Inchiesta
Quanto ci si può davvero fidare dei bilanci di sostenibilità
La rendicontazione non finanziaria è diventata un imponente business per agenzie di rating e grandi società di consulenza, ma spesso celano scarsa trasparenza nella rendicontazione dei dati. Il caso della banca Credem lo dimostra
I numeri non mentono. Quindi i rendiconti economico-finanziari delle aziende sono certi e affidabili. Sillogismo perfettamente discutibile, perché persino i numeri possono essere manipolati. Come insegnano i crac di aziende insospettabili, dalla Banca Popolare di Vicenza a Parmalat, fino a Lehman Brothers. Figuriamoci quale può essere il livello di manipolazione dei bilanci di sostenibilità, cioè i rendiconti annuali che mettono in fila fatti e azioni di una società per consentire agli stakeholder, ovvero a tutti coloro che hanno un interesse a tastare il polso all’azienda, di sapere quanto di positivo è stato fatto e le aree di miglioramento dell’impresa, oltre ai suoi impatti economici, sociali e ambientali.
Il principio è sano: costringere le aziende a fare uno sforzo nella direzione della sostenibilità. Nei fatti, gli analisti tendono a osservare i bilanci di sostenibilità con crescente scetticismo: impera il malcostume di descrivere solo quanto di bello e sostenibile avviene in azienda. Questo perché la corsa bulimica delle aziende a scalare le classifiche – che fioriscono, tipo Best Place to Work, World Best Companies, Top Employee Benefits e così via – ha creato un gigantesco (e ben pagato) mercato speculativo di professionisti, capaci di redigere bilanci Esg, Environmental, Social and Corporate Governance, che sta per Gestione Ambientale, Sociale e Aziendale, al fine di ottenere le ambite certificazioni, delle quali aziende medie e grandi sembrano non poter più fare a meno. Un vero cortocircuito.
La storia che vi stiamo per raccontare è invece frutto, esclusivamente, di un errore di comunicazione. Ovviamente. Partiamo da un articolo del Corriere della Sera, pubblicato lo scorso ottobre nella cronaca milanese; dice il titolo: «Bancario insulta e strattona i clienti, il tribunale annulla il licenziamento: ambiente di lavoro stressante». Le telecamere interne alla filiale cremonese di Credem, società che fa capo al Credito Emiliano Holding spa, immortalano il cassiere mentre, a dicembre 2021, alza la voce contro un cliente (che chiedeva di verificare nuovamente se gli fosse stato accreditato lo stipendio) e lo strattona verso l’uscita. Un mese dopo, lo stesso bancario risponde «Chiudi il becco» a un altro cliente. Ce n’è abbastanza per invocare la «giusta causa» e licenziare il cassiere. Cosa che avviene nel marzo del 2022. Prontamente l’ex dipendente impugna il provvedimento e nell’autunno del 2023 il giudice del Tribunale di Cremona gli dà ragione: il licenziamento va annullato e il lavoratore deve essere risarcito con 16 mesi di stipendio perché s’era trovato a lavorare per anni in un ambiente «stressogeno» e aveva sempre segnalato il proprio malessere. Il cassiere, al momento del licenziamento, aveva 28 anni di anzianità, per lo più trascorsi proprio al Credito Emiliano, e poco prima del licenziamento aveva fatto causa per demansionamento e lamentato di «essere costretto a subire qualsiasi tipo di insolenza e vessazione verbale, senza la possibilità di fare alcuna pausa di recupero di energia psicofisica».
Cambio di scena. A Milano un altro dipendente Credem, tra il 2009 e oggi ha subito due licenziamenti, demansionamenti, trasferimenti, inattività lavorativa e ingaggiato plurime battaglie legali – alcune tuttora in corso – con il Credito Emiliano, che nei suoi post pubblicitari si descrive così: «Wellbanking, fare le cose così bene, da farti stare bene», perché l’istituto bancario a livello italiano ed europeo viene definito eccellenza del risparmio, soprattutto per l’attenzione alla clientela. Grazie a un eccellente bilancio di sostenibilità, Credem ottiene la certificazione Top Employer Italia, anche nel 2023. Dunque, un’azienda con all’attivo due cause per mobbing, e dove una sentenza del Tribunale di Cremona dice esserci un «ambiente stressogeno» è il luogo ideale per lavorare. Possibile? Certo che è possibile.
Nel bilancio di Sostenibilità di Credem, che l’azienda definisce Dnf, ovvero Dichiarazione consolidata di carattere Non Finanziario, alla voce «Cause in essere per mobbing» l’azienda scrive «uno» per l’anno 2020 e precisa che il dipendente lavora per la controllata Credemleasing e che «la società ritiene infondata la tesi di controparte e la contrasterà in giudizio», così come contrasterà in giudizio l’altra (e unica) causa in essere per mobbing, che nel 2021 si è aperta presso il ramo aziendale Credito Emiliano. Mentre, nel bilancio di Sostenibilità del 2022 le cause in essere per mobbing sono zero: Credem può quindi conquistare lo scettro di Top Employer Italia, vantando un ambiente di lavoro ideale per i suoi oltre 7.800 dipendenti e collaboratori. Però, nel 2022, le cause per mobbing sono almeno due. Ovvero quelle sopra descritte. E l’anno precedente altrettante. Infatti nel 2021 il cassiere di Cremona avvia una causa contro Credem al Tribunale di Cremona, e nello stesso anno il colletto bianco di Milano fa altrettanto, dando il via a un contenzioso contro l’istituto di credito, presso il Tribunale di Milano (causa tuttora pendente). Nel 2022, un secondo procedimento – ancora in essere – viene avviato dal cassiere cremonese contro la stessa banca per impugnare il licenziamento, successivamente annullato dal Tribunale di Cremona per via dell’ambiente di lavoro nocivo e stressogeno.
Succede che nell’aprile del 2023, pochi giorni dopo la pubblicazione sul sito web della banca del bilancio di Sostenibilità, un dipendente informa la banca di tale anomalia. Risponde il responsabile Servizio People Management, Andrea Bassi: «Non riteniamo che la metodologia adottata abbia alterato la misurazione del valore reso agli stakeholder». E poco dopo: «Respingiamo i dubbi riferiti circa il fatto che l’esposizione del dato possa aver avuto riflessi sui bilanci 2021 e 2022». Dunque, tutto a posto.
Questione chiusa? Assolutamente no. A maggio 2023, la stessa informazione finisce sul tavolo dell’Organismo di Vigilanza di Credem spa, perché le anomalie presenti nei bilanci non solo potrebbero aver consentito a Credem di ottenere la certificazione di azienda Top Employer, rilasciata dal Top Employer Institute, ma anche la certificazione di conformità da parte della società di consulenza Ernst & Young. Inoltre, l’assenza di quelle segnalazioni potrebbe essersi riverberata sull’analisi e sulla stima dei rischi operativi del bilancio consolidato, perché l’azienda avrebbe dovuto effettuare degli accantonamenti per il rischio delle vertenze in corso. Invece nei bilanci non vi è traccia.
Cosa risponde l’Organo di Vigilanza? Offre una conferma che qualcosa non ha funzionato nella rendicontazione e che, per la stesura dei successivi bilanci di sostenibilità, «è stata individuata una diversa modalità di rappresentazione dei dati oggetto della segnalazione, che verrà recepita nella Dnf di prossima pubblicazione, al fine di migliorare la chiarezza espositiva e aumentarne la trasparenza».
Di tale vicenda viene informata anche la Consob attraverso un esposto. L’ente, incaricato di vigilare sulle attività di Borsa, sull’operato degli intermediari finanziari e delle società di gestione dei mercati, a novembre apre un procedimento e promette di fare luce sulla vicenda. L’Espresso ha contattato Consob per chiedere chiarimenti, senza tuttavia ottenere risposta. Ha invece risposto alle nostre domande Credem, pubblicando sul proprio sito il Dnf aggiornato al 2023 e offrendo la soluzione all’arcano. Ovvero, alla voce «Cause per mobbing», si aggiungono le parole «ricevute nell’anno di riferimento», quindi ritiene di non dover indicare eventuali cause pendenti. Infatti scrive ancora zero (mentre le cause pendenti sono almeno due). Per quanto riguarda il 2022 e il 2021 aggiusta il tiro. Ovvero: nel 2021 le cause per mobbing diventano due (mentre nel rendiconto dell’anno precedente ne era stata segnalata soltanto una); e nel 2022 diventa una (mentre nel documento redatto dodici mesi prima, c’era scritto zero). Con debita nota a piè pagina, nella quale si precisa che si tratta di «Causa ancora pendente». Anche quest’anno Credem potrà quindi ricevere la palma Top Employer. Che fortuna. Anche perché la falsa rappresentazione delle politiche Esg comporta le stesse sanzioni, anche penali, già esistenti a livello normativo per i rendiconti finanziari.
Ovviamente la storia di Credem e dei suoi bilanci di sostenibilità è un piccolo caso. Ma la stessa Mariana Mazzucato, docente di Economia alla University College London, nel suo recente libro “Il grande Imbroglio”, edito da Laterza e scritto a quattro mani con la sua dottoranda Rosie Collington, dedica un intero capitolo al «Caso dell’Esg». Scrive l’economista con passaporto americano e di origine italiana che «i fondi di investimento istituzionali utilizzano sempre più spesso i criteri Esg per prendere decisioni su dove investire». E per questo il numero di piccole, medie e grandi aziende che utilizzano i criteri Esg per definirsi sostenibili è esploso: Bloomberg riferisce che le attività con etichetta Esg si avviano a superare i 53 mila miliardi di dollari entro il 2025, oltre un terzo delle attività di gestione secondo le stime. «Le quattro grandi società di consulenza, Deloitte, Kpmg, Pwc e, in particolare, EY, si sono date da fare per procurarsi clienti in questo ambito, per via delle potenzialità di cross-selling che offrono i servizi Esg al di là delle consulenze in materia di informativa finanziaria». Cosa sta dicendo Mazzucato? Che esistono tanti modi diversi di rendicontare una stessa informazione, ciascuno dei quali può essere scelto a seconda della necessità di ogni azienda di mettere in evidenza o lasciare nell’ombra questo o quell’aspetto aziendale. Ad esempio, la scelta di Credem di indicare solo le cause per mobbing aperte in quell’anno è, per l’appunto, una scelta. Quindi, finché non vi sarà un unico modello di rendicontazione, sarà difficile credere e affidarsi ai bilanci di Sostenibilità, mentre sarà facile per il business della consulenza continuare a speculare sulla sostenibilità. Per dirla con le semplici parole utilizzate nel 2021 dall’ex direttore degli investimenti sostenibili della BlackRock, Tariq Fancy, i molteplici sistemi di misurazione Esg sono una «distrazione pericolosa», perché non producono «alcun impatto ambientale o sociale nel mondo».