Ritardi e lavori ancora in corso nelle strutture di Gjader e al porto di Shengjin mentre vengono ridotte a un terzo le stime di 3.000 arrivi al mese. E l'opposizione attacca

"Ndal! Zonë ushtarake”. Il cartello circondato dal filo spinato recita in albanese “Stop! Zona militare”. Così si presenta Gjader, ex base militare, 70 chilometri a Nord di Tirana. Qui sta sorgendo uno dei due centri di accoglienza per migranti previsti dal controverso protocollo tra Italia e l’Albania. L’altro centro si trova poco più a Sud all’interno del porto di Shengjin. L’accordo firmato dalla premier Meloni e dal primo ministro Rama lo scorso novembre a Roma prevede ogni anno nel paese dei Balcani l’arrivo di 36.000 migranti recuperati dalle navi italiane. I lavori sono iniziati in primavera e dopo numerosi ritardi, forti critiche e costi lievitati (si sfiora il miliardo di euro) l’operazione sarebbe pronta a partire. Quando visitiamo i due siti siamo i primi giornalisti. Superato il primo check point arriviamo all’ingresso di un’area da 70.000 metri quadrati. La costruzione procede a rilento e Meloni, dicono, sia «furiosa»: si sta giocando la reputazione. Ci sono stati già tre rinvii. «Colpa del caldo e del terreno difficile, ma ormai ci siamo», taglia corto all’ingresso l’Ambasciatore d’Italia in Albania Fabrizio Bucci.

 

Accatastati sul terreno, decine di infissi nuovi di zecca. Porte, finestre, pareti divisorie, tutto ancora imballato. La montagna che sovrasta l’area sta andando a fuoco e siamo immersi nel fumo. «C’era un incendio che però è stato domato, merito di due nostri canadair», rassicura l’Ambasciatore Bucci. Prima di entrare, il responsabile della sicurezza ci ferma per illustrare le regole da seguire. «Il cantiere è ancora attivo», spiega. Superato il pesante cancello, e accompagnati da alcune delle centinaia di agenti dell’unità interforze impiegata sul posto (Polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria), seguiamo un sentiero, l’unico minimamente asfaltato, e superiamo ruspe, mezzi pesanti e prefabbricati smontati. La prima delle tre zone attese a Gjader è quella che ospiterà i richiedenti asilo a cui viene applicata la procedura accelerata di frontiera. La prefettura di Roma (da remoto) avrà 28 giorni per valutare le domande. Riusciamo a vedere le stanze che ospiteranno i migranti: 15 metri quadrati per 4 persone. L’interno è spoglio e l’elettricità non ancora collegata. Nell’area docce ci sono indicazioni tradotte in italiano, inglese e francese. Poco distante, il centro per il rimpatrio e infine un mini-penitenziario dipinto di blu con porte e finestre blindate.

 

 

Il contesto ricorda il Piano Ruanda dei conservatori britannici, poi fallito e mai applicato. «Il paragone è inappropriato, le due idee sono diverse. Qui applichiamo la legge italiana, anche se siamo in Albania. E comunque la legislazione albanese è ormai equiparabile a quella europea», precisa l’Ambasciatore.

 

Nelle intenzioni del governo italiano, prima di raggiungere Gjader, i migranti dovrebbero sbarcare a Shengjin. Ci spostiamo quindi verso la costa, dove in un’area di 6.000 metri quadrati con 4 edifici a 2 piani protetti da un muro alto 5 metri avverrà lo screening iniziale e la prima identificazione. Il dirigente della Polizia di Stato Evandro Clementucci, a capo di Shengjin, ci aspetta nella sala di controllo dove si possono monitorare le 36 telecamere a circuito chiuso. Clementucci spiega che solo gli uomini single recuperati in acque internazionali arriveranno qui. Non chi viene salvato dalle navi delle Ong o chi riesce a raggiungere direttamente la costa italiana. Inoltre, solamente i cittadini di Paesi considerati sicuri dal governo (come Tunisia, Egitto, Algeria, Nigeria, Marocco e Bangladesh) potranno sperare in un’opportunità, perché, in caso di domanda respinta, almeno potranno essere rimpatriati, grazie agli accordi stipulati dalla premier Meloni nei mesi scorsi. L’accertamento delle nazionalità avverrà direttamente in mare, appena concluso il salvataggio, spiegano.

 

A Shengjin è al lavoro uno staff di 70 persone, tra operatori privati e ufficiali della polizia. Alcuni investigatori avranno il compito di catturare eventuali scafisti. I migranti che giungono qui dovranno sottoporsi a una valutazione sanitaria e gli sarà fornito cibo, acqua e vestiti, oltre a un’assistenza legale. «Voglio essere chiaro: non li vedo come criminali. Li tratteremo come nostri ospiti, vogliamo che siano al sicuro», precisa Clementucci. All’interno della struttura ci sono le sale d’attesa, l’ambulatorio medico, i bagni e i parcheggi dei bus che dovranno poi partire verso Gjader.

 

La capacità di entrambi i centri avrebbe dovuto essere di 3.000 migranti al mese, ma da quello che apprendiamo qui sarà di 1.000 persone. I migranti che otterranno l’asilo saranno trasportati in Italia tramite dei traghetti. Per il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il progetto è «un innovativo modello di gestione dei flussi migratori illegali». Quindici dei 27 Stati membri dell’Unione avrebbero già chiesto all’Italia di condividere i dettagli. Un portavoce della Commissione europea comunica che l’Unione sta «monitorando» il piano italiano: «È importante che sia pienamente rispettato il diritto dell’Ue e quello internazionale». Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie del Pd, definisce il protocollo «un atto osceno sul piano civile e sociale». Per Riccardo Magi, segretario di Più Europa, si sta costruendo una «Guantanamo italiana che non rispetta i diritti umani e le leggi internazionali». Riuscirà Meloni nella sua impresa?