Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, il vecchio e la bambina contro Trump

Mentre il vertice del Partito democratico resta immobile, la base si coalizza intorno al veterano senatore del Vermont e alla promessa dem. Che ora sogna in grande

Tra la folla c’è il lavoratore prossimo alla pensione terrorizzato dai tagli alla previdenza sociale; ci sono i dipendenti pubblici di dipartimenti e agenzie che il Doge sta smantellando, che urlano «Nessuno ha eletto Elon Musk»; accanto, gli insegnanti allarmati per l’eliminazione del Ministero dell’Istruzione federale. Persone di ogni età che a due mesi e mezzo dall’inizio della seconda era Trump, frastornate dalla raffica di provvedimenti e ordini esecutivi, sentono ora la necessità di diventare comunità. A Denver erano 34mila, a Tucson 23mila. Poi Tempe, Greeley, Las Vegas: a ogni tappa il pienone, come fosse il tour di una rockstar. Sul palco un ultraottuagenario senatore del Vermont con special guest una giovane deputata del Bronx: Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, i profeti della sinistra progressista americana.

 

Quella che il decano sta guidando non è solo una campagna itinerante contro l’oligarchia di «un governo di miliardari, per i miliardari». Il suo è anche un poderoso schiaffo alla strategia play dead suggerita all’establishment dem dalla vecchia volpe James Carville all’indomani della batosta elettorale: fingersi morti, non reagire e aspettare che i repubblicani si autodistruggano. Lezione che la leadership in Congresso – con il capogruppo di minoranza al Senato Chuck Schumer e quello alla Camera Hakeem Jeffries – ha imparato a menadito, nello smarrimento degli elettori, che si riuniranno nelle principali città americane, a partire dalla capitale, per la mobilitazione “Hands off!”, contro i tagli del governo.

 

«Potenzialmente la base del partito potrebbe diventare più consapevole dell’importanza di avere un movimento ampio e populista in stile-Bernie, che abbia una forte impronta economica», dice commentando le mobilitazioni Jared Abbott, direttore del Center for Working-Class Politics. Quella “economia populista” di cui Sanders è apostolo da oltre un quarantennio. Una parabola politica, la sua, incentrata su giustizia sociale, classe operaia, sanità e istruzione pubbliche, lotta alle disuguaglianze. A maggio, tra l’altro, cadrà anche il decennale della prima campagna presidenziale lanciata dalla sua Burlington.

 

«I dem non amano parlare di oligarchia economica ed è un enorme problema, uno dei fattori che li ha portati a perdere le elezioni del 2024», spiega il politologo a L’Espresso mentre avverte del pericolo che l’onda Sander-AOC possa essere percepita «dagli elettori comuni come troppo combattiva, radicale o woke».

 

È ancora presto per dire se i numeri registrati in questi comizi – alcuni dei quali strategicamente tenuti in città vicine ai repubblicani – daranno vita a un movimento. Dietro, infatti, non c’è un’organizzazione precisa, nonostante tutti definiscano Bernie e Alexandria i catalizzatori di speranza, gli unici in grado di rielaborare la rabbia diffusa dall’Arizona al Midwest. Nel pubblico non ci sono solo attivisti o supporter che nel 2016 e nel 2020 votarono per Sanders alle primarie. Oggi il popolo è eterogeneo, trasversale: elettori in fuga dal centro, ma anche cittadini esasperati che da settimane affollano le assemblee locali per denunciare con rabbia le derive autoritarie del presidente. E l’inerzia del partito democratico (che non a caso crolla nei sondaggi).

 

Jared Abbott, che ha sempre seguito con entusiasmo il senatore socialista del Vermont, non è tra gli ottimisti. «Dopo il 2016 speravamo che prendesse slancio, eravamo convinti che avrebbe fondato una nuova organizzazione, che colmasse il vuoto nella sinistra. Si rafforzarono i Democratic Socialists of America – ricorda il politologo – cresciuti negli anni ma mai diventati un movimento di massa. Bernie non è riuscito a far decollare qualcosa di più ampio». Neanche con l’organizzazione progressista Our Revolution. «Non so perché non abbia investito più risorse. Credo che, come per le controparti liberal – ad esempio Indivisible – una delle ragioni sia da ricercare nel fatto che abbiano sempre scelto di restare all’interno del partito democratico».

 

Sanders rimane la bussola di una delle correnti più longeve della sinistra. Ma nel 2028, alla prossima corsa per la Casa Bianca, il padre nobile avrà 87 anni e difficilmente potrà candidarsi. In molti si chiedono quando, e se, passerà davvero il testimone alla sua erede naturale, come sperano i fedelissimi.

 

Il legame tra i due è fortissimo. Ocasio-Cortez, classe ‘89, ha iniziato la sua carriera proprio tra le fila di volontari della prima campagna presidenziale del senatore. Due anni dopo, quella che molti tra i conservatori continuano a chiamare in modo dispregiativo “la bartender del Bronx”, conquista un seggio alla Camera, spodestando il potente collega di partito Joseph Crowley, in carica da dieci mandati. Una vittoria contro l’establishment per la donna che, a 29 anni, diventa la più giovane mai eletta al Congresso. La deputata sostiene Sanders anche nel 2020, appoggiandone l’agenda progressista. Oggi il suo capo di gabinetto è Mike Casca, già nello staff di Bernie.

 

Carismatica e seguitissima sui social, AOC ha un indiscusso star power. Parlare ora di presidenza è forse prematuro, ma gli analisti osservano con attenzione ogni sua mossa. Tra gli scenari più plausibili per emergere come figura di primo piano, oltre a sfumare le linee più nette della sua visione, si aprono due strade: consolidare il suo ruolo alla Camera oppure tentare il colpo grosso sfidando Chuck Schumer alle primarie per il Senato a New York nel 2028. Intanto, fa già le prove generali da leader. In un recente colloquio con Michelle Cottle del New York Times, invita i dem ad accantonare l’idea stantia di una lotta intestina tra progressisti e moderati. Il partito, dice, potrebbe ritrovare unità combattendo per la gente comune. Un valore fondamentale che non appartiene a nessuna corrente ideologica.

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app