A volte anche i migliori gialli finiscono senza gloria. Se il punto di partenza della complessa storia dei soldi spariti dell'Idi e del San Carlo di Nancy - gli ospedali romani della Congregazione dei figli dell'Immacolata concezione - era la prestigiosa sede in via della Conciliazione, l'arrivo è in una anonima palazzina della periferia romana, nel quartiere Centocelle, tra i cantieri della metro C e i negozietti cinesi.
Qui ha sede una sconosciuta sigla, la Gi.esse info service srl, società riconducibile ad uno dei protagonisti della vicenda, Domenico Temperini, punto terminale di una triangolazione di fondi della Congregazione poi spariti, ricostruita nei dettagli nell'inchiesta della procura romana che oggi ha visto tre arresti e quattordici perquisizioni.
Una società senza qualità, si potrebbe dire parafrasando Musil, messa in mano ad un amico elettricista, senza nessuna targa sui citofoni e assolutamente anonima, ma destinataria dei milionari bonifici partiti dalla Elea, la vetrina della congregazione che negli anni passati pretendeva di organizzare la Cernobbio sul Tevere, con incontri tra pezzi di peso del Vaticano e della politica bipartisan italiana, da Bersani a Tremonti. Il tutto sotto la supervisione dello stesso Temperini, posto a capo dell'impero sanitario dei figli dell'Immacolata concezione e arrestato dagli uomini della Guardia di finanza di Roma.
Qualche anno fa fui contattato da un amico di vecchia data, Domenico Temperini - racconta alla Guardia di Finanza Mario Petrucci, di professione elettricista -, il quale mi prospettò di diventare il legale rappresentante e poi il liquidatore della Gi.esse Info service. Lui cercava una persona nella zona vicina al suo studio e che vivesse anche in prossimità dell'istituto bancario di cui si serviva la società. Insomma, quello che in altre parole potrebbe essere chiamato un prestanome, da mettere solo formalmente a capo del delicato punto di transito dei soldi partiti dalle casse dell'Idi, in un ufficio ben mimetizzato della periferia romana, lontano dai fasti dei palazzi pontifici sulla riva del Tevere.
La Gi.esse, in questa storia, non è in realtà una ditta qualsiasi. Qui - secondo la Procura di Roma - finivano una parte dei soldi dei pazienti che ogni giorno arrivavano negli ospedali romani della congregazione. Un milione e trecentomila euro nel 2010 e un milione e cinquecentomila euro nel 2011, cifre solo apparentemente giustificate ad una fantomatica attività di progettazione modalità web e ricerca logistica, annotano i magistrati romani coordinati dall'aggiunto Nello Rossi. Da questo indirizzo della periferia est della capitale partivano poi gli ultimi bonifici rintracciabili, diretti al cerchio magico a capo del settore sanitario della Congregazione: più di un milione di euro versati a Domenico Temperini, 381 mila euro versati alla sua ex moglie Emanuela Gismondi, 60 mila euro inviati al padre Lionello Temperini e 100 euro trasferiti a Evelyne Malaponte, l'attuale compagna, tanto per non scontentare nessuno.
La Gi.esse, dunque, appare nell'inchiesta come un vero bancomat a disposizione dei tre arrestati. Oltre a Domenico Temperini, a beneficiare dei soldi partiti dall'Idi e transitati nella società dell'amico elettricista, c'era il vero dominus della Congregazione, padre Franco Decaminada, definito come il don Verzè romano, finito oggi agli arresti domiciliari. La destinazione finale della sua parte è stata sostanzialmente ricostruita dall'inchiesta dell'Espresso del 2011, che aprì il velo sugli affari della Congregazione a capo dell'Idi. La tenuta in località Banditella, in provincia di Grosseto, che Decaminada aveva acquistato e ristrutturato nel 2008 attraverso la società Punto immobiliare srl sarebbe stata, secondo i magistrati, pagata utilizzando parte dei soldi partiti dalle casse degli ospedali romani. Anche in questo caso - secondo le indagini della Guardia di finanza - il flusso finanziario venne mascherato da una serie di triangolazioni societarie. Oltre alla romana Gi.esse, le somme finite nel casale in piena maremma sono passate attraverso un'altra società riconducibile alla galassia Idi, la Performing srl, gestita nel 2009 da Giovanni Rusciano, all'epoca responsabile commerciale del settore sanitario della Congregazione.
Tra i destinatari dei soldi c'era anche il terzo imprenditore finito agli arresti domiciliari, l'ex agente Sismi - componente della famigerata sezione K - Antonio Nicolella, uomo di fiducia che con Decaminada seguiva l'affare petrolio in Congo. A lui la Gi.Esse versa 86 mila euro. Sempre a lui sarebbe poi riconducibile un bonifico di 800 mila euro finito alla società congolese Ibos II, interessata allo sfruttamento di una concessione petrolifera, che - sul suo sito web - parlava di accordi mai chiariti tra la Congregazione e un intermediario locale. Un affare che passava attraverso la onlus Objectif Congo, con uffici in Italia nei lussuosi uffici di via della Conciliazione, a pochi passi dalla Santa sede.
L'indagine sembra essere oggi ad una tappa intermedia. Se è chiaro - almeno in parte - il tragitto dei soldi partiti dall'Idi e finiti nella periferia romana, molti dubbi rimangono sulla destinazione finale dei fondi spariti. Nebulosa appare anche la vicenda congolese: non sono noti, al momento, i soci reali della Ibos II con sede in Lussemburgo, società gemella di quella gestita da Nicolella a Kinshasa. E non è chiaro che fine abbia fatto l'accordo di sfruttamento dei giacimenti petroliferi e quale sia stato l'effettivo ruolo di Decaminada nell'affare. Per ora la pista dei soldi si ferma a Centocelle.