Più di trenta persone al giorno decidono di togliersi la vita, soprattutto giovani. Segno di una società dove la competizione spinge lo stress a livelli insostenibili

Il nostro appuntamento è alle 21. Attraversiamo il grande parco dell’isola di Yeouido e quando arriviamo nella stazione del soccorso subacqueo del 119, i vigili del fuoco coreani, troviamo solo un operatore ad accoglierci. Il resto della squadra è impegnato in un intervento, il quinto della giornata. Ci avevano avvertito, la maggior parte dei soccorsi sul fiume avviene di sera. Yeouido è un’isola sul fiume Han, Seoul. In poco più di 4 kmq di superficie ci sono il Palazzo dell’Assemblea Nazionale, il parlamento del Paese; la Seoul International Finance Center, tra i più importanti centri finanziari dell’Asia e il quartier generale della KBS, la radiotelevisione pubblica coreana. Un simbolismo così grande che il mondo politico, economico e radiotelevisivo della Corea del Sud viene chiamato Yeouido.

 

«Ci hanno segnalato il caso di un ragazzo del secondo anno delle superiori che è uscito di casa e non ha più risposto al cellulare. I genitori, preoccupati, hanno chiamato il numero di emergenza del 119. La posizione del ragazzo inizialmente individuata dalle nostre telecamere a circuito chiuso era sul Ponte Mapo. Siamo intervenuti». Won Jong Chan è il responsabile del reparto. «La nostra squadra entra in azione quando una persona tenta di suicidarsi gettandosi nel fiume. Il nostro lavoro consiste nel salvare la vita di queste persone».

 

A dare i numeri di quella che è un’emergenza nazionale è proprio Won Jong Chan: «Facciamo almeno quattro interventi al giorno, ma arriviamo anche a dieci. Nel 2023 ne abbiamo fatti 1500, 300 più dell’anno prima. A inizio giugno 2024 il numero dei soccorsi era già di 630». La stazione del 119 di Yeouido del team di Won Jong Chan è quella che fa più interventi sul grande fiume Han che attraversa Seoul. «A Yeouido c’è il quartiere finanziario e quando alla fine degli anni ’90 c’è stata la crisi economica che ha ridotto molte persone in situazioni disperate e minato la tenuta del sistema di tutto il Paese, il Ponte Mapo è diventato famoso come il ‘Ponte dei suicidi’. Tra i venti ponti sospesi sul fiume è il più vicino all’area di Dongyeoido - aggiunge Chan - sede della Krx, la Borsa e cuore della finanza e dell’economia coreana. È così che è diventato il luogo simbolico per chi decideva di compiere un gesto estremo in risposta alla perdita del lavoro, dei risparmi o della stabilità economica». Tutt’oggi rimane il ponte con la più alta accessibilità pedonale tra i ponti di Seoul e quello scelto dai coreani per porre fine alla loro vita. Nelle quattro ore che passiamo con la squadra del soccorso subacqueo seguiamo tre interventi: due ragazzi e una donna che hanno provato a buttarsi nelle acque dell’Han. Per Won Jong Chan «ogni salvataggio è una lotta contro il tempo, ma anche contro un sistema che sembra non ascoltare il grido di aiuto delle persone».

 

La Corea del Sud, la quarta potenza economica dell’Asia, celebrata in tutto il mondo per il suo progresso tecnologico, il successo dell’industria culturale, cinematografica e musicale, nasconde un lato oscuro che la colloca in cima a una drammatica statistica: ha il tasso di suicidi più alto tra i paesi dell’Ocse. Ogni giorno in Corea del Sud si tolgono la vita circa 36 persone, un numero che riflette il profondo malessere sociale radicato nella modernità della nazione.

 

Le sfide che il Paese del “miracolo sul fiume Han” deve affrontare nella prevenzione del suicidio sono molte e in buona parte dovute ai finanziamenti inadeguati da parte delle istituzioni governative e alla poca condivisione dei dati sui suicidi. Nonostante l’adozione della legge sulla prevenzione del suicidio nel 2011, i centri locali di salute mentale non inviano in maniera puntuale dati tempestivi e dettagliati, essenziali per sviluppare strategie efficaci. Le agenzie governative trattengono le informazioni aggiornate per evitare danni reputazionali ai distretti con alti tassi di suicidio.

 

La Korea Foundation for Suicide Prevention, istituita per affrontare e ridurre il tasso di suicidi, cerca di rafforzare con diverse iniziative la rete di sicurezza della vita nella società coreana. A partire da luglio 2024, tutti gli studenti delle scuole elementari, medie e superiori, insieme ai dipendenti delle istituzioni pubbliche, sono tenuti a partecipare a programmi di educazione alla prevenzione del suicidio con l’obiettivo di ridurre il tasso di suicidi del 30 per cento entro il 2027, portandolo a 18,2 suicidi per 100 mila persone, ma senza cambiamenti politici significativi questo obiettivo appare irrealistico.

 

Gli ostacoli sono radicati nella società. Oltre alle iniziative di prevenzione, è necessaria una trasformazione profonda della cultura sociale. L’intera società è basata su un sistema altamente competitivo che ha come obiettivo il successo. La competizione e la pressione sociale per un futuro brillante iniziano nei primi anni di vita. Dopo l’istruzione pubblica, i genitori garantiscono ai propri figli sin da piccoli un’istruzione privata nei costosissimi e prestigiosi hagwon, istituti scolastici specializzati in materie specifiche, che preparano i giovani coreani a sostenere il suneung, l’esame evento nazionale che ferma tutto il Paese e che si tiene a metà novembre di ogni anno. Un test il cui punteggio è determinante per accedere alle tre università più prestigiose di Seoul, le cosiddette Sky: Seoul National University, Korea University e Yonsei University.

 

In una società dove la velocità e la produttività sono valori assoluti, la pressione sociale e l’isolamento per chi non è in grado di sostenere questa grande corsa al successo, insieme allo stigma sociale che riguarda la salute mentale, produce «una celebrazione dei vincitori e un’esclusione sistematica dei falliti» come afferma Hwang Sok-Yong, scrittore e voce critica della società coreana. «Chi non riesce a stare al passo è spesso lasciato nell’ombra, invisibile e dimenticato».

 

Jang Jun-ha lavora come psicologo clinico nel Centro di Salute Mentale di Seoul: «Mi occupo principalmente di consulenze per i familiari delle vittime di suicidio e di persone ad alto rischio di suicidio cercando di offrire loro la speranza per poter andare avanti». Il suicidio è un tragico evento che Jun-ha ha vissuto da vicino con la morte del fratello: «Sono stato io a trovare per primo il corpo di mio fratello. Non aveva mai mostrato alcun segno di sofferenza. Lo guardavamo tutti come l’unica speranza per la nostra famiglia che in quel momento era in difficoltà. Credo che questo sia stato un peso troppo grande da sopportare per mio fratello. Un peso che non ha condiviso con nessuno».

 

Da quel giorno aggiunge Jang Jun-ha: «visito le scuole per spiegare ai bambini i segnali comuni di una persona che sta pensando al suicidio e cosa si può fare per aiutarla. Le persone in Corea hanno paura di parlare di suicidio e quindi evitano di farlo. Come se tra queste luci brillanti, nell’abbondanza della città luccicante, la morte non esistesse».