Le proteste, tuttavia, continueranno: le mosse delle autorità di Belgrado sono ritenute insufficienti

La Serbia si trova a un bivio nel suo percorso verso l’integrazione europea e, per avanzare in questa direzione, è fondamentale un dialogo tra governo, opposizione e società civile. Lo ha sottolineato la commissaria europea per l’Allargamento, Marta Kos, rispondendo alle preoccupazioni espresse da accademici, politici e organizzazioni serbe sulla situazione del Paese. Kos ha ribadito che il rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di riunione, è un principio irrinunciabile per l’Unione europea. Per questo Bruxelles si aspetta che le autorità serbe conducano un’indagine seria e imparziale sugli episodi di violenza contro i manifestanti e che evitino qualsiasi forma di repressione. La commissaria ha anche criticato l’uso di toni aggressivi nel dibattito politico, sottolineando che il confronto democratico deve basarsi sul rispetto reciproco. L’Ue continua a sostenere il processo di adesione della Serbia, convinta che le riforme richieste possano portare benefici concreti ai cittadini. Tuttavia, la situazione interna e la gestione delle proteste potrebbero avere un impatto significativo sulle prospettive europee del Paese. Le pressioni internazionali affinché la Serbia garantisca il rispetto dei diritti umani si fanno sempre più forti.

 

Cosa sta succedendo in Serbia?

 

Le proteste in Serbia sono iniziate in seguito al crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, avvenuto lo scorso novembre, che ha causato la morte di 15 persone, tra cui una bambina di sei anni, e il ferimento di altre due. La stazione era stata recentemente ristrutturata da un consorzio di aziende cinesi, con lavori terminati nel luglio 2024. Gli studenti, indignati per la tragedia e convinti che fosse legata alla corruzione diffusa nel Paese, hanno iniziato a manifestare con marce e blocchi stradali, culminati nella chiusura dei tre principali ponti della città di Novi Sad.

Nel corso dei mesi, le proteste si sono ampliate e hanno assunto una connotazione politica più marcata, con il governo del presidente Aleksandar Vučić nel mirino dei manifestanti. La richiesta iniziale era quella che la documentazione relativa alla ristrutturazione della stazione ferroviaria fosse resa pubblica. Il governo, per mitigare le tensioni, avrebbe diffuso la documentazione richiesta dal pubblico, ma solo parzialmente. La mancanza di trasparenza ha alimentato ulteriormente la rabbia popolare.

Le tensioni sono aumentate tra dicembre e gennaio, con manifestazioni di massa come quella del 22 dicembre a Belgrado e alcuni episodi di violenza, tra cui l'attacco di una sostenitrice del governo che si è scagliata con la propria auto contro i manifestanti. Nonostante l'incriminazione di 13 persone ritenute responsabili del crollo della stazione, tra cui l'ex ministro delle Costruzioni e delle Infrastrutture Goran Vesic, e l'annuncio di un aumento del 20% del bilancio per l'università e l'istruzione superiore nel 2025, le proteste non si sono placate.

L'attenzione sembra infatti essersi spostata su questioni più ampie, come la gestione dell'università e dell'istruzione scolastica, con numerosi scioperi nel settore. Vučić, al potere dal 2017 e accusato di controllare i media statali, ha risposto attaccando gli studenti, sostenendo che sarebbero manipolati da forze esterne ostili alla Serbia. La crisi ha portato alle dimissioni, il 28 gennaio 2025, del primo ministro Miloš Vučević, ex sindaco di Novi Sad e membro di spicco del Partito Progressista Serbo. Questo evento sarebbe stato interpretato da molti come un segnale di riconoscimento del problema da parte del governo, ma anche come un tentativo di trovare un capro espiatorio per proteggere Vučić.

Le manifestazioni, senza un leader riconosciuto, continuano e hanno coinvolto la maggior parte della popolazione, spingendo il presidente serbo, il 3 febbraio, a tentare un'apertura al dialogo. Mentre il malcontento si estende anche ad altre questioni, come le presunte irregolarità nelle elezioni del 2023, mai adeguatamente indagate. La richiesta diffusa è quella di un rinnovamento politico, con ipotesi che vanno dalle elezioni anticipate alla formazione di un governo tecnico. La possibile destabilizzazione del Partito Progressista Serbo, che ha dominato la scena politica per oltre un decennio, potrebbe avere ripercussioni anche su altri movimenti sovranisti e populisti europei.

 

Un periodo delicato nei Balcani

 

La crisi in Serbia si inserisce in un contesto regionale già fragile, con le imminenti elezioni in Kosovo che attirano l'attenzione internazionale. Domenica prossima - 9 febbraio -, gli elettori kosovari saranno chiamati a rinnovare i membri del parlamento. Tra i principali sfidanti del primo ministro Albin Kurti, leader del partito di sinistra nazionalista Vetevendosje (Autodeterminazione), figurano il Partito Democratico del Kosovo (Pdk) e la Lega Democratica del Kosovo (Ldk), entrambi di centrodestra.

Il dialogo con la Serbia, sebbene non esplicitamente presente nei programmi elettorali, rimane una questione centrale. I serbi kosovari, circa 120mila su 1,6 milioni di abitanti, continuano a rifiutare l'indipendenza del Kosovo, proclamata nel 2008 e mai riconosciuta da Belgrado. Da anni chiedono l'attuazione dell'accordo del 2015, mediato dall'Ue, per la creazione di un'associazione dei comuni serbi autonomi. Gli Stati Uniti e l'Unione europea hanno esortato entrambe le parti ad accettare un compromesso, incluso un riconoscimento de facto del Kosovo da parte della Serbia.