Un’associazione riunisce diversi gruppi sparsi per l’Italia che discutono online e in presenza di temi e “osano” mettere in discussione l’attuale modello di identità maschile. Il contrario delle chiacchiere da spogliatoio (foto di Marco Valle)

«Dove sono le femministe?» è la domanda che viene posta, spesso in maniera pretestuosa, quando le donne sono vittime di abusi e violenze, ma a ben guardare i veri assenti sono gli uomini. Una presa di parola chiara e forte dei maschi fatica infatti a emergere nel dibattito pubblico sulla violenza maschile contro le donne.

Per questa ragione nel 2007 è nata l’associazione Maschile Plurale, una rete di uomini «impegnati in riflessioni e pratiche di ridefinizione della identità maschile, plurale e critica verso il modello patriarcale, anche in relazione positiva con il movimento delle donne», come si può leggere sul sito che riunisce i vari gruppi sparsi per l’Italia.

 

«Si tratta di un percorso iniziato a metà degli anni Ottanta», spiega Stefano Ciccone, uno dei fondatori della rete che fin dai suoi primi passi ha accolto uomini con esperienze diverse alle spalle, dal movimento per la pace, con la sua opposizione al militarismo e al maschilismo, a realtà religiose come quella valdese. «Alcune storie sono più politiche, altre più personali o spirituali», sottolinea Ciccone.

Girolamo, 43 anni, vive a Roma con la compagna e due figli. Di professione “life coach” alla nascita di sua figlia Gaia decide di diventare un papà  femminista e di “allenarsi” alla alla paternità di genere.

Tutte storie accomunate da un dialogo proficuo con i femminismi, visto che il lavoro dei gruppi che fanno parte dell’associazione si basa sulla consolidata pratica femminista dell’autocoscienza. Uno strumento “essenziale” per gli uomini, come scrive bell hooks ne “Il femminismo è per tutti” (Tamu Edizioni). Secondo la scrittrice e intellettuale afroamericana recentemente scomparsa «i maschi di tutte le età hanno bisogno di ambienti in cui la loro resistenza al sessismo sia espressa e valorizzata».

 

In questi spazi di condivisione si affrontano varie questioni: dalla paternità al rapporto con le donne e tra uomini, fino alla sessualità e all’affettività. Temi che difficilmente rientrano nelle cosiddette “chiacchiere da spogliatoio” concesse agli uomini in una società patriarcale.

 

A Roma gli incontri di Maschile Plurale prima della pandemia si svolgevano ogni due settimane alla Città dell’Utopia, un laboratorio sociale e culturale nel quartiere San Paolo. La scenografia era essenziale. Delle sedie in circolo, un veloce giro di presentazioni e due regole: non interrompere e non giudicare chi parla.

Negli ultimi due anni l’emergenza sanitaria ha reso molto difficile vedersi di persona ma, dopo un lungo periodo di spaesamento, si è rivelata anche un’opportunità. «La modalità dell’incontro online ci ha permesso di coinvolgere gli uomini che si trovano in città dove non sono presenti gruppi di condivisione», dice Ciccone.

Massimiliano , 47 anni, vive a Genova dove lavora come massaggiatore ed operatore olistico. Nel 2020 si unisce agli incontri periodici dell’associazione Maschile Plurale dopo due eventi importìanti della sua vita: la fine di una relazione sentimentale di lungo corso e delle molestie sessuali subite durante il lavoro

Massimiliano, 47enne di Genova, è tra le persone che in questo periodo hanno avuto modo di partecipare alle riunioni su Zoom del gruppo romano. Al termine di una relazione sentimentale lunga e travagliata si è interrogato sull’esistenza di una questione culturale che andasse oltre la crisi personale che stava vivendo. Ma la vera scintilla nel suo caso è stata una molestia subita sul posto di lavoro da parte di un uomo. «La possibilità di reagire senza temere conseguenze mi ha fatto riflettere». Una riflessione sulla violenza maschile che ha potuto sviluppare e condividere in un ambiente «accogliente e disposto ad ascoltare, anche perché con gli amici, quando le emozioni da gestire sono complesse, spesso ci limitiamo a buttarla sul ridere».

 

Filippo, 40 anni, invece è di Roma. Maestro di scuola dell’infanzia e padre di due gemelli di tre anni, ha scoperto l’esistenza di una rete di uomini tramite un’amica attiva in varie associazioni. «Ho apprezzato il cambio di prospettiva offerto da un convegno online di Maschile Plurale», racconta: «Ho trovato molto interessante ripensare un certo tipo di esperienza maschile, quella più comune e diffusa, come qualcosa di impoverente anche per gli uomini».

Nino, 72 anni, è un membro dell’associazione Maschile Plurale. A 65 anni ha fatto coming out, si è separato dalla moglie ed è venuto a Roma, dove ha cominciato a frequentare gli incontri di Maschile plurale

I gruppi di autocoscienza maschile rappresentano una novità per chi come lui si è sempre confrontato solo con colleghe, amiche e compagne. Filippo è inoltre convinto che «essendo (noi uomini) poco abituati a discussioni così intime, forse la distanza finisce con l’agevolarci. Per me funziona, mi sta proprio cambiando la vita. La ricchezza di questo gruppo è avere l’opportunità di interrogarsi su cosa voglia dire essere uomini».

 

La messa in discussione dei modelli dominanti di maschilità non può ignorare, come illustra il filosofo femminista Lorenzo Gasparrini nel suo libro “Perché il femminismo serve anche agli uomini” (Eris Edizioni), che «il principale inganno che crea il sistema patriarcale nei pensieri e nei gesti degli uomini è l’illusione della loro libertà, l’idea che il mondo sia a loro disposizione per realizzare i loro desideri, la convinzione di non essere toccati da costrizioni e imposizioni legate al loro genere».

 

Un’illusione, aggiunge Gasparrini, che «poggia su solide basi: i condizionamenti che fondano la “normale” maschilità, la “naturale” identità maschile. Condizionamenti facilmente riassumibili in quei caratteri tipici del maschio alpha: essere sicuri di sé, mostrare di non avere paura di nessuno né del giudizio degli altri; avere spirito combattivo, non arrendersi né lasciarsi andare; incarnare una forma di autorità, di potere o di talento».

 

Riconoscere che il patriarcato, un sistema sociale che ancora oggi premia soprattutto uomini etero e bianchi, nega ai maschi un ampio spettro di emozioni (dalla tristezza alla paura), può rappresentare un momento trasformativo. Questo è il punto di partenza di molte riflessioni all’interno di Maschile Plurale.

 

Da questa consapevolezza per Ciccone scaturiscono due concetti che vanno tenuti insieme: ammettere di essere parte di una dinamica di potere, assumendosene la responsabilità, e «non avere un approccio solo volontaristico, ma cercare in questo processo di cambiamento anche un beneficio per gli uomini altrimenti c’è il vittimismo maschile oppure la presunzione di estraneità al sistema di dominio».

 

Un tema che in passato ha creato attriti all’interno della rete è il rapporto con la violenza maschile contro le donne. «In un paio di situazioni uomini di Maschile Plurale sono stati accusati dalle proprie compagne di aver avuto comportamenti psicologicamente violenti e una parte del femminismo ha colto l’occasione per esprimere fastidio e diffidenza verso il movimento maschile, sostenendo che non ci sono uomini affidabili e buoni, e che dietro gli uomini c’è sempre una fregatura». Ma il problema, sempre secondo Ciccone, «non è dividere tra buoni e cattivi, semmai dividere tra chi prova a lavorare su un percorso di consapevolezza e chi sceglie di non mettersi in discussione».

 

La questione della violenza maschile contro le donne rientra comunque in un discorso più ampio di critica al modello patriarcale. Infatti un altro aspetto cruciale, anche alla luce della pandemia che ha riaffermato l’importanza del lavoro di cura, è il rapporto tra paternità e mondo del lavoro.

Alberto, 71 anni, giornalista in pensione è uno dei fondatori, insieme a Stefano Ciccone, di Maschile Plurale

Negli ultimi mesi, una petizione per chiedere che venga adottato anche in Italia il congedo di paternità a tre mesi, previsto e applicato in tutta Europa, ha raccolto oltre 30mila firme. Il promotore dell’iniziativa è Girolamo Grammatico, life business coach specializzato nel “parental coaching”, ma soprattutto “papà femminista” (come si definisce da alcuni anni) di Gaia, 10 anni, e Gioele, 7. «Quando ho sentito del congedo di paternità bloccato alla Camera per mancanza di fondi mi sono chiesto perché non ci fossero padri arrabbiati. E la risposta è stata immediata: non ci sono perché ancora una volta è tutto a carico delle donne», ammette Grammatico. «Per le donne è una questione di parità e quindi si mobilitano, mentre noi uomini siamo così privilegiati che non sentiamo il bisogno di attivarci per qualcosa che potrebbe servirci ma non riteniamo necessario», aggiunge.

 

Dal mondo del lavoro arrivano anche piccoli segnali incoraggianti, come evidenzia Gasparrini spiegando i cambiamenti della sua attività di formatore in questioni di genere ai tempi della pandemia. «Nelle aziende si è passati da quelle che potremmo definire lezioni frontali agli incontri online dove, per via della sicurezza creata dalla distanza, i partecipanti sono riusciti ad aprirsi maggiormente. Si è iniziato a parlare dei problemi personali, capendo che in molti casi quelli che si presentavano nella vita relazionale ricomparivano nella vita aziendale sotto forme diverse. Una scoperta che per molte persone è stata salutare».

 

La sfida non più rimandabile per gli uomini che si sentono incastrati nelle maglie oppressive della cosiddetta “mascolinità tossica” è quella di sviluppare una presa di parola in pubblico che non si sovrapponga, coprendola, alla voce delle donne. È giunto il tempo di «sviluppare il concetto di alleato politico», come auspica Gasparrini. Recuperando un celebre motto femminista degli anni Settanta («il personale è politico») gli uomini disposti a riflettere sulla propria posizione di privilegio non possono accontentarsi di affrontare la questione solo nei loro gruppi di condivisione.