Europee 2024
Votare è libertà
Andare alle urne l’8 e il 9 giugno è importante. Perché è un diritto conquistato con le lotte. E per mettere in pratica le speranze di cambiamento. Un altro mondo è ancora possibile. L'intervento del professore di Diritto pubblico italiano e comparato nell’Università Sapienza di Roma
Per il nostro Paese, il voto libero per tutti, indistinto tra uomini e donne, è stata una conquista. Non è stata insomma né una concessione di qualcuno né, a maggior ragione, un regalo graziosamente piovuto dal cielo. Tutt’altro.
Il votare libero è stato infatti una conquista democratica, tenacemente voluta da una Resistenza intensa e combattuta da pochi per molti, da vite spezzate da esili e da lutti, costruita – per essere chiari – da martiri come Giacomo Matteotti, persone in carne e ossa che, nei fatti, si sono sacrificate per un’idea di libertà per tutti vincolata soltanto dall’unica catena accettabile in democrazia a suo limite, ossia il rispetto della libertà altrui.
Ecco perché ogni anno il 2 giugno celebriamo, ricordiamo, giustamente festeggiamo quella possibilità che è stata data a tutti: ossia quella di un voto «personale ed eguale, libero e segreto» come dice l’articolo 48 della successiva Costituzione. Perché nel giorno di quella festa – appunto della Repubblica – rinverdiamo ogni anno il ricordo anche delle lunghe file ai seggi che, sin dall’alba, fecero le nostre nonne oltre che i loro figli o i loro mariti che le accompagnavano, prima che, del pari, la forza di un votare nato su una divisione tra italiani e finito, giustamente, sempre di più per unire invece gli italiani, come ricorda spesso lo stesso presidente Sergio Mattarella.
Se si pensa allora a tutto ciò, “fa un po’ strano” come dire invitare qualcuno ad andare a votare, cioè a recarsi ai seggi, a maggior ragione avendo due giornate a disposizione (8 e 9 giugno) come è per queste elezioni europee.
E personalmente mi “fa strano” per almeno due ragioni.
In primo luogo, perché il 2 giugno è stato soltanto qualche giorno fa. E già il solo ricordo del valore del votare libero dovrebbe bastare in realtà a spingerci, con un largo sorriso, verso le urne: che sono, non a caso, generalmente ospitate nelle scuole dei nostri figli, ulteriore memento della funzione che svolge il voto proprio lì dove la democrazia italiana si fa – o si dovrebbe fare – quotidianamente.
In secondo luogo, perché sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme vero. Per l’angoscia potente del ritorno di una rude polarizzazione nella società, nelle strade, sui social media, così come per la violenza tra gli Stati, fatta di guerre evocate e minacciate, e di devastazioni già realizzate come in un’Ucraina invasa dalla Russia per sottometterla e annetterla, della ferocia disumanità di Hamas contro inermi cittadini d’Israele, e della conseguente reazione, crescentemente fuori criterio, del governo Netanyahu.
Ecco perché mi fa strano invitare qualcuno ad andare a votare per le elezioni europee.
Perché il tempo che abbiamo di fronte è tale che è la nostra stessa libertà – quella di cui godiamo quotidianamente – che, più di altri tempi, oggi invoca la nostra partecipazione al voto.
È la nostra stessa libertà che respiriamo da decenni a doverci spingere, oggi più che mai, ad andare a esercitare quel dovere civico che è, al fondo, il più semplice ma anche il più rilevante contributo al vivere libero che siamo chiamati a dare dopo quel 2 giugno 1946.
Se poi, a ciò, si aggiunge anche il merito di questo nostro andare a votare, ossia che si tratta di un voto per eleggere il Parlamento europeo, in una stagione mai come oggi decisiva per lo stesso futuro dell’Unione, la sorpresa che questo mio invito al voto mi provoca si dilata in magnitudo.
D’altronde: come è possibile immaginare di tirarsi indietro – di fregarsene, direbbero i fascisti di ieri e di oggi – da questa chiamata che il nostro tempo fa alle nostre coscienze di cittadini liberi? Come è possibile scrollarsi di dosso il peso che la Storia, con le sue sorprese e i suoi ritorni, ci ha caricato improvvisamente sulle spalle dopo un inizio di millennio in apparenza votato alla democrazia per tutti?
E poi – davvero non da ultimo – come è possibile discostare lo sguardo dritto, diretto, penetrante, fisso nei nostri occhi, che ci rivolgono tutti coloro che, di qua e di là dal Mediterraneo, di qua e di là dai confini ucraini, di qua e di là dall’Iran e da tante parti del mondo, sperano che il nostro votare sia faro e luce per loro che vivono lì dove regna la violenza, l’oppressione, il buio e la notte di ogni libertà e diritto?
Ecco perché è giusto, oltre che doveroso, andare allora a votare l’8 e il 9 giugno: per confermare la speranza di altri, prima che la nostra, che un altro mondo è ancora possibile.
Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico italiano e comparato nell’Università Sapienza di Roma. Di recente ha scritto “Il Presidente del Consiglio. Mediatore o decisore” e curato con altri il “Commentario alla Costituzione italiana”, entrambi editi da Il Mulino. Ha fatto parte della commissione sulle Riforme costituzionali nella legislatura 2013-2018