Alla fine è venuto il tempo della paura e dei veleni. Delle elezioni in Sardegna perse, della sconfitta del candidato di Fratelli d'Italia Paolo Truzzu, del tracollo della Lega e della resurrezione di Forza Italia: resta un monumento alle paure di Giorgia Meloni. Ossessionata dai nemici interni e costretta a minimizzare dietro alle battute e a un sorriso sfoggiato all'incontro con i corrispondenti della stampa estera: «Abbiamo perso le elezioni in Sardegna ed è pure Quaresima, non posso nemmeno affogare i miei dispiaceri nell'alcol». La maggioranza tenta di blindarsi nella fortezza vuota di una nota congiunta firmata ieri all’ora di pranzo dalla premier, Antonio Tajani e Matteo Salvini: «Abbiamo perso per meno di 3 mila voti – scrivono – le liste hanno sfiorato il 50% e non emerge un calo di consenso per il centrodestra».
«Un fatto locale», pare abbia scritto Giovanbattista Fazzolari, secondo Il Fatto Quotidiano, sulle chat di Fratelli d'Italia a chi chiedeva: «Come ci dobbiamo comportare». Ma bisogna soffermarsi sulle battute della premier ieri sera per capire che, in fondo, la sconfitta in terra sarda scotta un'alleanza già provata da vari strappi: «Le cose che mi fanno arrabbiare di più sono la slealtà, l'umiliazione e perdere a burraco, cosa che ultimamente mi sta capitando spesso, segno che quest'anno non è proprio partito benissimo». Di tutta la rovinosa vicenda della Sardegna è questo che soprattutto le brucia: il modo, il tempo dell'agguato. La slealtà dopo sospetti sui voti disgiunti orchestrati da Salvini che adesso pensa di poter dare le carte sul tavolo. Accuse che Andrea Crippa rimanda al mittente. «L'errore è stato catapultare in Sardegna un candidato scelto da Roma senza ascoltare il territorio», dice di fronte ai cronisti in Transatlantico il vicesegretario del Carroccio. «Basta guardare i numeri per capire che il disgiunto lo hanno fatto anche molti elettori di Fdi». La maggioranza è incrinata e le crepe sono visibili anche nelle prime pagine dei giornali di casa.
Su Libero, Mario Sechi, ex portavoce della Premier, lancia alcune bordate: "Truzzu è il primo vero errore di valutazione fatto da Giorgia Meloni da quando è premier. Siamo all'inizio di un Bing Bang", scrive nel suo editoriale. "Autogol del centrodestra", scrive Il Giornale di casa Berlusconi che specifica: "Il voto disgiunto condanna il candidato Truzzu", che poi prosegue: "La polvere resta sotto il tappeto. Ma inizierà a uscire già oggi, quando i big di Fdi, Lega e Fi si ritroveranno tutti insieme per il tavolo sugli enti locali che discuterà delle prossime candidature alle amministrative".
E infatti, il giorno dopo basta leggere le cronache dell'incontro della maggioranza per rintracciare veleni e disaccordi. Sulla Basilicata, dove il forzista Vito Bardi cerca la ricandidatura, c'è il passo fermo di Forza Italia: «Noi siamo per Bardi, con una convergenza più ampia», ribadisce Maurizio Gasparri attorno al tavolo del centrodestra per le amministrative e sottolinea che oltre al nome bisogna creare «le condizioni per vincere». «Non ci sono preclusioni di Fdi» assicura Giovanni Donzelli. Ma di traverso si mette la Lega che vorrebbe Pasquale Pepe. «Noi non siamo disponibili», replica Gasparri. A quel punto Donzelli fa sponda con Forza Italia: «In questo momento di difficoltà, è meglio non aprire altri conflitti». I meloniani non vogliono concedere niente alla Lega. Così, a fine riunione, Donzelli dichiara: «Nessuna preclusione su Bardi». Eppure la Lega è ancora dubbiosa. Si potrebbe anche fare, mollare la Basilicata, in cambio della riconferma di Luca Zaia. «Ma è Meloni a frenare», fanno sapere dal Carroccio.
E non è solo questo. L'asse Forza Italia-Fdi è fragile, si materializza solo sulla Basilicata. Donzelli ieri si sarebbe rivolto così a Gasparri, secondo il Fatto Quotidiano: «Ho letto un’intervista di Giorgio Mulè in cui se la prende con l’arroganza di Meloni: finché si attacca Truzzu ci posso anche stare, ma se poi si attacca Giorgia lei si incazza. Fermatevi o se no iniziamo noi». Si riferisce a un'intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica: «Non si devono fare prove di forza pesando i voti su elezioni differenti», aveva detto il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè. Gasparri di fronte al monito di Donzelli cerca di parare il colpo: «Hai ragione, ma Mulè è una testa di c... ora gli telefono subito». Ma nessuno si fida di nessuno. E quindi si naviga a vista.
E sulla prossima sfida: l’Abruzzo, il 10 marzo dove il candidato è il meloniano Marco Marsilio. Le ombre di tradimenti spingono a rinviare al 12 marzo la decisione sul terzo mandato, fortemente voluto dalla Lega. Il messaggio è chiaro: dovete stare buoni o salta tutto. («Un conto è essere arroganti, un altro è essere infami...», dicono dal partito di Meloni).
E poi c'è una scadenza più di tutte alle quale guardano Meloni, Salvini e Tajani. Ed è quella delle Europee, dove il "si vince insieme e si perde insieme" si svolge di fronte al sistema di voto proporzionale. E la presidente del Consiglio, assicurano, è sempre più tentata di guidare la partita in tutte le circoscrizioni per dimostrare che la sua leadership è salda. Sarà anche per questo che il capogruppo di Fratelli d'Italia invita tutti alla prudenza nel valutare questa sconfitta. «Rivediamoci l'11 giugno e ne parliamo», afferma. Tanto più che i sospetti sui voti disgiunti orchestrati da Salvini aumentano di ora in ora a Palazzo Chigi.