Space economy
Perché l'investimento di Intesa sulla Space X di Elon Musk va osservato con attenzione
L’Istituto ha scommesso sull'azienda dell'uomo più ricco del mondo, la cui valutazione di mercato supera i 130 miliardi di dollari. Una scelta in linea con operazioni al fianco della filiera italiana impegnata nel settore
Intesa Sanpaolo investe su SpaceX, propaggine spaziale di Elon Musk. Via da sarcasmi dolceamari – occhi sull’Italia, ma portafoglio all’estero – l’operazione è significativa. Reso noto il 9 ottobre, cioè pochi giorni dopo aver saputo che il lanciatore (in larga parte italiano) Vega C non tornerà a volare prima di un anno, l’investimento testimonia l’attenzione della più grande banca italiana alla space economy, un settore con ampi margini di crescita e in cui il Paese è fra i primi al mondo.
Non è un caso, ricordano i vertici dell’istituto in una nota a L’Espresso, che Intesa Sanpaolo supporti da tempo «l’ecosistema spaziale italiano; è dello scorso anno l’operazione di finanziamento alla campana Space Factory (due milioni di euro per il completamento e lo sviluppo del minisatellite Irenesat Orbital e per i servizi in orbita per esperimenti scientifici, ndr) e numerose sono le iniziative sul territorio a sostegno delle startup dell’aerospace, per promuoverne la crescita e la competitività. La Banca è infine partner di Leonardo e Thales Alenia Space, nell'European digital innovation Hub Damas, e partecipa allo Space finance lab della Bei», la Banca europea per gli investimenti.
Sull’entità dell’investimento su SpaceX non ci sono indicazioni ufficiali, il che lo pone sotto la soglia di comunicazione delle partecipazioni rilevanti. Ciò non toglie che Intesa entri tra i finanziatori di alto profilo dell’azienda spaziale, la cui valutazione di mercato supera i 130 miliardi di dollari. Con la banca italiana, a scommettere su SpaceX, ci sono gruppi come gli statunitensi Fidelity investments e Alphabet – la holding cui fa capo Google –, il Public investment fund, cioè il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, e l’Abu Dhabi investment authority. Che il Wall Street Journal abbia rivelato il primo saldo positivo di SpaceX (55 milioni su un fatturato di 1,5 miliardi) nel primo trimestre del 2023, e dopo due anni di perdite significative», non dovrebbe far dimenticare che l’azienda investe cifre a nove zeri in ricerca e sviluppo – si pensi alla nuova astronave Starship – né che SpaceX punti a diventare un service provider più che un fornitore di hardware spaziale, in primis con il servizio di Internet satellitare Starlink.
Detto altrimenti: le attività e i finanziatori di Musk puntano lontano. «SpaceX – commentano da Intesa Sanpaolo – è leader nella space economy grazie all’orientamento all’innovazione tecnologica e all’importante vantaggio competitivo ottenuto per essere stata una delle prime iniziative private ad affermarsi. È il primo e unico operatore ad aver sviluppato la tecnologia del recupero e riutilizzo dei vettori. Inoltre, possiede l’unica infrastruttura satellitare (Starlink) in grado di rendere disponibile il collegamento alla rete praticamente in tutto il mondo; un’infrastruttura messa a disposizione per supportare la recente emergenza in Emilia-Romagna». Del resto, un rapporto della Direzione studi e ricerche del gruppo bancario sul settore aerospaziale, stabilisce che la space economy costituisce uno dei «fattori di sviluppo più promettenti».
Lo studio rivela un interesse particolare per la filiera italiana e le sue prospettive. Conferma che, fra il 2018 e il 2022, mentre l’Italia è stata il nono Paese nell’industria aerospaziale, con una quota del 2,5% sul valore della produzione globale, nella sola space economy ha occupato il sesto posto sia per l’export che per il numero di brevetti. Sono risultati ottenuti grazie a una filiera presidiata per intero, una caratteristica di pochi Paesi al mondo, e distribuita su tutto il territorio nazionale, sebbene con cinque poli di spicco: in Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia.
In un mercato globale che l’indipendente Space Foundation stima di 546 miliardi di dollari, l’Italia concentra le sue eccellenze nei segmenti più proficui, dalle telecomunicazioni all’osservazione della Terra. «È soprattutto importante – conferma Intesa Sanpaolo – il contributo che l’economia spaziale può offrire per affrontare alcuni grandi temi che riguardano la nostra società: si pensi alla sostenibilità, grazie alle applicazioni dedicate al monitoraggio del Pianeta; all’inclusione, rendendo disponibili servizi e collegamenti nei Paesi meno sviluppati e, in generale, alla crescita di alcuni settori di grande impatto sociale quali l’agricoltura, l’energia e la sanità grazie allo sviluppo di tecniche di raccolta dati, monitoraggio e intervento preventivo. Non da ultime anche le attività e le infrastrutture abilitanti legate all’accesso e allo sfruttamento dello spazio». E se per quanto riguarda la manifattura o la logistica spaziale, il nostro Paese vanta leader (come Leonardo e Thales Alenia Space) e pmi pronte alla quotazione in Borsa (D-Orbit), è nel segmento lanciatori che il dolceamaro (ri)trova legittimità. Non solo per il momentaneo stop dei razzi made in Italy, ma in una dimensione, anche geopolitica, continentale: priva di un accesso autonomo all’extra-atmosfera, l’Europa (e l’Italia con lei) rischia di soccombere alla concorrenza di Cina, Emirati Arabi, India. O di privati come SpaceX. Per questo è vitale diventare più attrattivi. Intesa conferma di «valutare direttamente o indirettamente investimenti in settori strategici in ambito nazionale e internazionale, qualora fosse opportuno e conveniente».