Femminicidio
«Violenza sulle donne, lo Stato non riconosce la gravità del fenomeno. Le norme ci sono ma nessuno le applica»
Al numero 1522 arrivano in media 7.500 telefonate al mese. Parla Elisa Ercoli, presidente di Differenza donna. «Ok il rigore ma il codice rosso non viene messo in atto»
L’otto di luglio 2024 il contatore di morte di Non Una Di Meno registra 56 donne vittime di “femminicidio”, cioè la morte di una donna progettata da un uomo perché si rifiutava di agire secondo le sue aspettative. Una parola che illumina e dice due cose: che è morta una donna e il perché è stata uccisa. Elisa Ercoli, presidente dell’associazione Differenza donna, da trent’anni al fianco delle donne vittime di violenza, rivela alcuni dati che raccontano l’abisso: «Al numero antiviolenza e stalking 1522 riceviamo al mese 7.500 contatti. Di questi il 90% sono casi che necessitano di un reale intervento. Donne che hanno subito direttamente una violenza. Siamo però consapevoli che questo è solo il 10% del fenomeno. Se emergesse tutto saremmo sconvolte».
I centri antiviolenza sembrano i soli dentro questo tempo a prendere sul serio la paura delle donne ancora vive. Quello che serve si sa da tempo, spiega Ercoli: corsi di formazione scolastica contro gli stereotipi di genere che ancora costruiscono il maschile possessivo ed esigono il femminile remissivo. Educare anche le istituzioni. Progetti strutturali che questo governo, come i precedenti, sottovaluta.
Presidente Ercoli si può dire soddisfatta dell’azione del governo Meloni sul fronte del contrasto alla violenza di genere?
«Le nuove norme messe in campo da questo governo come il dl Roccella, approvato all'unanimità il 24 novembre 2023, rafforzano il codice rosso. Sono specificati i metri di distanza rispetto all'applicazione delle misure cautelari, un'altra specifica che non si possono sospendere le misure cautelari perché un uomo è entrato in un percorso di elaborazione rispetto a un comportamento violento. Sono tutte iniziative positive, mi fermerei però qui: abbiamo norme bellissime ma non le applichiamo».
Perché?
«Abbiamo un problema culturale enorme e trasversale che ha a che vedere con quella famosa cultura patriarcale che spesso viene beffata. Chiunque di noi ha stereotipi e pregiudizi che tendono a banalizzare la violenza maschile sulle donne fino a non vederla. È il tabu più antico che ci sia. Noi come centro antiviolenza abbiamo il compito di togliere questo velo che copre la violenza maschile e renderla visibile».
Quindi cosa fa lo Stato?
«Non riconosce la gravità e i tre cardini della Convenzione di Istanbul, prevenzione, protezione, persecuzione, non sono ancora veramente applicati. La questione dell'educazione è ignorata. Bisognerebbe sgomberare il campo da ogni stereotipo e mettere a sistema politiche che facciano formazione nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nei servizi sociali, sanitari. Serve arginare anche la violenza secondaria e istituzionale che viene messa in atto quando non si riconoscono le gravità dei crimini di genere subiti e quindi facendo una differenziazione netta tra chi ha agito e subito il reato».
Le risorse sono state aumentate da 27 a 40 milioni.
«Il problema del governo è la capacità di spesa. Abbiamo aumentato questi soldi, spendiamoli. Ma bene. Più case rifugio, per esempio. Abbiamo una copertura di case rifugio che è solo del 5% rispetto a quello che è il tetto stabilità dall'Ue. Un posto letto ogni diecimila abitanti. Le case rifugio non devono essere a retta ma pagate dal fondo nazionale. Se sono a retta gravano sui singoli comuni, diventano responsabili i servizi sociali e non sono più la protezione immediata di cui abbiamo bisogno».
A proposito di fondi. Ha fatto molto rumore negli ultimi mesi un comitato promotore contro la violenza sugli uomini che ha lanciato un numero verde e si distingue dal vostro per una cifra. C’è stata anche una richiesta di fondi. Che idea si è fatta?
«Sarei molto felice di incontrarlo e mettere in fila quali sono state le lotte delle donne italiane a partire dal 1948 fino a oggi per ottenere una cittadinanza piena. Sappiamo che per gli uomini è difficile abbandonare i privilegi che hanno avuto fino a poco tempo fa, questi tentativi lo dimostrano. Non amo entrare in un campo di confronto. È antiscientifico. I dati sulla violenza delle donne sugli uomini sotto forma di osservatorio permanente non esistono perché il fenomeno non è strutturale quanto lo sono invece i numeri vertiginosi della violenza maschile sulle donne».
Cosa la colpisce di questa storia?
«Che il numero non esiste. Penso che dovrebbe rispondere legalmente chi diffonde un numero di pubblica utilità che non esiste. Conosciamo bene le risposte sovraniste di chi attacca le politiche di affermazione della liberazione delle donne. Bisogna relegarle nella falsità dei principi che portano. I centri antiviolenza agiscono dentro una metodologia sperimentata, monitorata, riconosciuta e scientifica. Agiamo su un fenomeno sociale così importante da influire sulla sopravvivenza. Assistiamo a femminicidi e figlicidi, donne che rimangono vittime di schiavitù per anni. In Italia va diffusa un po’ di più la cultura dei diritti umani e in particolare dei diritti umani delle donne e dei bambini che attraverso la violenza maschile sono la violazione più diffusa in tutta Italia. Esiste il numero 1522 per indicazione dell’Ue: serve risposta generale 24 ore su 24. C’è tanto da lavorare. Dentro questo tempo non tutte riescono a chiedere aiuto, perché non si sentono accolte. Le donne devono potersi fidare».