Legalità
Così l'Anticorruzione è diventata il nuovo nemico del governo
Il “codice Salvini” abolisce le gare per il 98 per cento degli appalti. Per gli esperti "è criminogeno". E l'Italia resta in fondo alle classifiche mondiali su trasparenza e malaffare
Se il malato ha la febbre alta, cosa direste di un dottore che, per non farlo sapere, nasconde il termometro e butta via le medicine? «È quello che sta facendo il governo italiano per la corruzione», è l’ironica sintesi del professor Alberto Vannucci, che ha firmato studi importanti sul malaffare politico-amministrativo e i suoi intrecci con le infiltrazioni mafiose. «Il problema della corruzione è sparito dall'agenda di governo, come se non esistesse. Si parla solo di eliminare gli strumenti che la fanno emergere, come le intercettazioni o i trojan, e i reati-sentinella che la segnalano, come l’abuso d’ufficio o il traffico d'influenze illecite. Invece di contrastare la corruzione, si combatte l’anti-corruzione. Ma poi basta una sola indagine della procura europea, con un ristretto gruppo di accusati tra Venezia e Roma, per scoprire un sistema di frodi per appropriarsi di fondi del Pnrr e crediti fiscali per cifre allucinanti: oltre 600 milioni di euro. La verità è che sembra di essere tornati agli anni di Tangentopoli: stiamo vivendo un’altra fase storica di vero e proprio saccheggio delle risorse pubbliche».
Trasparency International pubblica ogni anno un rapporto che valuta con un voto in centesimi, da 0 a 100, i livelli di corruzione in 180 nazioni. L'Italia è uno dei pochi Paesi europei sotto la sufficienza, con un punteggio di 56: la media nella Ue è di 65. Siamo messi peggio del Botswana e di altre nazioni africane o asiatiche, molto al di sotto dei valori assegnati a Francia e Gran Bretagna (71), Germania (78) e a tutti i Paesi nordici, da sempre in vetta alla classifica ora guidata dalla Danimarca (90).
Il rapporto non dipende dalle indagini dei giudici nazionali, che possono essere frenate da vari fattori, tra cui la dipendenza della magistratura dal potere politico o economico. Misura invece il tasso di malaffare «percepito» da esperti esterni: il voto finale è la media dei punteggi assegnati dagli uffici studi della Banca Mondiale, Fondo Monetario, centri di ricerca e fondazioni internazionali. Negli ultimi dieci anni, il giudizio sull’Italia era migliorato grazie a una serie di riforme considerate positive, varate a partire dal 2012: dalla nascita dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) al primo codice degli appalti, dalla legge Severino alla cosiddetta spazza-corrotti. «È tutto un insieme di regole e controlli che l’attuale maggioranza progetta di smantellare e in parte ha già abolito», commenta Vannucci, che denuncia: «Il nuovo codice intitolato al ministro Salvini merita di essere definito criminogeno. Basti dire che con le nuove norme, secondo le stime dell'Anac, il 98 per cento degli appalti rischia di essere assegnato senza alcuna gara, senza una competizione pubblica aperta alla concorrenza. È la legalizzazione dei favoritismi».
La torta da spartire è gigantesca. Nell’ultima relazione annuale dell’Anac si legge che in Italia, nel 2022, erano stati assegnati oltre 233 mila appalti sopra i 40 mila euro, quindi con obbligo di gara, per un valore totale di 289,8 miliardi. Il nuovo codice ha quasi quadruplicato la soglia delle scelte discrezionali: fino a 140 mila euro ora è possibile privilegiare una singola impresa privata, con un «affidamento diretto», o poche ditte raccomandate, le uniche che vengono «invitate» a una «selezione ristretta». La controriforma ha addirittura «eliminato l’obbligo di pubblicare avvisi e bandi per lavori fino a cinque milioni».
Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, ha contestato pubblicamente queste «pericolose scorciatoie legali»: «La deroga non può diventare regola». Il giurista ha bocciato anche l’abolizione del «divieto di subappalti a cascata», che rischia di strangolare l’azienda finale, obbligata a eseguire i lavori a prezzi ribassati e quindi incentivata e «scaricare i costi realizzando opere di minore qualità, con deteriori condizioni di lavoro del personale», con ovvie ricadute sul problema delle infiltrazioni mafiose.
L’Anac pubblica sul proprio sito un grafico che misura i «rischi oggettivi di corruzione» negli appalti, evidenziando 17 «indicatori di anomalia». Tra più evidenti c'è proprio «l’addensamento sotto la soglia» che imporrebbe la gara: prima l’allarme scattava sotto i 40 mila, ora è tutto lecito fino a 140 mila. «È proprio come truccare il termometro», dice Vannucci, «e non è certo l’unico caso».
Il ministro delle Infrastrutture, che in questa materia è perfettamente in linea col governo, giustifica tutte le cosiddette norme “sblocca-cantieri” con l’urgenza di accelerare i tempi, imposta soprattutto dalle scadenze del Pnrr (fine 2026). Ma a rallentare e complicare le procedure, come spiegano da anni gli esperti, in realtà è la dispersione dei poteri di spesa tra ben «26.500 stazioni appaltanti». L’Anac, già con l’ex presidente Raffaele Cantone, ipotizzò la creazione di centrali uniche degli appalti in ogni provincia, da affidare a ingeneri, legali e tecnici selezionati e preparati. «Occorre ridurre drasticamente il numero delle stazioni e qualificare il personale», rilancia da tempo Busia, sconfessato però dal codice Salvini, che «ha escluso quasi il 90 per cento delle gare dall’obbligo di ricorrere a stazioni qualificate».
Nel deserto delle misure contro la corruzione e gli sprechi, abbondano gli attacchi politici ad Anac, Corte dei Conti, indagini della magistratura, inchieste giornalistiche e a tutte le autorità e centri di controllo della legalità e trasparenza della spesa pubblica. Intanto l’asettico rapporto di Transparency evidenzia un legame strettissimo tra corruzione, dittatura, guerra, spoliazione delle risorse, povertà della popolazione, effetti della crisi climatica, migrazioni di massa. I cinque Paesi più corrotti al mondo sono Somalia, Venezuela, Siria, Sud Sudan e Yemen, seguiti da nazioni come Nord Corea, Haiti e Libia. Mentre nell’Unione Europea il voto peggiore (42) va all’Ungheria autoritaria di Orbán.