Causa-pilota a Milano per una spirale uterina accusata di gravi lesioni a migliaia di pazienti. La multinazionale ha risarcito 1,6 miliardi negli Usa, nel nostro Paese niente

Un piccolo gruppo di donne italiane sta sfidando a giudizio un colosso mondiale della medicina. Sperano, o forse s’illudono, di cambiare lo sconfortante risultato di un confronto tra sistemi legali, sul campo dei risarcimenti alle vittime delle grandi industrie, che misura quanto il modello americano delle azioni giudiziarie collettive sia ancora lontanissimo dall’Italia: 1.600 milioni (di dollari) a zero.

La causa civile è stata intentata in tribunale a Milano da diciotto donne che denunciano di aver subito gravissimi danni alla salute dopo l’impianto di Essure, un anticoncezionale permanente brevettato in origine dalla Conceptus, un’azienda acquisita nel 2013 dalla multinazionale tedesca Bayer. È una doppia spirale metallica che, secondo le denunce presentate da migliaia di presunte vittime in decine di nazioni, rilascia sostanze nocive e può spezzarsi e infiltrarsi nel corpo. L’Espresso ha raccolto già cinque anni fa le testimonianze delle prime donne italiane che hanno cercato di organizzarsi per chiedere giustizia. In tutte le interviste raccontano incubi con la stessa trama: «Mi chiamo M.B., vivo in Veneto, ho 44 anni. Sono sempre stata una persona forte, di buona salute. Nel 2014 la mia ginecologa, dopo due parti con gravi complicanze, mi ha consigliato Essure. Dopo l’impianto, la mia vita è cambiata. Ho cominciato ad avere emicranie sempre più frequenti e intense, sono aumentata molto di peso, ho il bacino sempre gonfio, continue bronchiti e infezioni, difese immunitarie basse, ma la cosa peggiore è una stanchezza cronica, una depressione costante che mi ha spinto sull’orlo del suicidio. Ho pensato anche a questo, prima di trovare altre donne con gli stessi problemi e capirne la causa».

 

Essure è uno dei prodotti al centro dell’inchiesta giornalistica “Implant Files”, realizzata dal nostro settimanale con il consorzio internazionale Icij. Oltre 260 cronisti di tutti i continenti hanno esaminato insieme, per mesi, gli allarmi di sicurezza registrati dalle agenzie pubbliche degli Stati Uniti e di alcune nazioni europee, tra cui l’Italia, sui «dispositivi medici», come le protesi ortopediche o gli apparecchi per il cuore, «impiantati» nel corpo dei pazienti, che devono conviverci per anni o per sempre. L’inchiesta, pubblicata nel novembre 2018, ha scoperchiato un numero abnorme di segnalazioni mediche di «eventi avversi» che venivano tenute segrete: oltre 82 mila morti sospette solo negli Stati Uniti. Per Essure erano in continua crescita i casi di «lesioni gravi»: dai 1.788 referti nel 2014 fino al picco di 12.564 nel 2017. L’anno dopo, la tecno-spirale è stata ritirata dal mercato americano.

 

 

Implant Files

 

 

Fra tutti i dispositivi, i giornalisti hanno documentato che molti dei più pericolosi risultano autorizzati, negli Usa, con una procedura semplificata, introdotta su pressione delle multinazionali americane. In Europa, addirittura, basta una certificazione privata, il marchio Ce, come per un frigorifero o un giocattolo. A Bruxelles lo scandalo dei mancati controlli pubblici mise in moto progetti di riforma e solenni promesse di trasparenza. Questo articolo racconta cosa è successo, in realtà, in questi cinque anni e mezzo.

 

Negli Usa la Bayer è stata inondata di cause contro Essure. L’impatto dell’inchiesta “Implant Files”, unito al successo di un docufilm di denuncia (“The Bleeding Edge”), ha convinto circa 39 mila donne a chiedere i danni al colosso tedesco, approfittando dello strumento legale dell’azione collettiva (class action). Il caso ha mobilitato anche Erin Brockovich, la paladina delle vittime delle grandi industrie (a lei è dedicato il film con Julia Roberts). Nell’agosto 2020 la Bayer ha siglato una maxi-transazione: la multinazionale si è impegnata a versare «circa un miliardo e 600 milioni di dollari» per chiudere «almeno il 90 per cento delle cause pendenti».

 

Nell’accordo americano però «non c’è alcuna ammissione di responsabilità o di colpevolezza», come ricorda oggi la Bayer in risposta a L’Espresso. Anzi, il colosso tedesco «continua a sostenere la sicurezza e l'efficacia di Essure, dimostrate da un ampio numero di lavori scientifici, che includono i risultati di 10 studi clinici e oltre 150 ricerche condotte sia da Bayer che da ricercatori indipendenti, negli ultimi 20 anni, coinvolgendo più di 280 mila donne».

 

Nel resto del mondo, quindi, la multinazionale continua ad opporsi a qualsiasi risarcimento: «Fuori dagli Stati Uniti, la Bayer ha ottenuto una serie di decisioni giudiziarie favorevoli in diverse corti di giustizia. L'azienda ha fiducia nella solidità della propria posizione legale e delle evidenze scientifiche che supportano Essure». Conclusione: «Bayer proseguirà nella sua difesa attiva contro queste cause».

 

Ma perché il colosso tedesco accetta di sborsare 1,6 miliardi negli Usa, mentre in Italia rifiuta di versare qualche milione in tutto, da dividere tra poche pazienti? Questo è l’unico punto su cui concordano entrambe le parti in causa. La Bayer spiega infatti che «l'intesa raggiunta negli Stati Uniti si configura come una scelta di natura commerciale, fortemente influenzata dalle peculiarità del sistema di class action americano, che include anche l'alto costo delle procedure legali. Tale accordo non influenza le cause ancora in corso in altri paesi, in quanto la decisione di Bayer è stata dettata da fattori propri del sistema giuridico statunitense».

 

Ad assistere le donne italiane è la squadra legale di Altroconsumo, guidata dal suo presidente, l’avvocato Paolo Martinello, esperto di azioni collettive, che spiega: «La differenza fondamentale è che nel sistema americano c’è un alto rischio di condanna per i cosiddetti danni punitivi. È un risarcimento che si aggiunge e supera di gran lunga il danno diretto subìto dalla vittima. Viene deciso dal giudice quando riconosce una grave negligenza aziendale, come è successo in passato per diversi prodotti pericolosi. Il processo civile viene così a svolgere non solo una funzione risarcitoria, ma anche sanzionatoria. E la condanna può arrivare a cifre astronomiche, spesso decise da giurie popolari, in particolare attraverso la class action. Questo spinge anche i colossi a cercare accordi risarcitori».

 

L'avvocato Marco Stucchi aggiunge che «nel nostro Paese esiste l'istituto della lite temeraria, che però sanziona solo la mala fede processuale e ha un'applicazione molto ridotta sia per numero di casi che per gli importi. Nella mia esperienza professionale, ho visto applicare pochissime volte».

 

In Italia si stima che Essure sia stato impiantato su circa 7 mila donne, prima di essere ritirato dal mercato dal settembre 2017. Nel 2018 almeno 250 pazienti si erano organizzate in un gruppo di tutela anche legale. Come mai alla fine solo 18 hanno agito in tribunale?

 

 «Come legali di Altroconsumo, abbiamo seguito le posizioni di circa 150 donne», rispondono i due avvocati. «Molte però, comprensibilmente, non se la sono sentita di affrontare i costi, i tempi e le incognite di una causa civile. La nostra è un'associazione di tutela dei consumatori, per cui applichiamo tariffe legali minime, ma in casi del genere incidono soprattutto le spese delle consulenze tecniche, da affidare a medici legali e ginecologi il più possibile autorevoli ed esperti. E in caso di soccombenza, non si può escludere il rischio di essere condannati a rimborsare le spese legali sostenute dalla Bayer. Per un colosso multinazionale sono costi minimi, mentre per una famiglia normale possono diventare insostenibili.  In Italia negli ultimi anni sono aumentati anche i costi vivi da pagare per avere accesso alla giustizia. In questa situazione, tante pazienti non se la sono sentita di affrontare lo stress di un lungo processo, che oltretutto verte su una vicenda molto dolorosa e intima. A maggior ragione va quindi riconosciuta la tenacia delle donne che hanno deciso di andare avanti e che Altroconsumo sta aiutando anche per far fronte alle spese delle consulenze». 

 

Il sistema legale italiano, insomma, è punitivo per le vittime. E le riforme annunciate a Bruxelles restano sulla carta. Cinque anni fa le autorità europee avevano annunciato più controlli pubblici sui circa 500 mila tipi di dispositivi in commercio. In realtà la sicurezza dei prodotti continua a essere certificata da società private. E le bocciature restano segrete. Nel 2021 una direttiva ha sancito l’obbligo di ottenere una nuova certificazione entro il 2024, ma la scadenza è stata poi rinviata di altri quattro anni.

 

L'inchiesta del consorzio Icij era nata dallo scoop di una giornalista olandese, Jet Schouten, che ha videoregistrato i dirigenti di tre società di certificazione (tra cui una italiana) mentre si dichiaravano pronti ad approvare una falsa griglia di contenimento dell’utero, che in realtà era una rete di plastica per gli agrumi, comprata al supermercato. All’epoca la Commissione europea promise tra l’altro di pubblicare un database, chiamato Eudamed, con tutti gli allarmi di sicurezza. Ma un portavoce ora spiega che «la sua entrata in funzione effettiva è rinviata al 2027». «La mancanza di informazioni in Europa è un disastro», ha denunciato Jet Schouten al consorzio: «E questo non ha senso, perché stiamo parlando della sicurezza dei pazienti».