Prima un referendum ha bocciato l’allargamento degli impianti Tesla. Poi le proteste crescenti contro il trattamento dei lavoratori e le vendite che vanno male. L'accoglienza trionfale che era stata riservata all'uomo più ricco del mondo sembra un ricordo del passato

Sono lontani i tempi in cui Elon Musk veniva accolto a Berlino come Re Mida, vezzeggiato dai media e osservato con ammirazione dai boss dell’auto tedesca. Quando nel 2019 vinse “Il Volante d’Oro” per il modello 3 di Tesla, il premio con cui il gruppo Axel Springer incorona la migliore auto dell’anno, fu lo stesso Hebert Diess – all’epoca ceo di Volkswagen – a premiarlo. Nella stessa occasione il patron di Tesla annunciò di avere scelto un posto vicino a Berlino come sede della sua gigafactory europea. L’entusiasmo fu grande. L’enfant prodige sceglieva proprio la capitale tedesca per portare l’auto del futuro nel cuore d’Europa.

 

Da allora sono passati poco più di quattro anni. La luna di miele tra il fondatore di Tesla e la Germania si è conclusa poco dopo l’apertura a tempo di record della fabbrica di Grünheide, 40 chilometri a Sud-Est di Berlino, inaugurata assieme al cancelliere Olaf Scholz a marzo del 2022, dopo appena due anni. E la settimana scorsa si è consumato l’ultimo epilogo sentimentale. La comunità di Grünheide ha scelto in un referendum dai risultati schiaccianti di negare il consenso a un allargamento ulteriore della proprietà della gigafactory. Tesla vorrebbe estendere il suo sito produttivo attualmente di 300 ettari, di altri 170, sacrificando ulteriori 100 ettari di bosco. Il 65% dei due terzi della popolazione invece ha votato contro. Il risultato non è vincolante ma le autorità locali non potranno non tenerne conto, soprattutto in tempi di elezioni. Il sindaco Ane Christiani si è detto soddisfatto dell’alta affluenza ma «infastidito dal fatto che non sembra sia stato possibile mostrare ai cittadini che progetti infrastrutturali molto importanti – come la nuova strada statale L386 o il piazzale della stazione – fanno parte del piano di sviluppo» di Tesla. Ma le ragioni dei contrari hanno prevalso. A preoccupare, oltre all’abbattimento dei cento ettari di foresta, è il consumo d’acqua della fabbrica, in una regione che negli ultimi 5 anni ha sofferto lunghi periodi di siccità, come sostiene il Consiglio delle Acque di Strausberg-Erkner. Fonti di Tesla riferiscono che per ogni auto prodotta si consumano 1.800 litri di acqua. In un sito che ne sforna 6.000 a settimana (e 300.000 all’anno) i conti sono impietosi: 11 mila metri cubi a settimana di consumo d’acqua. Secondo il settimanale economico Wirtschaftswoche i tedeschi vogliono restare un Autoland «ma non vogliono rinunciare a un pezzo di natura per questo, non vogliono nemmeno cantieri né alcun pericolo per le falde acquifere. Probabilmente vogliono che le auto elettriche crescano sugli alberi. Va bene l’industria ma not in my backyard».

 

 

Tesla ha reagito con distacco al referendum. «Non ci sono implicazioni per i futuri piani di espansione», ha spiegato Rohan Patel, responsabile di Tesla in Germania. «Rispettiamo pienamente il referendum e concordiamo che questa è una buona opportunità per raddoppiare il nostro lavoro con la comunità», ha continuato il manager di Tesla. La linea politica del governo regionale è di «accettare il referendum e trarre le necessarie conseguenze», cioè migliorare la comunicazione con la comunità, ha detto il governatore Spd Dietmar Woidke. In realtà a pesare non è stata tanto la trasmissione delle informazioni, quanto l’incrinarsi del rapporto di fiducia. La velocità supersonica dei lavori, proseguiti anche in assenza di permessi ufficiali, con la copertura di una classe politica onorata di ospitare la «fabbrica del futuro», ha provocato una reazione di fastidio nella comunità. Si è sentita scavalcata. La diffidenza è poi cresciuta quando i primi nodi nei rapporti di lavoro sono venuti al pettine. Lo scorso settembre un migliaio di persone hanno scioperato nella gigafactory lamentando le cattive condizioni di lavoro. «Da tempo ci preoccupiamo della sicurezza sul lavoro nel sito di Tesla a Grünheide», ha detto il responsabile di IG Metall Dirk Schulze. Obiettivi di lavoro eccessivi, carenza di personale, mancanza di sicurezza con effetti negativi sulla frequenza di incidenti sono le principali rimostranze del sindacato. Ma il caso tedesco non è isolato. In Svezia i sindacati sono entrati in sciopero contro Tesla a fine ottobre e ora hanno deciso di proseguire la vertenza per il rifiuto dell’azienda di sottoscrivere un accordo salariale collettivo. Anche questa è l’Europa.

 

Intanto gli affari in Germania non vanno più così bene per l’azienda americana. Dopo un 2023 radioso, con un più 38% di auto fornite e poco più di 1,8 milioni di veicoli venduti, il 2024 si annuncia con previsioni di crescita nettamente inferiori. L’azienda ha dovuto incassare due brutti colpi: Hertz e Sixt – i due giganti dell’autonoleggio – hanno deciso di tagliare Tesla dalla lista dei fornitori delle rispettive flotte. «Desideriamo informarvi che al momento non stiamo acquistando altri veicoli Tesla e stiamo riducendo il numero di veicoli Tesla nella nostra flotta», scriveva Sixt a dicembre. L’alto costo di riparazione dei veicoli elettrici è il motivo principale della decisione. Ma anche Sap, la principale azienda tedesca di software, ha escluso Tesla dai suoi fornitori di auto di servizio: troppo imprevedibile la sua politica dei prezzi, che rende a sua volta imprevedibile la rivendita sul mercato dell’usato, e le altrettanto imponderabili condizioni di fornitura. Tesla insomma vive una crisi nella crisi. Una fase di arresto in un mercato – quello dell’auto elettrica – che dà segni di frenata. Anche Mercedes-Benz pochi giorni fa ha rivisto la sua politica: la previsione di ottenere il 20% dei ricavi entro il 2023 dal comparto elettrico è fallita, ci si è fermati al 12%, quindi dal 2030 non si produrranno più solo auto elettriche come previsto. Addio all’Electric only strategy. Una battuta d'arresto per tanti, quindi. Ma vederla sul volto di Elon Musk fa più effetto.