Medvedev evoca la guerra mondiale. R e Felipe e Sanchez ricevono Zelensky in Spagna. Meloni avverte: "Se perdo il referendum non mi dimetto"

Raid di Israele su una zona umanitaria di Rafah
L'ennesimo massacro squarcia la notte del sud di Gaza, dove un attacco su una "zona designata come umanitaria" nell'area di Rafah ha provocato un "gran numero di vittime", secondo la Mezzaluna Rossa. Oltre 40 i morti per il governo di Hamas nella Striscia che localizza l'attacco su un campo profughi a nordovest di Rafah. La Mezzaluna palestinese e il gruppo accusano Israele. L'Idf ha confermato di aver attaccato il nordovest di Rafah, specificando che "i dettagli sono in fase di verifica". A nulla sembra quindi essere servito l'ordine della Corte internazionale di giustizia dell'Aja di fermare l'offensiva sulla zona a sud della Striscia. Il nuovo attacco giunge dopo che Hamas è tornata a lanciare una raffica di razzi su Tel Aviv e nel centro di Israele, dopo 4 mesi senza attacchi. L'esercito israeliano ne ha contati otto, rivendicati dalle Brigate Qassam - ala militare della fazione islamica - tirati dall'area di Rafah. Il nuovo sviluppo è arrivato il giorno stesso in cui l'Egitto ha riaperto il valico di Rafah da cui sono entrati, dopo 20 giorni di stop, i primi camion di aiuti umanitari diretti a quello israeliano di Kerem Shalom per poi passare, una volta ispezionati da Israele, nella Striscia. Ora gli occhi sono puntati di nuovo sul Cairo dove da martedì - secondo fonti egiziane che lo hanno riferito alla Cnn - potrebbero riprendere i negoziati, mediati da Egitto Usa e Qatar, per una possibile tregua e il rilascio degli oltre 120 ostaggi israeliani ancora prigionieri a Gaza. L'attacco da Rafah a Tel Aviv e all'area della parte centrale del Paese - il maggiore da molto tempo, considerato dagli analisti una sfida aperta da parte delle Brigate Qassam - è arrivato nel primo pomeriggio facendo scattare le sirene di allarme che da tempo non si sentivano nell'area. Kfar Saba, Raanana, Herzilya sono state le più coinvolte anche dalle ricadute dei detriti dei razzi colpiti dalle intercettazioni operate dall'Iron Dome. A Tel Aviv sono state udite forti esplosioni in cielo dovute all'intervento del sistema di difesa israeliano. Degli 8 razzi, secondo un portavoce dell'Idf, 3 sono stati intercettati in aria mentre gli altri sono passati. A Herzilya un edificio - e si sono viste le immagini su social - è stato investito dai frammenti: due persone hanno riportato ferite leggere mentre correvano nei rifugi. Le Brigate Qassam nella loro rivendicazione hanno detto di aver «bombardato Tel Aviv in risposta ai massacri sionisti contro i civili». Il ministro del Gabinetto di guerra Benny Gantz - che ha chiesto una inchiesta sul 7 ottobre e sulla condotta della guerra - ha denunciato che «i tiri da Rafah dimostrano che l'Idf deve agire ovunque si trovi Hamas». In serata, la notizia di una nuova strage su Rafah sembra smentire quanto sostenuto in giornata da una fonte dello Stato ebraico, che aveva fatto sapere ai media che la ripresa dei colloqui e gli sviluppi all'Aja stavano inducendo l'esercito a rivedere l'operazione nella zona, ridimensionandola: «Continuerà a operare, ma in modo più contenuto». La riapertura del valico di Rafah - avvenuta dopo un recente colloquio tra il presidente Joe Biden e quello egiziano al Sisi - ha consentito, secondo media egiziani, l'ingresso di un totale di "200 camion" che si sono spostati dal lato egiziano del valico di frontiera di Rafah. Il capo della Mezzaluna Rossa egiziana nel Nord Sinai, Khaled Zayed, ha detto che i camion si stanno muovendo in coordinamento tra Egitto, Israele, Unrwa (l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi) e la Mezzaluna Rossa palestinese. A bordo - è stato specificato - alcune tonnellate di aiuti alimentari ma sono passate anche quattro autocisterne di carburante nella Striscia di Gaza. In previsione dell'appuntamento di martedì prossimo al Cairo il premier Benyamin Netanyahu ha convocato il Gabinetto di guerra per discutere della posizione, anche se già nei giorni scorsi, sotto la spinta delle manifestazioni che si susseguono nel Paese per il rilascio degli ostaggi, il mandato a trattare al capo del Mossad David Barnea dovrebbe essere molto più ampio di quello degli ultimi round delle trattative. Hamas, tuttavia, ha fatto sapere che al momento non ha ricevuto ancora nulla dai mediatori ed ha ribadito che la posizione della fazione islamica non cambia. «Ciò che è necessario - ha ammonito - è fermare la guerra in tutta la Striscia di Gaza, non solo a Rafah. Questa è la base e il punto di partenza». Non si ferma intanto il conflitto con gli Hezbollah, con razzi e Raid, al nord al confine con il Libano mentre nella Striscia il ministero della Sanità di Hamas ha aggiornato a quasi 36mila le vittime dall'inizio del conflitto. 

 

Meloni: "Consiglio a Stoltenberg maggiore prudenza". E Medvedev evoca la guerra mondiale.
«Consiglio a Stoltenberg maggiore prudenza». Giorgia Meloni, con queste parole, ribadisce la posizione dell'Italia sul dossier Ucraina: il governo resta impegnato al fianco di Kiev contro l'aggressione russa, ma vuole scongiurare un'escalation, perché la Nato non è in guerra con Mosca. Al contrario, l'appello del segretario generale a consentire agli ucraini l'uso delle armi occidentali per colpire oltreconfine rischia di andare nella direzione opposta al principale obiettivo: «Raggiungere la pace». Per una pace, ma alle condizioni dell'Ucraina, lavora anche Volodymyr Zelensky, che punta molto sul summit di giugno in Svizzera, tanto da aver invitato a partecipare i leader delle due principali potenze mondiali, Joe Biden e Xi Jinping. Sul fronte opposto torna invece a sventolare minacce il falco Dmitry Medvedev, evocando una "guerra mondiale" nel caso di un maggiore coinvolgimento degli alleati dell'Ucraina. 
L'appello di Stoltenberg a togliere il divieto all'uso delle armi Nato in Russia (opzione su cui sta riflettendo anche la Casa Bianca) era rivolto ai partner che considerano prioritario assicurare agli ucraini una capacità difensiva per contenere l'invasione, senza spingersi oltre. L'Italia è uno di questi, tanto che la premier ha espresso sorpresa per le dichiarazioni del segretario generale. «Non so perché Stoltenberg dica una cosa del genere. Sono molte le dichiarazioni discutibili, ricordo Macron, io consiglio maggiore prudenza», ha sottolineato Meloni, riferendosi anche alla recente fuga in avanti dell'Eliseo sul possibile invito di truppe occidentali sul terreno. Per Roma non è in discussione che la Nato debba «mantenere la sua fermezza senza segni di cedimento», ma allo stesso tempo «è importante  che l'Alleanza  continui a mantenere il sostegno all'Ucraina per raggiungere la pace». Una posizione di fatto condivisa con Berlino, che si è rifiutata di fornire i Taurus a lunga gittata a Kiev, e che attraverso il cancelliere Olaf Scholz ha ribadito: «Abbiamo concordato regole chiare con l'Ucraina per le consegne di armi. E funzionano». Ovvero, non possono essere usate in Russia. Nel governo italiano Matteo Salvini è stato, anche oggi, ben più duro nei confronti di Stoltenberg: «O ritratta o chiede scusa o si dimette», la richiesta del segretario della Lega, mentre il suo partito si è detto pronto «a depositare un ordine del giorno o una interrogazione» in Parlamento "finalizzate a censurare" queste "parole di guerra". Con il suo candidato alle europee, il generale Vannacci, che parla di "rischi di non ritorno". Gli ucraini in questa fase del conflitto faticano a rallentare l'avanzata del nemico nel Donbass e a Kharkiv, con i russi che la notte scorsa hanno lanciato un massiccio attacco utilizzando anche due missili ipersonici, mentre nella seconda città del Paese si è aggravato il bilancio delle vittime del raid di sabato contro il megastore: almeno 16 morti e un'ottantina di feriti. In questa difficile situazione Zelensky tenta anche la strada della diplomazia, puntando sulla conferenza di Lucerna il 15 e 16 giugno, a cui avrebbero aderito circa 70 Paesi. Kiev non si aspetta che si concordino i termini di una pace complessiva, anche perché Mosca non è stata invitata, né riconosce la legittimità dell'evento, ma l'obiettivo minimo è creare consenso intorno ad alcuni punti: la libera circolazione nel Mar Nero per l'export di grano, lo stop ai raid russi sulle reti energetiche ed il rimpatrio dei bambini. E più in generale, convincere i Paese finora rimasti neutrali a fare pressione sul Cremlino a cessare le ostilità. Il summit assumerebbe contorni ben diversi con la partecipazione di Biden e Xi, che Zelensky ha invitato formalmente, ma la Cina lo ha già escluso, perché considera la presenza della Russia necessaria in un tavolo di negoziati. Quando a Biden, non sono ancora arrivati segnali da Washington. A Mosca invece l'ala più dura del regime rimane concentrata nello sfidare i Paesi che insistono sulla linea dura contro la Russia. Medvedev, rispondendo ad un'intervista del ministro degli Esteri polacco, che invitava gli alleati a non mettere linee rosse a Kiev, neanche sull'utilizzo delle armi della Nato, ha replicato così: «Colpire i nostri obiettivi da parte degli americani significa iniziare una guerra mondiale, e un ministro degli Esteri, anche di un Paese come la Polonia, dovrebbe capirlo».

 

Spagna-Ucraina: re Felipe e Sanchez ricevono oggi Zelensky a Madrid
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è atteso oggi in Spagna dove sarà ricevuto dal primo ministro Pedro Sánchez: lo ha annunciato la Moncloa in un comunicato, precisando che il capo del governo di Madrid riceverà il leader dell'Ucraina alle 12. Al termine dell'incontro, Sánchez e Zelensky terranno una conferenza stampa e poi ci sarà un pranzo offerto dai reali di Spagna in onore di Zelensky al Palazzo Reale di Madrid. Zelensky aveva programmato di visitare la Spagna e il Portogallo a metà maggio, ma aveva annullato il suo viaggio a causa della difficile situazione sul fronte, soprattutto nella provincia di Kharkiv. Durante la sua prima visita ufficiale in Spagna, Zelensky intende anche firmare un accordo di sicurezza simile a quello che l'Ucraina ha già siglato con altri Paesi europei e il Canada.

 

Meloni: "Il referendum? Se non passa chissene, non lascio"
A poco meno di due settimane dalle elezioni europee, la premier Giorgia Meloni prende posto nello studio di Rai Tre di "In Mezz'ora" e in una lunga intervista snocciola le questioni più calde della campagna elettorale. Dalla sfide di politica estera alla vicenda giudiziaria ligure. Passando per i conti pubblici. La presidente del Consiglio non si sottrae e torna a insistere sul cavallo di battaglia di Fratelli d'Italia. Sulla "madre di tutte le riforme", così come ha già definito quella sul premierato, Meloni scioglie ogni dubbio. A chi le chiede se l'eventualità di un referendum possa impensierirla, la premier risponde con fermezza. «Se la riforma non passa - taglia corto - chi se ne importa. Mi chiedono se sono pronta a dimettermi qualora venisse bocciato il referendum: no, io arrivo alla fine dei 5 anni e chiederò agli italiani di essere giudicata». Minimizzando col "chissene", la premier prova a slegare il suo destino politico da quello della riforma costituzionale. Spiega di non aver nessun timore del referendum. «Non è su di me - precisa - ma sul futuro del Paese». Passando dalle faccende italiane a quelle europee, non manca l'occasione di fare un passo in avanti in tema di alleanze a Bruxelles. Quando viene incalzata sulle possibili intese con l'estrema destra, non chiude: «non sono abituata a dare patenti di presentabilità». In vista della formazione della futura Commissione Ue, la premier conferma l'impegno nel costruire una «maggioranza alternativa di centrodestra». E aggiunge: «non sono disposta a farla con la sinistra, tutto il resto si vede». Premierato ed equilibri europei sono al centro del confronto negli studi televisivi. La premier, sulla riforma costituzionale, tiene a precisare che non «tocca i poteri del presidente della Repubblica». Richiama il tentativo di dialogo con le altre forze politiche e ribadisce: «non capisco l'opposizione della sinistra. Qualcuno si vuole opporre con il corpo» a questa riforma, dice volendo punzecchiare la segretaria del Pd Elly Schlein. «Propongono di raddoppiare i senatori a vita - aggiunge - ma non vogliono che i cittadini scelgano chi governa». E sulle questioni che più impensieriscono la maggioranza, non si tira indietro. A partire dal caso giudiziario che coinvolge il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Avvicinando la questione, Meloni premette: «non possono passare mesi tra la richiesta e l'esecuzione di una misura cautelare». Quindi si muove con cautela. «Solo Toti - dichiara - è nelle condizioni di dare una risposta compiuta perché solo lui conosce la verità ed è nella posizione di valutare cosa sia meglio per i cittadini». La presidente dice di non poter rispondere sulle eventuali dimissioni, finché non avrà «tutti gli elementi». Quadro chiaro invece sui conti pubblici. La premier attacca frontalmente «il disastro dei 220 miliardi di buco» del Superbonus. Cita «chi diceva gratuitamente», riferendosi al leader M5s Giuseppe Conte, e afferma che in ragione di quella misura «oggi ci troviamo in difficoltà su moltissimi altri fronti». Il governo, rassicura, «farà di tutto per mantenere i suoi impegni e concentrerà le risorse sulle cose importanti». Fissa quindi gli obiettivi: «crescita e politica seria di bilancio». E il Patto di stabilità non sembra impensierirla. Lo definisce «sostenibile sulla carta» e «sicuramente migliore delle regole precedenti». Meloni difende il Patto negoziato dal suo governo e torna sui rapporti con i vertici Ue. Definisce Ursula von der Leyen «pragmatica», ma attacca le «scelte ideologiche» di una Commissione «che ha sbagliato molto» : dalla direttiva sulle case all'immigrazione. E parlando di migranti, risponde alle recenti critiche di "una sinistra nervosa". Il protocollo Italia-Albania, annuncia, «sarà operativo tra non molto». Poi la stoccata agli esponenti del Pd, «che prima ci attaccavano perché stavamo costruendo una Guantanamo e ora si lamentano dei ritardi nella costruzione». Per la presidente, insomma, il progetto «funzionerà e farà da apripista per le politiche migratorie in Ue». La linea resta chiara: «l'opera più umanitaria che possiamo fare è distruggere le reti dei trafficanti».

 

Schlein: "Inaccettabile Meloni sovrapponga sé a destino Paese"
«Lei è quella del taglio alle accise e degli extraprofitti bancari, non stupisce che cambi. Ma sovrapporre la sua traiettoria politica al destino del Paese con questa leggerezza è inaccettabile». Lo dice in una intervista al Corriere della Sera la segretaria del Pd Elly Schlein facendo riferimento alle parole di Meloni pronunciata durante un'intervista televisiva. «Quello di Giorgia Meloni è un governo mani di forbice. Questi tagli di 250 milioni sono gravissimi e il criterio è del tutto insensato perché tagliano in proporzione di più ai Comuni che stanno investendo più risorse del Pnrr - ha aggiunto in riferimento ai tagli ai Comuni - Rischiamo che i Comuni che stanno costruendo nidi e case della comunità con il Pnrr poi a causa dei tagli del governo non abbiamo le risorse per assumere educatrici ed educatori e personale sanitario che ci lavori dentro. Rischiano di diventare cattedrali nel deserto. Peraltro avevano già tagliato ai Comuni 16 miliardi del Pnrr. Meloni si conferma veramente la regina dell’austerità».