Il leader leghista pensava di sfruttare il traino delle opere pubbliche a scopo elettorale. Da Genova allo Stretto è una lista di occasioni mancate. E senza Vannacci sarebbe andata molto peggio

Dopo venti mesi di governo le Europee confermano che Matteo Salvini non ha niente da mettersi. Senza l’ultradestro generale Vannacci, mister mezzo milione di preferenze, e quel poco di sostegno centromeridionale garantito dall’alleanza con Udc, il risultato sarebbe stato molto peggiore.

 

Il vicepremier e leader leghista puntava molto sul traino elettorale garantito dalle opere pubbliche, mare di miliardi alimentato anche dal Pnrr che produce posti di lavoro e consensi. Con parole sue, ci aveva messo la faccia sull’apertura dei cantieri del ponte sullo Stretto prima dell’estate. Poi la commissione Via-Vas del ministero dell’ambiente, guidato dal cauto forzista Gilberto Pichetto Fratin, ha rimandato il pacchetto progettuale a settembre, come si fa con gli studenti che non si applicano. L’altra carta vincente doveva essere Genova, città natale del viceministro salviniano delle infrastrutture, Edoardo Rixi. Disastro su tutta la linea. Il 7 maggio sono finiti agli arresti il presidente ligure Giovanni Toti e l’ex dirigente del Mit Paolo Signorini. Visto che quando va male può sempre andare peggio, la posa del primo cassone della diga foranea il 24 maggio è saltata per maltempo, in un clima fantozziano (“Capovaro, posso andare?” “Vadi, contessa, vadi”).

 

Eppure dietro le quinte di un politico che sta sulla ribalta da trent’anni, asfalto e cemento rimangono l’unica possibilità di sopravvivere al declino e alla concorrenza degli alleati meloniani, che gli hanno imposto un altro rinvio strategico dopo il voto europeo. Sono le nomine al vertice del gruppo Fs, di gran lunga la maggiore stazione appaltante d’Italia con una disponibilità di investimenti che pochi giorni fa il Cipess ha accresciuto di 7,6 miliardi, per un totale di 127,7 miliardi fra il 2022 e il 2026.

 

A cifre tanto alte corrispondono appetiti e difficoltà proporzionali. Nemmeno il ministero dell’economia è impegnativo quanto le infrastrutture, regno di burocrati con esperienze specifiche e ultradecennali nei meandri degli appalti. Il Mit non è tenero con i debuttanti ma lo scambio è alla pari. Il ministro di turno cerca cerimonie inaugurali per la sua propaganda a breve termine. Grand commis e costruttori rimangono nella zona di conforto dove i lavori in ritardo e gli extracosti non sono un problema. Semmai, sono la soluzione.

 

Fatto sta che durante la reggenza Salvini gli ostacoli si sono moltiplicati su alcuni fronti cari al Capitano. A parte il ponte, la maretta genovese e l’inchiesta romana sull’Anas che ha colpito Tommaso Verdini, fratello della compagna del ministro, è in pieno corso la battaglia dei valichi che riguarda il varco alpino dalla Francia all’Austria. Sul confine occidentale ci sono le riparazioni del tunnel del Monte Bianco che a settembre chiude per quasi quattro mesi in simultanea con il valico ferroviario del Fréjus. Appena oltre il confine con la Svizzera proseguono i lavori di ripristino della galleria del Gottardo per l’incidente dell’agosto 2023. Continua il caos sul Brennero dove Vienna applica da anni blocchi selettivi ai trasportatori che tengono in piedi l’import-export italiano fondato sulla gomma a costo di incassare una censura dell’Ue e, prima della prossima estate, un ricorso di palazzo Chigi alla Corte di giustizia europea.

 

In Lombardia proseguono a rilento i lavori sulla Pedemontana (Apl) che, nel silenzio generale, ha aggiornato il cronoprogramma sul termine dell’opera al 2031. Intanto il budget sfiora i 5 miliardi di euro e grava sull’azionariato interamente pubblico di Apl, partecipata dalla Lombardia, presieduta dal leghista Attilio Fontana, e dall’altra controllata regionale Ferrovie Nord Milano. L’opera avviata nel 2010 procede con la supervisione di Cal (concessionarie autostradali lombarde) del gruppo Anas-Fs ed è la più costosa della storia italiana con circa 57 milioni di euro per un tracciato di 87 chilometri.

 

Il presidente di Apl è Luigi Roth, 84 anni il prossimo novembre, ex formigoniano di lunghissimo corso con esperienze alla guida di Fnm e della Fondazione Fiera Milano. Roth è stato confermato in carica alla fine di aprile e a maggio sono partiti i nuovi cantieri nell’area brianzola di Seveso-Meda-Cesano Maderno.

 

La concessionaria è diretta da Sabato Fusco, manager irpino che ha lavorato ad Autostrade per l’Italia e alla Cav, altra concessionaria autostradale pubblica creata dall’Anas in compartecipazione con la regione Veneto. Fusco ha realizzato il passante di Mestre e ha buoni rapporti con il mondo industriale e con l’ambiente del presidente leghista Luca Zaia. Anche qui c’è stata l’occasione di un’inaugurazione pre-elettorale il 3 maggio con l’apertura del collegamento con l’autostrada A4 a Montecchio Vicentino. Per una serie di accordi presi a crescente vantaggio del costruttore, il consorzio fra la piemontese Sis e gli spagnoli di Sacyr, la superstrada da 3 miliardi che collega le province di Vicenza e Treviso obbliga la regione a versare un canone in cambio dei pedaggi fino alla scadenza della concessione nel 2059. Il saldo fra ricavi e canone è negativo per 60 milioni di euro, secondo le previsioni del consiglio regionale, nel triennio fino al 2026. Poi lo squilibrio si aggraverà con l’aumento del canone che arriverà fino a 450 milioni di euro l’anno con effetti molto pesanti sui conti. Le conseguenze politiche potrebbero non riguardare più la Lega, visto che Zaia non otterrà il terzo mandato avversato da Giorgia Meloni. La soluzione che circola a Roma porterebbe a una statalizzazione della Pedemontana veneta con il trasferimento nella cosiddetta Anas 2, nuova società voluta dal governo per gestire le concessionarie pubbliche, sia a pagamento (Sitaf, Asti-Cuneo, traforo del Monte Bianco) sia gratuite come il Gra o l’A2 Salerno-Reggio Calabria.

 

Tra Lombardia e Veneto si gioca anche la partita delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026. Anche qui è arrivata l’inchiesta della magistratura per la Parentopoli degli assunti durante la gestione del precedente ad Vincenzo Novari. Parte della rete di infrastrutture prevista per il debutto dei Giochi a febbraio del 2026, fra meno di due anni, è già stata proiettata molto oltre la cerimonia di chiusura tanto che il governo ha commissariato il braccio operativo Simico a fine gennaio. Sono fuori dai tempi della competizione la tangenziale di Sondrio, la ciclabile di Lecco, i lavori sulla ex stazione ferroviaria di Cortina, che dureranno ventotto mesi per 98 milioni di euro, le varianti Longarone-Cortina e Trescore-Entratico e gli interventi sulla statale dello Stelvio in Valtellina.

 

Per tenere in Italia le gare di bob, slittino e skeleton, è iniziato il rifacimento della pista Eugenio Monti che costerà oltre 80 milioni di euro. Lo sliding center sembra destinato all’abbandono dopo le gare, com’è successo all’impianto piemontese di Cesana costruito per le Olimpiadi di Torino del 2006 e abbandonato pochi anni dopo. Adesso non è chiaro se Cesana andrà smantellata, con aggravio di costi, e se gli ispettori di Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), omologheranno la nuova Monti. L’alternativa sarà emigrare in Austria, Svizzera o, un po’ più in là, a Lake Placid, nello stato di New York. Un’altra sconfitta per lo slogan “prima gli italiani”.