Sanità pubblica in crisi
Così stiamo svendendo un ospedale pubblico. Per la gioia del Vaticano
Il Forlanini di Roma è passato dall'essere eccellenza per la tutela della salute nazionale a luogo abbandonato. Fino alla possibilità che della sanità di tutti non faccia più parte, visto l'accordo tra Santa Sede e Governo. Vi raccontiamo l'intricata vicenda dell'ex sanatorio, che mostra la decadenza del Ssn
Da eccellenza per la tutela della salute nazionale, a luogo abbandonato. Fino alla possibilità che della sanità pubblica, lo storico Ospedale romano Carlo Forlanini, non faccia più parte: l’articolata parabola dell’ex sanatorio costruito negli anni Trenta per contrastare l’avanzata della tubercolosi, oggi un’immensa struttura fatiscente, è secondo tanti dei cittadini che lottano per la sua riapertura il simbolo della decadenza del sistema sanitario nazionale che lascia sempre più la tutela della salute, un diritto costituzionale, nelle mani dei privati.
Così anche i 170 mila metri quadrati su cui si estende il Forlanini, nel cuore della Capitale, rischiano di essere ceduti, allo Stato del Vaticano nello specifico. In quanto sarebbe «uno dei luoghi più idonei per la realizzazione della nuova sede del Bambino Gesù», ospedale punto di riferimento per la pediatria. Ma di proprietà vaticana, anche se accreditato al Ssn. Come si legge nella dichiarazione di intenti sottoscritta dalla Santa Sede e dal governo italiano lo scorso 8 febbraio. Ufficializza le voci sul trasferimento del Bambino Gesù che corrono da anni: l’accordo trasferirebbe anche l’extraterritorialità e le immunità definite dal trattato del Laterano – come quella di non dover sottostare al sistema tributario italiano – al nuovo ospedale pediatrico, a cui la Santa Sede potrà dare negli anni l’assetto che crede, senza bisogno di autorizzazioni.
Dal documento firmato dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, e Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, di cui sono noti i legami con il Vaticano, si capisce che il passaggio di proprietà sarà complesso. Sia perché a dover essere ancora definite sono le norme che permetteranno la vendita dell’ex Ospedale Forlanini, visto che fa parte dei beni della Regione Lazio che non possono essere messi né in vendita né a rendita. Ma anche perché è l’operazione stessa a essere macchinosa: la Santa Sede acquisterebbe l’immobile Forlanini dalla Regione, poi concederebbe all’Inail il diritto di superficie. L’ente pubblico che solitamente si occupa della sicurezza sul lavoro pagherebbe i costi di ristrutturazione (tra i 400 e 600 milioni) mentre il Bambino Gesù verserebbe l’affitto all’Inail per l’utilizzo della sede, per remunerarlo dell’investimento.
A proposito dell’accordo, primo passo verso la cessione del bene storico che appartiene alla città di Roma nelle mani di un altro Stato, la Regione Lazio preferisce non aggiungere altro oltre alla sbrigativa soddisfazione espressa dall’attuale presidente Francesco Rocca il giorno dell’intesa, forse perché l’accordo passa anche sopra la sua testa. Il fronte del no vede in prima fila i comitati cittadini come La Fenice, le associazioni Italia Nostra e CittadinanzAttiva e la Cgil, mobilitatisi già nel 2008, quando per la prima volta si è parlato di chiudere il Forlanini per ridurre i disavanzi del sistema sanitario.
«La sanità pubblica non è un’azienda. Non deve puntare al profitto bensì a quello che è giusto. E per evitare il collasso basta smettere di rubare», ripete Massimo Martelli, chirurgo toracico, già primario del Forlanini, poi commissario che ha tentato di evitarne la chiusura. E che secondo molti di quelli che ancora ne ricordano l’impegno è riuscito a ritardare la dismissione grazie alla sua caparbietà: «Mentre lasciavano che l’Ospedale cadesse a pezzi, il suo reparto funzionava magnificamente», raccontano. Fino al 2015, anno in cui è andato in pensione. E l’allora presidente della Regione Nicola Zingaretti ha decretato la chiusura dell’Ospedale.
«Ci vediamo domani alle 5», diceva Martelli ai pazienti per evitare che si formassero lunghe liste d’attesa. «Di pomeriggio?», rispondevano gli ammalati. «No, di mattina», confermava sorridente il professore che in più di vent’anni ha visitato oltre 70 mila persone. «Nel 2010 ho presentato un progetto per la riqualificazione del Forlanini, con costi molto bassi: prevedeva la realizzazione di 320 posti per anziani, Rsa pubbliche, il trasferimento di 6 poliambulatori per cui la Asl pagava almeno 3 milioni di euro d’affitto e della stazione dei carabinieri di Monteverde che avrebbe permesso di evitare i costi della vigilanza».
Ma la Regione non ha preso in considerazione l’idea di Martelli. Così il destino dell’iconico ospedale che era tra i più grandi al mondo è finito in balìa dell’incoerenza delle giunte del Lazio, incapaci di prendere una posizione: «Quando nel 2008 l’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini ha restituito l’area dell’ex sanatorio, con il vincolo di chiuderlo nel 2015, la Regione avrebbe dovuto capire che cosa farci», spiega Mariangela Pierro, che assieme a altri cittadini è stata protagonista della battaglia a suon di delibere e ricorsi al Tar per fare rimanere il Forlanini un luogo dedicato alla sanità pubblica: «Con la delibera n. 766 del 2016, Zingaretti, mentre dichiarava di voler valorizzare l’ex ospedale, ne autorizzava di fatto la vendita. Una prospettiva appetibile anche per la svalutazione dell’immobile che se nel 2014 valeva 278 milioni, un anno dopo la dismissione era stimato 70 milioni», chiarisce ancora Pierro che con il Comitato Beni Comuni ha impugnato la delibera davanti al Tar: «In un primo momento il Tar si è espresso ribadendo la vocazione pubblica e sociosanitaria del complesso. Ma non è riuscito a emettere in tempo la sentenza definitiva perché durante il processo la Regione è tornata sui suoi passi riportando il Forlanini tra gli immobili indisponibili alla vendita».
Al fianco dei comitati cittadini c’è stata anche la Cgil: sia con manifestazioni e proteste sia con una trattativa avviata con la Regione nel 2017 con l’obiettivo di promuovere una riorganizzazione del sistema sanitario regionale che includesse il Forlanini. «Siamo stati gli unici a farlo. L’allora assessore al Bilancio ci aveva detto che i fondi per realizzare il programma si sarebbero trovati. Ma dopo pochi mesi non abbiamo più avuto notizie», racconta Rino Giuliani, responsabile sanità Spi-Cgil che durante la pandemia, quando i posti nelle terapie intensive scarseggiavano, si è battuto per la riattivazione parziale dell’ex sanatorio: 120 mila firme sulla petizione lanciata dal professor Martelli. La Regione Lazio ha però risposto negando che il Forlanini potesse essere utilizzato come presidio sanitario visto il suo stato d’abbandono decennale.
Una motivazione che, invece, sembra passata in secondo piano per il governo da quando la Santa Sede si è interessata all’area. Consentendo così alla Regione di liberarsi dei costi di manutenzione e gestione dell’ospedale. Al prezzo di una cessione di sovranità.