Quello dell’hate speech è un fenomeno montante che il CIO ha provato più volte ad arginare con scarsi successi. Come dimostrano i casi contro Alessio Foconi, Raven Saunders e su tutti quello che ha travolto la pugile Imane Khelif

Marlon Humphrey è un giocatore di football americano con un discreto passato da sprinter nell’atletica. Ha 28 anni, milita nei Baltimora Ravens, guadagna circa 15 milioni di dollari l’anno e d’estate ha un sacco di tempo libero. Deve essere per questo motivo che si è appassionato a Giochi Olimpici. Non sempre con le motivazioni migliori.

 

C’è una foto molto bella che riguarda Simone Biles, la straordinaria ginnasta che ha vinto tre ori e un argento qui a Parigi. La foto ritrae l’americana che ai piedi del podio, in compagnia della connazionale Jordan Chiles, fa un inchino reverente nei confronti di Rebeca Andrade, la brasiliana capace di battere entrambe nel corpo libero. Quella foto non è piaciuta a Marlon Humphrey che dopo averla pubblicata sul suo profilo “X” ha commentato: “Disgustosa”.

 

Non è chiaro cosa l’abbia infastidito. Magari solo il fatto che Simone Biles accettasse di buon grado una sconfitta. Ben chiara invece è la valanga di odio che il commento ha scatenato grazie agli oltre 220mila follower di cui dispone Marlow. C’è chi è arrivato ad evocare il ritorno della schiavitù (e comunque Marlon è afro-americano). È dovuta intervenire Michelle Obama. L’ex First Lady ha esaltato quell’immagine di sportività, provando chiudere la questione. Humphrey ha cancellato il post.

 

C’è una bella e nota storiella che ci sta bene a questo punto del racconto. È quella del vaso di vetro riempito di formiche, la metà sono rosse e l’altra metà nere. Lo appoggi da qualche parte e non succede assolutamente nulla. Ma se qualcuno prende in mano il vaso e lo scuote energicamente, le formiche si agiteranno parecchio, quelle rosse vedranno in quelle nere una minaccia – e viceversa – e tutte proveranno a divorarsi a vicenda. Marlon Humphrey è il tizio che scuote il vaso di vetro pieno di formiche. Purtroppo non è da solo.

 

Quello dell’hate speech, l’odio verbale, è un fenomeno montante che il CIO ha provato più volte ad arginare. I successi sono per ora scarsi. Ci sono studi del Comitato Olimpico che spiegano come il dilagare dell’abuso verbale sui social media, abbia un impatto consistente sulla salute mentale di atleti di alto livello. Coloro che si rivolgono a uno psicologo per questo motivo, sono in aumento del 43% rispetto alle stime fatte tre anni fa a Tokyo.

 

L’Olimpiade non è una nuvoletta che galleggia in un mondo di frutta candita. Spesso riflette quel che siamo. Raven Saunders, pesista americana che aveva vinto l’argento a Tokyo, è giunta a Parigi col desiderio di non passare inosservata. Col volto completamente coperto e un paio di occhiali fosforescenti, si è presentate in pedana sotto forma di manifesto vivente per i diritti civili. Nera, omosessuale, con un passato alle prese con disagi mentali, Raven ha scelto di mascherarsi come una specie di Hulk – il suo istinto interiore, dice – per lanciare un messaggio. Risultato? Una caterva di insulti e minacce. Il lancio del peso invece è andato male. Solo undicesima.

 

Ne sa qualcosa il fiorettista azzurro Alessio Foconi, “responsabile”, secondo il popolo delle formiche rosse che lo ha travolto con ogni genere di ingiurie, di aver fatto perdere l’oro a squadre contro il Giappone. Alessio l’ha presa sul ridere pubblicando un video spassoso di risposta. Ma non c’è proprio da scherzare.

 

Ma i bersagli di questi Giochi sono davvero tanti e volendo tracciare una competizione virtuale tra gli atleti più odiati, scopriamo subito che non c’è stata competizione. Su tutti spicca il nome di Imane Khelif, la pugile algerina, che l’altra notte si è laureata campionessa olimpica nella categoria 66kg. Il caso di cui tutto il mondo non può fare a meno di parlare.

A vanvera.

 

Il caso
Da Meloni a Musk, le bugie sul corpo di Imane Khelif rivelano la faccia feroce di una politica reazionaria
02-08-2024

 

È dovuto intervenire il Presidente del CIO Thomas Bach in persona, per cercare di spegnere le fiamme divampate attorno alla ragazza che la metà del pianeta è convinta che sia un uomo che si traveste da donna. Bach ha condannato le brutalità cui è stata sottoposta la campionessa, costretta a muoversi in questi ultimi giorni con al seguito una scorta personale: “Imane è una donna, ha sempre gareggiato da donna e da anni lo sanno tutti. Chiudiamo il caso”.

 

Il caso dovrebbe chiudersi con la presentazione di prove inconfutabili. Kim Novak, uno dei sex-symbol del cinema americano degli anni 50’, attrice amata da Alfred Hitchcock, possedeva lo stesso bagaglio genetico di Imane Khelif (46 XY, ovvero cromosomi da uomo). Così, tanto per dire.

 

Ma all’odiatore di professione le evidenze interessano poco. Ogni prova contraria è presa come conferma di un complotto ancora più grande. E quando gli odiatori che ti definiscono un uomo portano il nome di Elon Musk, Donald Trump e persino J.K. Rowling (la creatrice di Harry Potter che ha lanciato da tempo una feroce campagna contro le persone trasgender), per una ragazza algerina che sognava semplicemente di andare all’Olimpiade, si mette male.

 

Nell’unica intervista rilasciata in questi giorni alla BBC, Imane si è detta scioccata dall’ondata di disprezzo ma anche molto confusa: “Mi sono allenata con le pugili italiane per settimane prima dei Giochi. Ci conosciamo da anni, ancora non posso credere che questa storia si partita da loro”.

 

Al suo ritorno in Algeria è attesa da una sontuosa festa. Dopo di che Imane spera di essere dimenticata per un bel po’.