buoni sentimenti si è perso il senso primario, importante, dell’intera operazione originale. Che era il fuoco e l’urgenza. Il racconto di quelle vite, pronte a essere spezzate da un destino immanente. E soprattutto lo spazio, conquistato a forza, per dare voce al presente, cacciando con un grido il male che veniva da lontano. Ecco, tutto questo è volato via. Per lasciare il campo alle Zuleyha e agli Yilmaz. A cui mancano praticamente solo i baffi.

 

 

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DA GUARDARE 
“Ragazzo divora universo” (Netflix) è come una matrioska che racconta una storia che contiene un’altra storia e così via. Alla fine si arriva non si sa bene dove. E in questo viaggio spiazzante ma paradossalmente molto convincente, gli occhi del dodicenne Eli (Felix Cameron) ti rimangono puntati addosso.

 

MA ANCHE NO
Memo Remigi chiede scusa. A Diaco che lo ospita e alla Rai. Ai telespettatori e ai telecomandi. Ai vicini di casa e ai passanti. Probabilmente anche alla preside. All’appello manca solo Jessica Morlacchi che si ritrovò la sua mano addosso in diretta. Ma non si può mica pretendere che tocchi anche a lei.