Mezzo milione a Gaza, 25 milioni in Sudan. Le persone che rischiano la vita sono aumentate in maniera esponenziale con l'emergenza Covid e non sono diminuite con la fine della pandemia. Mentre a calare sono stati i fondi del Wfp

«Non c’è più acqua potabile, mio figlio di cinque anni ha preso una infezione intestinale perché ha bevuto acqua sporca. Ed è debilitato, perché non mangia a sufficienza. Non abbiamo cibo e non so come faremo a sopravvivere, ammesso che non ci uccida una bomba». Hadia è viva. Il messaggio arriva dopo dieci giorni di silenzio, in cui nessuno sapeva se fosse viva o morta in quella Striscia di Gaza ancora sotto attacco. E sarà proprio Gaza una delle grandi emergenze del 2024 secondo il Programma alimentare mondiale (World Food Programme). «Gli ultimi rapporti ci dicono che a Gaza un quarto della popolazione, oltre mezzo milione di persone, vive a livelli catastrofici di insicurezza alimentare e rischia la morte per fame. Quattro persone su cinque che nel mondo oggi rischiano la carestia vivono nella Striscia di Gaza». A spiegarlo è Emanuela Cutelli, responsabile comunicazione per l’Italia del World Food Programme (Wfp), l’agenzia dell’Onu che a inizio gennaio ha fatto un’analisi delle diverse crisi che caratterizzeranno il 2024.

 

«Conflitti e cambiamenti climatici continuano a segnare profondamente e tragicamente molte parti del mondo. E purtroppo l’assistenza umanitaria rimane la sola salvezza per milioni di persone», dice ancora Emanuela Cutelli. «Nel 2024, secondo i dati delle Nazioni Unite, circa 300 milioni di persone in 72 Paesi avranno bisogno di assistenza e protezione umanitaria. Per esempio in Sudan, dove a causa del conflitto scoppiato lo scorso anno, più della metà della popolazione, circa 25 milioni di persone, necessita di aiuti. Non bisogna dimenticare poi il Sahel, con Burkina Faso, Mali e Niger osservati speciali a causa di conflitti e instabilità. E si potrebbe continuare con Haiti, Afghanistan, Myanmar, Sud Sudan, Corno d’Africa, Siria, Yemen». Proprio in queste settimane lo Yemen e il Mar Rosso sono diventati scenario dell’ennesima contesa internazionale. Nell’area medio orientale ci sono anche la Siria e l’Afghanistan. Entrambi i Paesi hanno problemi di instabilità e povertà estrema, eppure proprio lì il programma alimentare mondiale ha dovuto ridurre drasticamente il suo operato.

 

«Il World Food Programme deve adattarsi a un difficile contesto globale», spiega Cutelli. «A causa di una crisi di finanziamenti, ricordiamo che il Wfp è finanziato esclusivamente su base volontaria, dall’anno scorso siamo stati costretti a ridurre la quantità di assistenza in circa la metà di tutte le nostre operazioni sul campo. Parliamo, per esempio, di Afghanistan, Siria, Somalia, Burkina Faso, Libano, giusto per citarne alcune. I tagli purtroppo continuano, anche se la fame acuta è rimasta a livelli record in un mondo post-pandemia. Nel 2023, il numero di persone la cui vita è stata segnata dalla fame acuta è rimasto a grandi linee lo stesso dell’anno precedente, circa 333 milioni di persone, sempre però 200 milioni in più rispetto ai livelli pre-pandemici. Siamo in un momento molto critico, in cui dobbiamo ridurre l’assistenza e dare priorità ai più bisognosi tra i bisognosi». In questo modo, però, il rischio è di entrare in un doom loop, cioè un pericoloso circolo vizioso in cui si fornisce assistenza a chi sta a un passo dalla morte per fame a scapito di milioni di persone affamate. Le quali, però, a loro volta, senza assistenza, scivoleranno sempre di più nella fame acuta, rischiando di morire. «In Afghanistan – dicono dal programma alimentare mondiale – ora riusciamo ad assistere solo 3 milioni di persone al mese, nel 2022 erano 23 milioni. In Siria, da 5,5 milioni di persone siamo scesi a 3 milioni nei mesi passati e da gennaio ci sono stati ulteriori tagli nella quantità di assistenza erogata. In Somalia, un Paese alle prese con una grave crisi alimentare, sono ora 2,4 milioni le persone che riusciamo ad assistere rispetto ai 4,7 milioni del passato».

 

Sono numeri, sono cifre che sembrano poco o nulla legate alle questioni politiche contingenti dei singoli Stati. Eppure, sono proprio questi fattori a influenzare le dinamiche globali e di conseguenza le questioni che l’Europa e l’Italia dovranno affrontare. Prima fra tutte la migrazione. La crisi alimentare, infatti, è uno dei fattori che spingono intere popolazioni a spostarsi. «Secondo il Global Humanitarian Overview per il 2024, una persona su 73, nel mondo, è sfollata» – spiega ancora Cutelli – «è una percentuale quasi raddoppiata negli ultimi dieci anni ed è il numero in assoluto più alto dall’inizio del secolo. Bisogna anche ricordare che la maggioranza degli sfollati e dei rifugiati rimane nel continente di origine e che solo una minima parte di persone prende la decisione di migrare in un diverso continente». Le motivazioni sono banali quanto fondamentali. «Se si vive in un Paese in conflitto, se non si ha la sicurezza di poter sfamare i propri figli ogni giorno con cibo sufficiente e adeguato. Se mancano le condizioni per una vita in salute, se, anche a causa del cambiamento climatico, siccità ricorrenti seguite poi magari da alluvioni devastano i terreni agricoli e uccidono il bestiame. Se i mezzi di sostentamento vengono meno, aumentano le possibilità per una famiglia di prendere la difficile decisione di migrare». Con ogni mezzo, con ogni risorsa, con l’obiettivo di sopravvivere e trovare un futuro per i propri figli. «Ogni giorno ci sono in movimento, nel mondo, 6.500 camion, 20 navi e 140 aerei del Wfp che trasportano assistenza alimentare», racconta ancora Cutelli. «Continuare però a rispondere alle emergenze senza affrontare le cause alla radice delle crisi alimentari significa perpetuare un circolo vizioso. È fondamentale, quindi, non solo salvare vite umane nelle emergenze, ma anche potenziare la resilienza delle comunità e investire in progetti a medio e lungo termine». Se le comunità non riescono a fare fronte a shock e fattori di stress, le conseguenze potrebbero essere ulteriori migrazioni, conflitti e destabilizzazione.