Meloni al Senato: "Sosteniamo lo sforzo di Trump per la pace. Truppe europee in Ucraina? Opzione rischiosa e poco efficace"

La presidente del Consiglio in Aula per le comunicazioni in vista del vertice del 20 e 21 marzo: "Rearm nome fuorviante. Nessuna garanzia di sicurezza dividendo Ue e Usa. Sbagliato rispondere a dazi con altri dazi"

Per la prima volta dallo scorso 18 dicembre, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tornata in Parlamento – prima in Senato e poi, domani 19 dicembre, alla Camera dei deputati – per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo. Seduti accanto a lei il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Assente Matteo Salvini, che è a Varsavia per il Consiglio informale Ue dei trasporti e con cui, per giorni, ci sono state trattative per arrivare a un testo di risoluzione che mettesse d’accordo tutte le forze di maggioranza, divise sul piano di riarmo europeo proposto da Ursula von der Leyen e sulle strategie per arrivare a una pace in Ucraina. “Il momento è estremamente complesso per le dinamiche globali – ha esordito la premier – e decisivo per il destino dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente”. In un momento “così grave” come questo, Meloni si auspica “senso di realtà e responsabilità” per “affrontare la sfida internazionale e non rassegnarci al ruolo di gregari”. Ma al vertice di Bruxelles, i capi di Stato e di governo non parleranno solo di riarmo europeo e crisi geopolitiche, ma anche di competitività economica, dazi, politiche migratorie. Sono state due le standing ovation dell'Aula di Palazzo Madama: quando la premier ha espresso solidarietà a Sergio Mattarella per gli attacchi ricevuti (ancora una volta) dalla Russia, "per la sola ragione di aver ricordato chi sono gli aggressori e chi gli aggrediti", e quando ha augurato pronta guarigione a Papa Francesco. 

"Totale condanna dell'aggressione di Mosca"

"Ho sentito molte ricostruzioni e vorrei ribadire alcuni punti fermi - esordisce Meloni quando passa a parlare della guerra in Ucraina, uno dei temi su cui c'era più attesa per le sue parole -. Il primo è la ferma e totale condanna della brutale aggressione all'Ucraina e il sostegno al popolo ucraino che non è mai stato in discussione. A distanza di oltre tre anni, arrivati al governo della nazione, quella scelta di campo è rimasta immutata, non solo per Fratelli d’Italia ma per l'intera maggioranza di centrodestra che ha sempre e compattamente votato per questa linea". Nel suo intervento la premier ha rivendicato che il suo partito, fin dal 24 febbraio 2022, ha scelto “senza tentennamenti da che parte stare”, con “massimo sostegno al popolo ucraino che stava ricordando al mondo come la libertà fosse la cosa più preziosa e cosa fosse l’amor di patria”. 

 

L'Italia, ha continuato, "considera la proposta di cessate il fuoco concordata a Gedda un primo significativo passo che deve portare a una pace giusta e duratura" per Kiev, ponendo "solide e efficaci garanzie di sicurezza per l'Ucraina, per l'Europa e anche per i nostri alleati americani che non possono permettersi di siglare un accordo violabile". È lo stallo sul campo "che oggi può portare ai negoziati della pace e penso si debba rivendicare con orgoglio il sostegno compatto e determinato al popolo ucraino". Dunque - ha affermato Meloni - salutiamo positivamente questa fase e sosteniamo lo sforzo avviato dal presidente Trump". Quel che la premier non sostiene è invece il piano anglo-francese, proposto da Keir Starmer ed Emmanuel Macron, di inviare forze europee di peacekeeping in Ucraina. "L'invio di truppe italiane in Ucraina non è mai stato all'ordine del giorno - ha spiegato la premier - così come riteniamo che l'inviato di truppe europee proposto da Francia e Regno Unito sia un'opzione molto complessa, rischiosa e poco efficace".

"Impossibile immaginare sicurezza dividendo Usa e Ue"

Un altro dei passaggi più attesi era quello relativo ai rapporti con gli Stati Uniti, dopo che nelle ultime settimane Meloni è stata criticata per la sua vicinanza a Donald Trump e per la sua freddezza verso le mosse europee in risposta al cambio di strategia americano nei rapporti con il Vecchio Continente e sulla guerra tra Mosca e Kiev. E anche davanti ai senatori, la premier ha provato a presentarsi come ponte tra le due sponde dell’Atlantico. “Chi ripete che l’Italia dovrebbe scegliere tra Usa e Ue non si è accorto che la campagna elettorale americana è finita. Chi tenta di scavare un solco non fa che indebolire l’Occidente a beneficio di altri attori”, bisogna “costruire ponti e non scavare solchi. È un banale dato di realtà – ha aggiunto la premier – che non è possibile immaginare una garanzia di sicurezza duratura dividendo l’Europa e gli Stati Uniti. È giusto che l’Europa si attrezzi per fare la sua parte, ma è ingenuo pensare possa fare da sola senza la Nato, fuori da quella cornice euroatlantica che per 75 anni ha garantito la sicurezza dell’Europa e che, in questi ultimi tre anni, ha consentito all’Ucraina di resistere”.

Il piano Rearm Europe

Meloni non nasconde qualche dubbio sul piano di riarmo europeo, il tema più caldo che verrà discusso dai 27 leader europei a Bruxelles e su cui negli scorsi giorni si è espresso già il Parlamento europeo (con le divisioni dei partiti politici italiani, di maggioranza e di opposizione). Innanzitutto per il nome, “Rearm”, che per la premier “è fuorviante per i cittadini. Siamo chiamati a rafforzare le capacità difensive”, che “non significa acquistare armamenti” ma “semmai di produrli”, rafforzando “il nostro sistema produttivo. Rafforzare le capacità di Difesa" non vuol dire parlare "solo di arsenali. La sicurezza" è un comparto "molto vasto". “Quando abbiamo proposto di rinominare il piano utilizzando le parole ‘Defend europe’ – ha aggiunto – non abbiamo posto una semplice questione semantica o nominalistica, ma abbiamo proposto una questione di sostanza”.

 

Meloni ha poi precisato che gli 800 miliardi di euro previsti dal piano von der Leyen non verranno dirottati dai fondi di coesione e che non saranno aggiuntive europee, e ha aggiunto un chiarimento sull’entità finanziaria di Rearm: “Credo che sia molto utile precisare, a beneficio del Parlamento e dei cittadini, che questi 800 miliardi di euro non sono né risorse che vengono tolte da altri capitoli di spesa né risorse aggiuntive europee. Rimane la possibilità per gli Stati membri di utilizzare volontariamente una quota dei fondi di coesione e approfitto per annunciare che l’Italia non intende distogliere un solo euro”. Ma Meloni, al di là delle questioni terminologiche e degli strumenti finanziari da usare, sposa in pieno la necessità di rendersi più autonomi nel settore della difesa. “Il paradosso – ha attaccato in aula – è che oggi chi sventola le bandiere della pace contro le spese per la difesa si lamenta anche di un’eccessiva ingerenza americana nelle nostre vicende. Beh, signori, le due cose non stanno insieme. O demandi la tua sicurezza ad altri, e gli altri decidono per te, o impari a difenderti da solo e decidi tu. Le due cose non stanno insieme”.

"Una guerra commerciale non avvantaggerebbe nessuno"

Ma prima di passare ai temi internazionali (con una parte dell'intervento dedicato anche ai bombardamenti israeliani su Gaza e al rischio che la “ripresa dei combattimenti a Gaza” metta “a repentaglio gli obiettivi ai quali tutti lavoriamo”) era stato il turno di un passaggio sui dazi; tema che non è all'ordine del giorno del Consiglio europeo del 20 e del 21 marzo ma che, inevitabilmente, sta dominando il dibattito, italiano ed europeo. “Il quadro è complesso – ha sottolineato la premier – ma bisogna continuare a lavorare con pragmatismo, evitando una guerra commerciale che non avvantaggerebbe nessuno, né gli Stati Uniti né l’Europa. Non è saggio entrare nelle rappresaglie dove tutti perdono perché, se è vero che i dazi su merci extra Ue possono favorire la merce interna, in un contesto internazionale e globale possono ritorcersi contro, con il risultato di un aumento dell’inflazione con il successivo aumento dei tassi da parte della Bce. Non sono sicura – ha sostenuto Meloni – sia giusto rispondere ai dazi con altri dazi. L’Italia dovrebbe lavorare per soluzioni legate alla logica e al buon senso”.

"Ruolo fondamentale dell'Italia in materia di immigrazione"

Una parte del discorso, quella iniziale, è stata dedicata anche alle politiche migratorie dell’Ue. Se oggi l’immigrazione è una priorità, ha rivendicato la premier, “questo lo si deve al ruolo decisivo che l’Italia ha svolto in questi anni per cambiare l’approccio europeo in materia di immigrazione”. Lo scorso 11 marzo la Commissione europea ha presentato il suo regolamento sui rimpatri che, tra le altre cose, oltre a essere per definizione vincolante per tutti i 27 Stati Ue, prevederà un mandato d’espulsione comune e hub di rimpatrio in Paesi terzi, sulla falsariga di quanto il governo italiano sta provando a fare in Albania. “Abbiamo accolto con favore la proposta della Commissione europea sul regolamento per i rimpatri – ha sottolineato Meloni durante l’intervento in Senato –, lo riteniamo uno sviluppo molto significativo anche per armonizzare la prassi dei diversi Stati membri e rendere più efficaci i rimpatri fondamentale che Ue diventi efficace in questo: se entri illegalmente in Europa non puoi rimanere illegalmente sul territorio dell'Europa, devi essere rimpatriato. Non dimentico il nostro impegno sulle soluzioni innovative – ha aggiunto la premier –. Tra queste c’è, in prima attuta, il protocollo Italia-Albania che il governo è determinato a portare avanti, anche alla luce dell’interesse e del sostegno mostrato da sempre più nazioni europee".

Per ora il progetto Albania è fermo al palo, in attesa che la Corte di giustizia dell’Unione europea si pronunci sulla definizione di “Paese sicuro”; incertezza che ha portato le sezioni immigrazione prima, e le corti d’Appello poi, a non convalidare il trattenimento dei migranti al di là dell’Adriatico. “Stiamo seguendo con grande attenzione il ricorso pregiudiziale alla corte di Giustizia, relativo propri ai trattenimenti in Albania ma non solo, e devo dire di essere rimasta favorevolmente colpita dal fatto che la maggioranza degli Stati membri Ue, così come la stessa Commissione Europea, siano intervenuti, tra la fase scritta e la fase orale della causa, per sostenere la posizione dell'Italia sul concetto di Paese sicuro di origine. L'auspicio – ha proseguito – è che la Corte scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio, non solo dell'Italia ma di tutti gli Stati Membri e dell'Unione Europea stessa, perché significherebbe minare alla base il sistema di Schengen e la stabilità stessa dell'Europa. Ma in ogni caso stiamo proponendo - conclude - alla Commissione di anticipare il più possibile l'entrata in vigore di quanto previsto dal nuovo Patto migrazione e asilo sulla definizione di Paese di origine sicuro, anche per fare definitiva chiarezza su un tema molto controverso e oggetto, come sapete, di provvedimenti giudiziari dal sapore spesso ideologico".

Gli interventi delle opposizioni

Il primo tra i senatori a prendere la parola dopo le comunicazioni di Meloni è stato Mario Monti. L'ex premier condivide "il monito lanciato dal presidente Meloni: non scaviamo un solco tra le due parti dell'Occidente. Non è l'Unione europea che lo sta cercando, ma sono gli Stati Uniti". Per il segretario di +Europa Riccardo Magi quella che vuole Meloni "è un'Europa vassalla di Trump e Musk, che non costruisce una propria difesa, che accetta passivamente i dazi e che osserva immobile che Russia e Usa si spartiscano l'Ucraina". L'intervento di Ettore Licheri del Movimento 5 stelle è stato più pungente rispetto ai precedenti: "Presidente Meloni, è un piacere rivederla al Senato, sono tre mesi che non si faceva vedere da queste parti. Dopo che per tre anni avete parlato di coperta corta, come riuscirete a far accettare al Paese un indebitamento di 30 miliardi? Come sta facendo ora: generando paura". Poi è stato il turno di Matteo Renzi: "Non condiviso la sua linea sui dazi - ha detto in Senato il leader di Italia Viva -. Non dia retta a Salvini. Non si può rispondere dazi vostri, non sono dazi vostri ma dazi amari. Presidente, le dico di essere un po' più sovranista. Anziché inseguire Trump, riprenda la lezione di Alcide De Gasperi del 1951 sulla difesa europea". Ma per Renzi la presenza in Aula di Meloni è stata l'occasione di incalzarla su due temi su cui l'ex premier ha insistito nelle ultime settimane: il caso Paragon e il caso Almasri.

 

Intervenendo nelle dichiarazioni di voto dopo le comunicazioni della premier, per il Partito democratico ha preso la parola Francesco Boccia: "Sulla vicenda ucraina il silenzio della premi Meloni si è trasformato in una ritirata - ha attaccato il senatore -. Non una parola sull'umiliazione in mondovisione che Trump ha inferto a Zelensky, unica leader insieme all'amico Orban a non esprimere la dovuta solidarietà al leader ucraino. Ora Trump sta platealmente escludendo l'Europa dagli accordi di pace per l'Ucraina che nella mente del presidente dovrebbero trasformarsi in una resa incondizionata. Di fronte a questo scenario il governo italiano, nonostante l'ambizione della premier di fare da ponte tra Usa e Ue, non svolge alcun ruolo. "Stiamo vivendo e assistendo alle macerie politiche e morali del bipolarismo ed è inutile che ci buttiamo una coperta sopra - ha detto in Aula Carlo Calenda -. Possiamo discutere se nella relazione del Pd la critica a ReArm sia radicale o pesante, possiamo non aver sentito Borghi" su von der Leyen o "sentir dire 'meno armi, più sanità' da tutti i partiti che hanno rifiutato 38 miliardi di Mes sanitario" ma il punto è che "bisogna usare le parole per quelle che sono" e la ragione "per cui in tutta Europa si stanno facendo preparativi per essere più indipendenti è perché non possiamo più contare sugli Stati Uniti d'America".

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