L'effetto domino di una Nato senza Stati Uniti

Bisogna accelerare il percorso verso un'Europa federale autenticamente politica che fin qui è mancato

Un fantasma si aggira per l’Europa: è l’ipotesi di un ritiro degli Stati Uniti dalla Nato, come annunciato da Donald Trump. Ma quali sarebbero le conseguenze più rilevanti sul piano politico, geopolitico, economico e militare? La Nato, dalla sua fondazione nel 1949, ha rappresentato un pilastro essenziale della sicurezza europea, contribuendo a mantenere grande stabilità nel Continente attraverso la deterrenza e la cooperazione tra gli alleati. L’eventuale ritiro statunitense rischia di generare un significativo vuoto di potere con il pericolo di un incremento dell’instabilità e la tentazione per alcuni Paesi di cercare alleanze alternative. Inoltre il consenso politico e le intese costruite nel tempo attorno alla Nato, già messe in discussione da movimenti populisti, potrebbero diminuire ulteriormente, promuovendo un clima di sfiducia tra alleati storici.

 

Economicamente, l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato potrebbe influire negativamente sui mercati europei. I legami commerciali e gli investimenti statunitensi in Europa potrebbero subire un rallentamento a causa di una possibile, crescente incertezza geopolitica. La perdita della protezione militare garantita dalla Nato potrebbe spingere gli Stati europei a incrementare le spese per la difesa, sottraendo risorse da settori chiave come la sanità, l’istruzione e lo sviluppo sostenibile. Inoltre, la scarsa stabilità politica rafforzerebbe il rischio di crisi economiche, influenzando anche i mercati globali.

 

Dal punto di vista geopolitico, l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato rappresenterebbe un’opportunità significativa per la Russia di espandere la sua influenza in Europa. La Nato ha storicamente avuto un ruolo fondamentale nel contenere l’espansione russa e, senza l’ombrello protettivo statunitense, potremmo assistere a una maggiore assertività da parte di Mosca, aumentando le conflittualità in regioni come l’Europa orientale o i Balcani. Questo potrebbe spingere alcuni Stati europei a cercare una maggiore cooperazione con la Russia, creando una mappa geopolitica ancora più complessa e sicuramente diversa da quella attuale. 

 

Infine, l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato potrebbe compromettere la capacità delle forze armate europee di operare congiuntamente in scenari di crisi. La Nato ha fornito una piattaforma per l’integrazione delle capacità militari e per l’addestramento congiunto delle forze armate degli Stati membri. Senza il supporto logistico e tecnologico degli Stati Uniti, gli eserciti europei potrebbero trovarsi in difficoltà nel fronteggiare minacce emergenti, come il terrorismo o le cyber insidie.

 

In questo contesto si inserisce il piano ReArmEu della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che prevede di investire 800 miliardi di euro in armamenti, consentendo all’Europa di dotarsi di una capacità difensiva autonoma. Se questo potrebbe fare emergere tensioni tra gli Stati membri, ciascuno dei quali ha interessi nazionali e priorità diverse, avrebbe però il vantaggio di costringere il Vecchio Continente a dotarsi finalmente di quell’esercito europeo, di cui si parla da decenni, ma che non ha mai trovato realizzazione. Per farlo sarà necessario accelerare il percorso verso un’“Europa federale” che si muova con voce univoca, esercitando quel ruolo politico e diplomatico fin qui mancato. È lo spirito con cui sabato 15 marzo si terrà a Roma la manifestazioneUna piazza per l’Europa” alla quale aderisce anche L’Espresso.

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Bisogna accelerare il percorso verso un'Europa federale autenticamente politica che fin qui è mancato