Immigrazione
In fila per giorni, così il permesso è un'umiliazione
Da Torino a Roma, centinaia di persone devono affrontare code estenuanti fuori dalle questure per avere o rinnovare i documenti di soggiorno. Tra ritardi e prassi illegittime. Che si potrebbero evitare
Sono le quattro di un pomeriggio fradicio d’inizio febbraio e dietro le transenne di corso Verona già ci si prepara per la notte. Soprattutto, si compila «la lista». È un pezzo di tovagliolo: a mano a mano che si presentano le persone, si annotano i nomi per indicare l’ordine. Ma non può esserci ordine qui, davanti alla Questura di Torino, dove le leggi non valgono per tutti, anzi, non valgono proprio. Lo sa bene Paula Ospina che ha 34 anni e abita in Italia da sei, è fuggita dalla Colombia ed è una rifugiata politica. Fa strada tra i tappetini da yoga e i cartoni di Peroni che più tardi faranno da letto. Lei, che studia Relazioni internazionali e lavora in una piadineria, il 19 gennaio scorso si è messa in coda per due giorni e mezzo per ottenere l’appuntamento necessario a rinnovare il suo permesso di soggiorno: «Ho portato tenda, materasso. E grazie al mio fidanzato e a una catena di amici ci siamo dati un po’ il cambio, così sono potuta andare al lavoro». Paula era la numero 38, quando si è presentata quella domenica mattina. Le persone ricevute, in media, non sono più di 40 al giorno. «C’erano bambini, nonni, a terra con una coperta: così ho fatto un appello su Instagram a portare bevande calde, medicine. Un ragazzo aveva la febbre». Finalmente arriva martedì, giorno di apertura dell’ufficio. «Un gruppo di persone prepotenti, disperate, ci passa davanti, mentre noi avevamo trascorso la notte sotto la pioggia. Sono scivolata al numero 80. Non ce l’avrei fatta, se le persone in fila non mi avessero fatta passare. Mi dicevano: ci hai aiutato, te lo meriti», racconta Paula e la voce si spezza. Tutto questo, solo per l’appuntamento: «A marzo».
È anche grazie alla denuncia social di Paula, attiva nel gruppo “Las politicas migrantes”, che si sono accesi i riflettori sulla coda della vergogna. Il risultato è stato il prolungamento di apertura degli uffici (prima due giorni a settimana, ora quattro), gazebo e bagni chimici. La Prefettura ha annunciato che da marzo l’ufficio sarà trasferito in un edificio più ampio in corso Bolzano (l’attuale sede è dichiarata inagibile dal 2022). Ma il problema resta. E non solo a Torino. «Le prassi sono strutturalmente illegittime; c’è una volontà precisa a non risolvere i problemi: li generano», spiega a L’Espresso Elena Garelli, avvocata di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Quest’ultima ha realizzato un report che mappa le prassi illegittime delle questure di tutta Italia su accesso ad asilo e accoglienza e sui ritardi cronici nel rilasciare e rinnovare i permessi, con dati del 2023, attraverso un questionario online a operatori e avvocati. «La violazione è sistematica – spiega Serena Ariello, operatrice del progetto contro le prassi illegittime di Asgi – le situazioni più critiche sono a Roma e Milano, ma anche in questure più piccole come Vicenza e Pisa. È razzismo istituzionale: immaginiamo se accadesse a persone italiane, costrette a mettersi in fila di notte per una pratica». Dalla quale dipende tutto: lavoro, casa, welfare. Senza, si diventa irregolari, invisibili.
La richiesta di documenti non necessari, persone cacciate via. Non sono storture, denunciano avvocati e operatori: è la normalità. A Torino, l’altro indirizzo da tenere a mente è via Dorè: «Qui si va per avviare la procedura di asilo, mentre chi ha un permesso da rinnovare va in corso Verona – continua Garelli – e non sono rari episodi di persone insultate o discriminate. In via Dorè è capitato che i funzionari dicessero: oggi basta latini. Oppure: un poliziotto chiede ai richiedenti asilo in coda di raccontare i motivi della loro domanda, per fare passare avanti i più vulnerabili. Così, chi ha subìto violenze e torture dovrebbe dirlo lì, davanti a tutti». Il quadro si aggrava con i decreti Sicurezza, soprattutto per chi proviene dai cosiddetti Paesi sicuri: in questi casi, denuncia Asgi, le questure si sostituiscono alle commissioni preposte a valutare le domande. In pratica, ne presuppongono l’infondatezza e non rilasciano il permesso provvisorio. L’altro aspetto riguarda la mancata prenotazione online. Dopo il caso Torino, anche in Piemonte dal 5 febbraio è attivo il portale “PrenotaFacile” per le richieste che non richiedono il kit postale. «Potrebbe essere un passo avanti. Se funzionasse», avverte Garelli che fa una prova. Risultato? Sullo schermo appare un punto esclamativo e la scritta: «Troppe richieste, riprovare più tardi».
A Roma, l’accampamento davanti alla Questura è la dimostrazione di «un ostruzionismo voluto», spiega l’avvocata Vittoria Garosci di Asgi. Perché l’anno scorso, a fronte di «centinaia di domande di asilo al giorno e appena dieci processate», Asgi e altre associazioni hanno presentato un ricorso collettivo anti-discriminazione. L’effetto è stato sorprendente: «In sei mesi la Questura si è dotata di sistemi organizzativi efficienti per sbrigare le domande, tanto che a ottobre il tribunale ha dichiarato cessata la materia del contendere». Questione risolta: «Il caos era dunque volontà politica». Dopo nemmeno un mese, però, tutto è tornato come prima: 20 domande processate e cento in fila. La battaglia, quindi, riprenderà: «Presenteremo una valanga di ricorsi per cercare interlocuzioni con il tribunale». È il tempo l’altra forma di discriminazione. Perché tra richiesta e rilascio del permesso c’è un limbo dilatato che va da tre a oltre sei mesi. Con effetti a cascata: la cancellazione dall’anagrafe del Comune e da quella sanitaria, contratti non rinnovati, sospensione (illegittima) dell’assegno unico e universale. Un ritorno all’irregolarità paradossale, perché la legge lo esclude espressamente: il Testo unico sull’Immigrazione (articolo 5, comma 9-bis) prevede che si consideri valido il permesso scaduto fino al rinnovo. Il 30 gennaio, la deputata Pd Maria Cecilia Guerra ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, partendo dal caso della diciottenne di origini nigeriane, nata a Torino, che non poteva presentare domanda per la Maturità perché non riusciva a rinnovare il permesso scaduto ed è stata accompagnata in Questura dalla sua professoressa. Durante un question time alla Camera, il deputato di Azione Fabrizio Benzoni ha posto il tema a Piantedosi: «Con il cedolino che registra la prenotazione non si può fare nulla; non è accettato per rinnovare l’affitto né per aprire un conto».
A Genova Manuel Aragundi, responsabile delle politiche di integrazione di Azione Liguria, ha lanciato una petizione online per rendere più agili le procedure. Che, «peraltro, costano circa 130 euro». La piattaforma è diventata un collettore di storie: «Ho una carta di lungo periodo e dopo dieci anni ho fatto richiesta di aggiornamento – racconta Maria B. – non immaginavo un’odissea come la prima volta: un anno di attesa per il fotosegnalamento, poi per un contrattempo ho perso l’appuntamento e mi hanno archiviato la pratica. Per tre volte sono andata alle 5 del mattino a prendere il ticket per avere informazioni: mi hanno detto che devo rifare la pratica da capo». A Torino, il 7 febbraio c’è stato il primo incontro del Comitato cittadino per le Voci migranti: per rivendicare dignità e un «permesso di soggiorno senza la fila dell’umiliazione». Intanto, in corso Verona si compila ancora la lista. Sperando che la mattina arrivi presto.