Space economy

Il nuovo obiettivo di Elon Musk con SpaceX: diventare monopolista in Europa

di Patrizia Caraveo ed Emilio Cozzi   6 settembre 2023

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Elon Musk

Con il placet delle autorità americane che già versano milioni di dollari nelle casse dell'azienda spaziale del miliardario, il patron dei viaggi nel cosmo punta a far terra bruciata nel Vecchio Continente. E la guerra gli dà una mano

Pur essendo una compagnia privata non quotata in Borsa, SpaceX è sotto osservazione continua. A metà agosto è comparsa su X, il fu Twitter, la foto del nuovo “naso” dell’astronave Starship, caratterizzata da una porta per l’ingresso degli astronauti e da una scritta rivelatrice, “Hls”, acronimo di Human landing system. I beninformati hanno pensato trattarsi di un prototipo di Moonship, la versione del mezzo che SpaceX deve fornire alla Nasa per consentire l’allunaggio degli astronauti nel 2025. Data che, come ha fatto notare l’Ispettore generale della Nasa, Paul Martin, potrebbe slittare all’anno successivo proprio per i ritardi nello sviluppo del veicolo.

 

Lo scrutinio su SpaceX va ben oltre di quanto risulta evidente sulle rampe della compagnia, dove l’attività rimane frenetica perché i lanci procedono a ciclo continuo. Due settimane fa il Wall Street Journal ha fatto uno scoop pubblicando informazioni sui bilanci (non pubblici) della società. Dal documento acquisito dalla testata, emerge che per la prima volta dopo due anni di «perdite significative» (968 milioni nel 2021 e 559 nel 2022), il trimestre di apertura del 2023 registra un saldo positivo per SpaceX: +55 milioni su un fatturato di 1,5 miliardi di dollari.

 

Il guadagno potrebbe sembrare esiguo, ma bisognerebbe chiedersi come un’azienda che investe così tanto sia in attivo. Sempre secondo il Wall Street Journal, infatti, nel 2021 e nel 2022 SpaceX ha investito 5,4 miliardi di dollari (cioè più del doppio dell’intero fatturato 2021) per l’acquisizione di infrastrutture, di attrezzature e in ricerca e sviluppo. Per questo i dati diffusi dal Wall Street Journal sorprendono solo in parte. Perché mentre è vero che la valutazione di SpaceX è di 150 miliardi di dollari (come Intel o Disney) e che Musk ha annunciato per il 2023 un ricavo di otto miliardi, lo sviluppo di Starship e della costellazione Starlink richiedono investimenti a nove zeri.

 

Sarebbe comunque opportuno dettagliare cosa motivi i numeri e, soprattutto, quale possa essere il loro impatto anche da questa parte dell’oceano, in particolare sull’industria e sulle ambizioni spaziali europee. SpaceX, che nei fatti domina il mercato globale dei lanci, quest’anno punta a realizzarne cento migliorando il record del 2022, quando arrivò a 61, cioè quanto l’intero comparto spaziale cinese. Ai propri vettori, SpaceX aggiunge anche Starlink, il sistema di Internet satellitare che serve oltre un milione e mezzo di utenti e che ha dimostrato la sua straordinaria valenza strategica con la guerra in Ucraina. Visto l’acquisto dei servizi di Starlink da parte del Pentagono, l’ultimo dei quali a giugno, per 900 milioni di dollari, non stupisce che i più smaliziati considerino quello in Ucraina un live fire test per SpaceX.

 

Incertezze degli scenari bellici a parte, è però certo che i clienti privati della costellazione sottoscrivono un abbonamento mensile per un centinaio di dollari, mentre le cifre per i clienti istituzionali, per le telco, le compagnie aeree o le navi da crociera sono molto più alte. È verosimile che la sorgente dei guadagni sia, e sarà, da rintracciare in questo segmento, testimone dell’approccio a lungo termine di SpaceX, orientato a fare dell’azienda un service provider, più che un fornitore di hardware spaziale. Non che i lanci siano merce poco richiesta: SpaceX vanta importanti clienti istituzionali negli Stati Uniti, ma anche in Europa. A causa dei ritardi di Ariane 6, che non partirà prima del 2024, e dello stop di Vega C, di cui al momento non è sicuro il ritorno in rampa entro fine anno, l’Esa, l’Agenzia spaziale europea, ha dovuto lanciare i suoi satelliti con SpaceX. Lo ha fatto con Euclid, lo rifarà nel 2024 con Hera, ideale continuazione della missione di difesa planetaria Dart, e con EarthCare, per lo studio delle nubi.

 

Sono poi in corso negoziazioni per il lancio di quattro satelliti Galileo: utilizzare i servizi di trasporto di un privato americano per apparati strategici della costellazione di posizionamento europeo (Galileo, appunto) può sembrare un paradosso, ma l’attualità non offre altra scelta all’Unione. Lo scenario è aggravato dalla politica protezionistica di cui SpaceX, con il benestare di Nasa e governo Usa, è protagonista, un atteggiamento che permette di proporre, fuori dai patri confini, prezzi capaci di inginocchiare la concorrenza. Detto altrimenti, price dumping: mentre la Difesa americana paga il prezzo pieno, arrivando nel 2020 a spendere 316 milioni per un lancio singolo, il listino “al pubblico” di SpaceX riporta 67 milioni di dollari per un viaggio su Falcon9 e 90 milioni per il più potente Falcon Heavy. Fonti de L’Espresso – che chiedono di restare anonime – parlano di sconti ulteriori per la clientela privata.

 

Per il lancio di Euclid, l’Esa ha pagato 70 milioni di euro, un po’ più del prezzo di listino – per gli elevati standard imposti dal telescopio – ma meno di quanto sarebbe costato lanciare con Soyuz, il razzo russo, originariamente scelto, gestito da Arianespace e resosi indisponibile per l’interruzione dei rapporti con la Federazione. Per quanto anche questo possa giustificare l’esiguità dei guadagni di SpaceX, è evidente come l’Europa stia contribuendo alle casse, se non alle mire espansionistiche, dell’impresa spaziale di Musk. Non stupisce che il patron in versione gladiatore si spenda nel comunicare l’ambizione di mettere al tappeto l’odiato Mark Zuckerberg: i soliti smaliziati potrebbero pensare all’ennesima trovata comunicativa per distrarre l’opinione pubblica da ben altre manifestazioni di aggressività.