Anniversari
Alcide De Gasperi, costruttore di democrazia
A 70 anni dalla sua morte, la figura del presidente del Consiglio della Dc rivive in un libro di Antonio Polito. Perché sono tante le lezioni da tenere presenti del politico “conservatore, ma che fece fatti giganteschi”
A rileggere la storia c’è sempre da imparare: ripercorrere fatti ed eventi significa anche puntare una bella lente sull’attualità. Giustissimo, dunque, ricordare Enrico Berlinguer a 40 anni dalla scomparsa, Giacomo Matteotti a 100 anni dall’assassinio e Alcide De Gasperi a 70 anni dalla morte, in verità il meno celebrato. A farlo ci ha pensato Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera e già fondatore e direttore del Riformista, in un saggio che lui stesso ammette di avere laicamente costruito come un’agiografia, cioè come quei libri che raccontano le vite dei santi: “Il costruttore” (Mondadori, 2024, pagg. 204, euro 19), titolo che dice già tanto del primo presidente del Consiglio della nostra Repubblica, un uomo di segno opposto rispetto ai politici di oggi che vogliono rottamare, asfaltare, usare la ruspa. Ecco perché il libro è soprattutto una guida per chi governa il nostro Paese, dunque per la stessa Giorgia Meloni.
Ciò che salta subito all’occhio di quest’uomo politico di umili origini (nato il 3 aprile 1881 a Pieve Tesino e morto il 19 agosto 1954 a Borgo Valsugana), che non fece certo la rivoluzione, ma costruì la democrazia, è la sua unicità rispetto ai politici di oggi, ma anche ai suoi contemporanei, come Amintore Fanfani, suo successore alla guida della Democrazia cristiana. «Due aspetti ne fanno un uomo diverso – racconta Polito a L’Espresso – il primo è la sua profonda fede cattolica; era un uomo dalla grande forza morale ed etica. Il secondo è l’idea che aveva di nazione come convivenza di popoli con lingue diverse, idea che derivava dalle sue origini. Era nato, infatti, tra le montagne del Trentino, quando quel territorio era ancora sotto l’Impero asburgico, in cui convivevano nazioni differenti; questo gli aprì gli occhi sull’Europa».
Ma perché una persona come Polito, che «da giovane è stato un aspirante rivoluzionario» – non a caso era iscritto al Pci – decide di scrivere un libro su un leader che oggi definiremmo «conservatore»? «Con il passare degli anni – ammette – ho capito che l’azione concreta, le riforme, gli atti di governo cambiano un Paese molto più delle idee e delle parole. Oggi siamo ancora attratti dalle parole, mentre lui fece dei fatti giganteschi. Un uomo conservatore, è vero, non era un rivoluzionario. Eppure tolse un milione di ettari di terra ai proprietari terrieri per distribuirlo ai contadini; investì una cifra enorme di soldi pubblici nel Mezzogiorno; portò l’Italia, sconfitta dalla guerra, nel Patto Atlantico; creò l’Eni… Ebbe la capacità di cambiare il Paese. I suoi otto anni di governo assomigliano agli anni del governo laburista Attlee in Inghilterra».
De Gasperi aveva un’idea molto chiara di democrazia come anti-dittatura, per questo fu fortemente antifascista (andò anche in carcere) e anticomunista. Rischiò, anzi, di fare la stessa fine di Matteotti, quando fu sequestrato dalle camicie nere; si salvò solo grazie a un parlamentare che lo riconobbe e convinse gli squadristi a lasciarlo andare. «A fine luglio, con un gruppo di amici faremo un cammino che abbiamo chiamato “del Santo e del Martire” – racconta Polito – partiremo da Fratta Polesine, città natale di Matteotti, e arriveremo a Borgo Valsugana, dove morì De Gasperi». Un modo per ricordare due personaggi entrambi animati da un forte sentimento antifascista.
Che cosa significhi essere democratico è per Polito la prima lezione di De Gasperi. Ne individua altre quattro: la politica estera come chiave della politica interna; il rigore nella spesa pubblica per la crescita economica; l’importanza per l’Italia di sollevare il Mezzogiorno; la convinzione di avere un premier veramente forte solo se i partiti sono deboli e le istituzioni forti, non il contrario.
«Il libro è un saggio sull’attualità – continua – De Gasperi ha disegnato il campo di gioco in cui si svolge la battaglia politica: tutt’oggi discutiamo di Nato, Europa, Mezzogiorno, riforma elettorale… Bisogna ricordare a Meloni dentro quali confini si può governare: non si può rinunciare alle alleanze internazionali, al rigore, al Sud, a un sistema politico più efficiente».
Eppure la sua figura è stata quasi dimenticata (salve talune eccezioni, come il bellissimo spettacolo di Carmelo Rifici con uno strepitoso Paolo Pierobon: “De Gasperi. L’Europa brucia”). Sicuramente alimentò la rimozione della sua eredità politica la cosiddetta Legge Truffa, «che poi tanto truffa non fu», ma che senza dubbio oscurò il suo operato. Naturalmente non tutto gli riuscì alla perfezione, ma forse anche certi limiti possono insegnarci qualcosa, suggerisce Polito. Due in particolare: il primo è «la debolezza con cui fu deliberatamente disegnata la forma di governo nella Costituzione, squilibrata nel suo rapporto con il Parlamento»; il secondo è quello «di non essere riuscito a modificare la deriva del nostro sistema politico-legislativo verso una “Repubblica dei partiti”».
Quando De Gasperi morì, il treno che doveva trasportare la sua salma da Borgo Valsugana a Roma fu accolto a ogni sosta da una folla di persone. Diventerà santo? No, ma un processo di beatificazione è in corso. «Forse non sarà Beato, ma Venerabile sì – dice Polito – chi lo sostiene ci conta».