Terzo mandato: un dibattito nell’interesse degli elettori e non degli eletti

La sentenza della Corte Costituzionale chiude la giostra, ma in realtà una vera discussione non c'è mai stata. Bisognerebbe parlarne, a prescindere dai De Luca e dagli Zaia di turno

La sentenza della Corte Costituzionale sul caso De Luca chiude la giostra del dibattito sul terzo mandato. Che in realtà vero dibattito non è mai stato, dal momento in tutti questi mesi che la questione è stata affrontata solo come un mero tema di carriere personali. I partiti non sono mai scesi nel merito di possibili pro e contro rispetto alla qualità delle istituzioni pubbliche e alla loro capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini. Ora che il polverone sulle carriere personali si è placato, avrebbe anche senso immaginare un dibattito vero sull’opportunità eventuale di cambiare la legge sul numero dei mandati per governatori (e sindaci): e allora proviamo a mettere in fila alcuni argomenti di buon senso nel merito della questione.

Buoni motivi per sostenere l’estensione dei mandati

Cominciamo dai buoni motivi che sussistono per sostenere l’estensione del numero dei mandati. In generale, un qualsiasi tetto al numero dei mandati di un politico rappresenta una limitazione alla libertà di scelta degli elettori: i cittadini sono infatti privati della possibilità di ri-eleggere nuovamente un politico che si è dimostrato capace e di valore. Un meccanismo essenziale delle democrazie, quella che gli inglesi chiamano “accountability”, viene quindi limitato. Viene anche ridotto l’incentivo del politico eletto a fare l’interesse dei suoi cittadini. Meno prospettive di carriera ho davanti (ovvero meno mandati posso sperare di ottenere), meno mi impegnerò per essere rieletto. Non è un caso, per esempio, che in uno studio condotto sul Brasile dagli economisti Ferraz e Finan nel 2011 emerga come i sindaci che sono limitati ad un solo mandato si appropriano tramite fenomeni corruttivi del 27% in più delle risorse rispetto a quei sindaci che invece possono correre per un secondo: i primi, non dovendo cercare la rielezione, si sentono più liberi di perseguire i propri interessi personali al contrario dei secondi, che essendo interessati ad essere rieletti si sforzano di attuare politiche che incontrino il favore degli elettori.

 

Un terzo motivo per sostenere l’estensione dei mandati, specifico del contesto italiano specialmente a livello comunale, è quello della difficile reperibilità di nuovo personale politico. Non è scontato in comune piccolo trovare un nuovo candidato sindaco ogni 10 anni, specialmente in un contesto di sfaldamento del sistema partitico tradizionale, di intromissione della magistratura nelle decisioni politiche, e di vincoli di bilancio per gli enti locali sempre più stringenti. Questa, infatti, la ratio principale dietro la legge Del Rio del 2014 che ha introdotto il terzo mandato per comuni sotto i 3000 abitanti. Nel 2022 il limite è stato ampliato fino a 5000 abitanti e ha probabilmente molto senso chiedersi se valga la pena alzare ancora l’asticella.

Motivi a favore del tetto al numero dei mandati

Per quanto riguarda invece argomenti a favore del tetto di due mandati, vi è quello che i politologi Smart e Sturm, in uno studio pubblicato nel 2013, chiamano “effetto sincerità”: dal momento che un politico sa di non potere avere in futuro grandi vantaggi dalla sua posizione a causa del limite dei mandati, allora proprio per questo prenderà decisioni maggiormente in linea con le sue genuine idee politiche, e meno con quelle che pensa utili esclusivamente a farsi rieleggere. Questo “effetto sincerità” aiuta gli elettori al momento della possibile rielezione per il secondo mandato, perché consente loro di capire meglio quali sono le vere idee politiche del candidato alla ricerca della rielezione e quindi di valutarlo davvero per quello che è.

 

In secondo luogo (e questo è probabilmente nel sentire comune il motivo più diffuso a sostegno del limite dei mandati) vi è la possibilità che più a lungo un politico resti in carica, più sia in grado di sviluppare una “infrastruttura corruttiva” fatta di legami personali, rapporti di potere, conoscenza specifica di aziende e istituzioni, che gli consentano di perseguire (illegalmente o meno) propri obiettivi personali. Più stringente è il limite dei mandati, meno tempo un politico eletto avrà per affinare queste capacità. Paradossalmente questo è lo stesso ragionamento che vale per la capacità dei politici di “imparare sul campo” a fare bene il loro mestiere: quale dei due argomenti sia più forte dipende dalla diversa velocità con cui si impara sul campo a fare il “bravo politico” rispetto al “politico corrotto”, ma anche da quanto pensiamo che siano numerosi i politici eletti che puntano al secondo obiettivo rispetto al primo.

Un dibattito nell’interesse degli elettori e non degli eletti

Se dunque vogliamo discutere di terzo mandato, discutiamone a prescindere dai De Luca e dagli Zaia di turno, perché c’è un vero dibattito possibile da fare che ci stiamo perdendo per strada. Facciamo in modo che il dibattito sul terzo mandato si svolga nell’interesse degli elettori e non degli eletti.

 

*Francesco Armillei – Dottorando Università Bocconi e socio del think-tank Tortuga

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