C’era una volta la borghesia. Rappresentava l’Italia laboriosa, che sapeva occuparsi di politica, che aveva una visione, dei propri interessi, certo, ma anche del Paese e del futuro. Accanto alla famiglia Agnelli, «borghesi di sangue blu», c’erano tanti altri Grandi Borghesi, soprattutto industriali, da Adriano Olivetti a Giovanni Battista Pirelli, che hanno gettato le basi di questo Paese. C’era addirittura una scuola del pensiero laico e borghese come l’ufficio studi della Banca Commerciale Italiana da cui sono uscite menti eccelse del ’900. Ma questa è storia.
Veniamo ai tempi nostri. C’era una volta la borghesia e c’è ancora come racconta Gianfrancesco Turano sull’Espresso di domenica. Però è cambiata, quella industriale di una volta non c’è più. Pochissimi figli hanno seguito le orme dei padri e dei nonni, affogando nelle paludi di un’Italia dove, più che la borghesia, sono scomparse le classi dirigenti: è un Paese che vive nella mediocrità. D’altra parte, se anche la politica deve andare a cercare Mario Monti o Mario Draghi qualcosa vorrà pur dire, cioè che la politica non sa più esprimere leader veri in grado non solo di governare l’Italia con lungimiranza e competenza ma anche soltanto di tenere insieme le maggioranze.
Oggi non comanda più l’industria ma comandano i servizi. E i servizi sono sempre più globali, ci si occupa meno del Paese e più dei mercati internazionali. Quello che è peggio, è che è cambiato il mondo del lavoro. Sono cresciuti i precari, i lavori sottopagati, il lavoro nero. Oggi per un giovane comprarsi una casa è un miraggio, prima era un obiettivo sacrosanto. Si stava meglio quando si stava peggio? Non si può dire. Ogni tempo ha le sue caratteristiche. Ma la classe lavoratrice così come siamo stati abituati a concepirla nel ’900 è destinata ad assottigliarsi fin quasi a scomparire. Sono cambiate anche le classi sociali e il rapporto tra loro: prima padroni/proletari; poi produttori/consumatori; ora sempre più distributori di servizi/utenti.
Ma anche nel mondo dei servizi non c’è da stare troppo allegri, per chi lavora. Come scrive Matteo Novarini, «l’ondata di tagli all’occupazione nei servizi più innovativi non ha risparmiato l’Italia. Meta ha scelto di tagliare 22 dei circa 130 dipendenti degli uffici di Milano. Amazon ha rinunciato a un nuovo polo della logistica che avrebbe impiegato 100 persone a Cuneo. Un disimpegno che fa preoccupare i 3.500 dipendenti degli altri stabilimenti del Piemonte e i 17 mila di tutto il Paese. Uno dei tagli più massicci è arrivato a luglio, quando l’app di consegne tedesche Gorillas ha deciso di uscire dal mercato italiano e di lasciare a casa 540 persone. Le ha informate con una videoconferenza». Ci saranno sempre più tante braccia in libera uscita, ma anche tante intelligenze (programmatori, ingegneri, esperti in sostenibilità, ecc.) che avranno più occasioni per ricollocarsi nel mercato del lavoro. Destinato però inevitabilmente a cambiare.
Secondo il professor Domenico De Masi, chi svolge lavori creativi come artisti, calciatori, musicisti, visionari, diventerà sempre più importante, quasi insostituibile in un mercato chiuso o comunque poco aperto; saranno loro i veri padroni dell’immaginario e quindi domineranno la società, supportati dall’intelligenza artificiale e dalla robotica.
E l’uomo che fine farà? Possibile che abbia programmato di sconfiggere sé stesso?