Una piazza civica, prima che politica. Una piazza plurale, di movimenti, di cittadini, di universitari, di pacifisti, di sindaci, di sindacati e di politici, sotto un’unica bandiera: quella dell’Europa. Cui per la verità – l’ha annunciato la Cgil di Maurizio Landini – si aggiunge almeno un’altra bandiera, anch’essa plurale, ma quanto a schieramenti non sovrapponibile alla prima: la bandiera della pace. La mobilitazione di sabato 15 a piazza del Popolo, nata dall’appello di Michele Serra in un modo che lui stesso ha definito «insolito, stravagante, ma non equivocabile» è un sollievo per il vasto popolo del centrosinistra soffocato dai politicismi e dai tatticismi, un’occasione non solo partitica che non si vedeva da anni: in piazza per chiedere un’Europa che sia soggetto etico-politico, e non solo burocratico-economico, un’Europa che faccia la fatica di «tenere insieme pace e libertà» e non dimentichi i suoi valori fondativi, come invece – ha scritto Serra su Repubblica – fa la proposta «armigera», che «trascura la necessità di una difesa comune europea», da parte di Ursula von der Leyen con il piano per il riarmo di 800 miliardi.
Un sollievo, per il popolo del centrosinistra, e nello stesso tempo la rappresentazione plastica della sua condanna. Così come da anni non si vedeva una mobilitazione di questo tipo, così da tempo non si vedeva in modo così efficace, in una mobilitazione, lo specchio di uno schieramento che deve trovare lo spirito del funambolo, per stare insieme avendo anche motivazioni diverse, convinzioni a tratti opposte. E che però proprio in quello stare insieme nella varietà trova la sua forza, la sua unicità.
Ed ecco la condanna. Di fatto la piazza, su cui dopo la prima convocazione è piombato il piano ReArm Europe di von der Leyen con relativo complicatissimo dibattito che ha moltiplicato i distinguo, sono diventati la leva di un ReArm nel centrosinistra, le prove generali di quel che potrebbe avvenire tra meno di due anni, o forse anche prima, quando si tratterà di provare di nuovo a mettere insieme un’alleanza per le elezioni politiche dopo i risultati disastrosi della versione 2022, che nessuno vuol ripetere (quasi nessuno: c’è sempre chi prospera, nel caos).
Il ReArm politico interno al centrosinistra è quello che soprattutto si vede adesso, come è del resto pure normale: «Il sangue deve scorrere lontano dalle elezioni», usava dire una volta, quando le metafore belliche apparivano meno realistiche e il linguaggio era più crudo. In questa ottica ha comunque già del miracolistico che per qualche ora nella stessa piazza, salvo defezioni dell’ultima ora, siano sia Matteo Renzi che Carlo Calenda, insieme pure con Nicola Fratoianni. Naturalmente tra mille differenze. Il leader di Avs ha annunciato il suo arrivo con le bandiere della pace, perché «fare l’Europa significa difendere il welfare, rilanciare il multilateralismo e costruire la pace». Il leader di Azione invece con la bandiera ucraina e georgiana, perché «il riarmo dell’Europa non cozza contro i valori europei». Matteo Renzi porta il suo approccio molto critico rispetto al «piano fuffa», agli «800 miliardi messi così, per fare titolo» e a Ursula von der Leyen definita una «algida burocrate incapace di fare progetti di lungo termine».
Nel Pd, che ha aderito da subito alla manifestazione, la posizione non subalterna della segretaria Elly Schlein rispetto al piano von der Leyen, il no all’«Europa della guerra» che è però un sì alla difesa comune, è diventato la miccia, il punto d’attacco (poteva esserlo il Jobs act) che ha riattizzato la polarizzazione interna ai dem, che vede sempre più spesso l’ex premier Paolo Gentiloni come collettore degli scontenti della gestione attuale, anzitutto di quella minoranza che sempre meno sopporta di essere rappresentata da Stefano Bonaccini, ex sfidante alle primarie divenuto per molti troppo schleiniano.
Nel Pd, il ReArm significa insomma provare a cambiare gli equilibri prima che sia ora di tornare al voto: cioè invocare il congresso, come non a caso ha fatto via intervista la voce esterna di Luigi Zanda, già capogruppo e tesoriere del Pd, già segretario-portavoce di Cossiga, rimanendo una voce ufficialmente isolata (altro conto sono le intenzioni off record).
Come in un big bang, già visto altre volte in maniera meno plastica, al rinforzo di voce dei moderati del Pd ha corrisposto il rinforzarsi del movimento Cinque stelle. Giuseppe Conte, ancora un po’ scosso nel post divorzio da Beppe Grillo, ha improvvisamente ritrovato la voce e la personalità dell’avvocato del popolo. Martedì, ricordando ad alcuni il Lenin che prendeva il treno per Mosca verso la rivoluzione bolscevica, è arrivato in treno fino a Strasburgo con altri parlamentari pentastellati per chiedere coi cartelli «No alle armi»: iniziativa che è per certi versi un ritorno alle origini antieuropee di un Movimento che, prima di diventare governativo proprio con Conte, disegnava l’Europa matrigna e tecnocratica («stiamo realizzando il tuo sogno: uscire dall’euro è possibile, firma anche tu», giurava in uno spot d’antan Paola Taverna, oggi contiana al Senato).
Nell’era del Conte di sinistra, quello che ha «scelto da che parte stare», la piazza è servita invece anche a questo: a fare il suo più uno sul pacifismo. Domenica sera, ospite a “Che tempo che fa?”, aveva detto a Fabio Fazio di non poter andare alla manifestazione per l’Europa, perché «bisognerebbe precisare quale Europa sia: perché l’Europa ufficiale va verso il riarmo», aveva avvertito. «Serra lo precisi, definisca meglio la piattaforma, e noi ci saremo». Martedì, quando Serra ha preso le distanze dal riarmo, Conte ha confermato che in piazza non ci sarà: «Troppe ambiguità. È una piazza dove tanti porteranno le bandiere di guerra». Cioè dell’Europa.
Eppure, nel frattempo, un altro pacifista doc aveva annunciato la partecipazione a piazza del Popolo, appunto con la bandiera arcobaleno: Maurizio Landini, segretario della Cgil e già animatore, insieme con don Luigi Ciotti e Andrea Riccardi, nel lontano novembre 2022, del primo corteo pacifista dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Quel sabato d’autunno in piazza San Giovanni a Roma, sotto il palco il capo dei Cinque stelle stava placido nel suo brodo di sinistra, all’epoca non contendibile, il segretario del Pd Enrico Letta veniva fischiato in quanto guerrafondaio, Rosy Bindi applaudita, Elly Schlein neodeputata in coda corteo era rimasta in piazza a stringere mani fino al ripristino della circolazione delle auto.
Il deciso ritorno in piazza di Landini, in continuità con quel percorso, rappresenta peraltro la chiusura di un altro cerchio: proprio in questi giorni il segretario della Cgil ha iniziato la campagna per i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza (volantino e slogan: il voto è la nostra rivolta) che saranno la prossima piattaforma su cui si potrà misurare il centrosinistra, da qui fino all’estate. Prima che si precipitasse nel piano ReArm europe era quello il terreno sul quale si attendevano rese dei conti e nuove convergenze: adesso è in sonno, ma tornerà.