Il racconto

Fuori dall'Accademia

di Andrea Camilleri   15 luglio 2013

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Vi presentiamo uno dei racconti inclusi nel volume 'I racconti di Nené' di Andrea Camilleri, edito da Melampo editore

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La mia frequentazione all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ? dove prendevo voti bellissimi e che sono riscontrabili perché esistono negli atti, come dieci in Regia da Orazio Costa, che era un voto che forse non l’avrebbe dato né a Copeau, né a Reinhardt; dieci in Scenotecnica con Virgilio Marchi, che era lo scenografo di Pirandello ? fi nì miseramente nel periodo estivo dopo il primo anno. Dopo il primo anno, Costa decise di fare un grandissimo spettacolo, ed è lo spettacolo più bello che ho visto in vita mia, e ne ho visti tanti. Si intitolava “Il poverello di Assisi”, testo di Jacques Copeau, dove io facevo, oltre che l’aiuto regista, anche l’attore. Eravamo una quarantina. In questo spettacolo, io avevo una battuta più lunga di Enrico Maria Salerno. Lui aveva una sola battuta in cinque atti ed era la seguente: «È il Papa?» E basta. Cinque atti. «È il Papa?» Salerno... Io avevo invece la battuta: «Senza il più piccolo libro». Se calcoliamo, è assai più lunga della battuta di Salerno.

C’era questa comitiva fatta da Gigi Vannucchi, Glauco Mauri, Franco Graziosi, Enrico Maria Salerno. Successe che ci misero separati, ragazze e ragazzi. Tre sventurati, ovvero io, Vannucchi e Salerno, avevamo le nostre ragazze che non potevamo vedere, se non con il cannocchiale o durante le prove. Una gentile amica attrice, che poi sarebbe diventata la più elegante e brava attrice della compagnia dei giovani, Rossella Falk, ci venne incontro. «Siccome la chiave ce l’ho io, tu, invece di abbracciarmi, mi dai la mano, io ti passo la chiave e nottetempo entri nel convento delle suore dove stanno le ragazze».

Quindi nottetempo irrompevamo Enrico Maria Salerno, Vannucchi e il sottoscritto nel convento delle suore, e andavamo ognuno nella cella dove stava la nostra rispettiva ragazza. Alle cinque del mattino, eravamo al primo piano, ci buttavamo dalle fi nestre e raggiungevamo il convento dei francescani, dove abitavamo tutti noi ragazzi. Questa storia andava avanti da venti giorni. Il ventesimo giorno, mi addormentai, ci addormentammo, la madre guardiana aprì la cella, ci scoprì e scoppiò lo scandalo. E così venni cacciato via per indegnità morale. Fine della brillante carriera dell’allievo.

Devo dire che sono tornato molti anni dopo, negli stessi posti, da insegnante, e la cosa che più mi colpì di San Miniato era il fatto che era estremamente scoscesa, tutte salite e discese. «Ma è successo un sisma negli ultimi tempi?», chiesi. Il sisma era dovuto all’età, perché allora, avevo 25 anni, mi facevo nottetempo, alle cinque del mattino, di corsa, una salita pazzesca e arrivavo al convento dove dormivano i miei compagni, e, all’età di settant’anni, la stessa strada la facevo lentamente e mi sembrava lontanissimo, il convento che, invece, con due balzi a 25 anni, raggiungevo.