Pane al pane
Carlo Cottarelli: «Il governo non ha alcuna idea di come fare le privatizzazioni»
Si prevedono 21 miliardi di euro di entrate dalla dismissione di imprese pubbliche. Senza, però, specificare la strategia che s'intende seguire. Probabilmente perché una strategia non esiste
Il governo ha incluso nel piano di finanza pubblica per il triennio 2024-2026 ben 21 miliardi di entrate da privatizzazioni e il dibattito su questo tema si è riacceso. Era un po’ che non se ne parlava, soprattutto perché, ormai da anni, le entrate da privatizzazioni sono quasi nulle. Già di per sé, però, il fatto che si parli di privatizzazioni solo in termini di entrate ci dice molto sulla mancanza di una chiara idea sul ruolo che le imprese pubbliche debbano svolgere in Italia.
Ora, si possono avere diverse idee su questo tema. Anni fa, quando come commissario per la spending review curai un rapporto sulle partecipate locali, presentai il mio punto di vista: la proprietà da parte di un ente pubblico di un’impresa è giustificata solo quando il settore privato non può, per motivi che devono essere evidenti e non solo presunti, svolgere una certa attività necessaria per l’economia e la società. In ogni caso, la priorità per lo Stato (e altri soggetti pubblici) è quella di fare bene i propri compiti tradizionali (giustizia, sanità, educazione, tassazione, eccetera) prima di dedicarsi all’attività imprenditoriale. E siccome nel nostro Paese il pubblico ha parecchie difficoltà a gestire bene tali compiti, dovrebbe pensarci due volte prima di fare altro.
Altri pensano, invece, che le imprese pubbliche debbano sempre avere un ruolo strategico nello sviluppo di un Paese. Lo Stato imprenditore, in questa visione, non è un’anomalia ma la normalità: senza la presenza di imprese pubbliche un’economia è destinata al sottosviluppo, o quasi, per mancanza di investimenti strategici che indirizzino quelli privati.
Ovviamente esiste un’infinità di posizioni intermedie, o più estreme, rispetto a queste due visioni, posizioni che vanno dal far west economico o, per essere più attuali, dall’Argentina di Milei all’Unione Sovietica. In buona parte, prendere una specifica posizione in questo continuum di visioni è una scelta politica che riflette diverse opinioni sul funzionamento del capitalismo. Ma, qual che sia, è importante avere una visione e il recente dibattito rivela che il governo (e anche molti esponenti dell’opposizione) una chiara visione non sembrano averla.
Si vogliono raggiungere entrate nette da privatizzazioni per 21 miliardi, ma non è chiaro cosa si voglia vendere, neppure in termini generali (per esempio imprese più esposte o meno esposte alla concorrenza internazionale?). Si vuole comunque mantenere una quota di controllo nelle società attualmente possedute? Perché si vuole vendere Ita e Monte dei Paschi, ma Urso ha parlato di investire in Stellantis? E perché l’investimento minoritario in Tim/Netco? E l’Ilva? Sarebbe una acquisizione temporanea o permanente? E che si intende fare con le partecipate locali, che sono ancora migliaia, ma sulle quali ormai da anni il Mef fornisce informazioni col contagocce? E, aggiungo provocatoriamente, ma neanche tanto, perché non privatizzare anche la Rai viste le polemiche eterne sul suo uso politico?
Insomma, un po’ di chiarezza sul ruolo che questo governo pensa debba avere lo Stato imprenditore non sarebbe male. Al momento manca una strategia, il che mi fa pensare che i 21 miliardi siano stati messi nel quadro di finanza pubblica solo per evitare l’imbarazzo di mostrare un rapporto tra debito pubblico e Pil in crescita nei prossimi tre anni. Questa è la sola scelta strategica.