Nel 2004 l'allora premier del Lussemburgo, e oggi presidente della Commissione Ue, si vantava di aver convinto tante multinazionali a trasferirsi nella piccola enclave grazie a un lavoro di lungo periodo. E oggi quell'attivismo lo mette al centro del dibattito politico

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Jean-Claude Juncker aveva uno sguardo malizioso. Mancava poco alle elezioni del 2004, e l’allora premier del Lussemburgo non ce la fece proprio a tenere segreto il fatto che il suo piccolo Granducato era riuscito ad attirare e prendere all’amo un’altra grossa multinazionale.

AOL e Amazon si stavano già trasferendo in Lussemburgo, nel pieno di un fiorire convulso di interesse da parte delle aziende statunitensi che lavorano in internet. Jeannot Krecké, suo rivale politico, ricorda che Juncker alluse in modo guardingo a qualcos’altro, a qualcosa di imminente. E, dopo una pausa, Juncker esclamò: “I like apples!” (Mi piacciono tanto le mele).

Una dopo l’altra, in rapida successione, fissarono la loro sede europea in Lussemburgo la divisione iTunes di Apples, Microsoft, Cisco ed eBay, un’autentica collezione di colossi nel mondo dell’hi-tech. Il loro arrivo fu accolto come l’ennesimo trionfo della reinvenzione economica di una delle enclave sovrane più piccole d’Europa. A distanza di dieci anni, però, quella strategia mette ora il suo artefice, Jean-Claude Juncker, sotto tiro nel mondo politico, proprio ora che ha raggiunto l’apogeo della sua carriera ed è diventato presidente della Commissione Europea.

L’Ue, infatti, di questi tempi sta conducendo indagini per appurare se gli appetibili regimi di imposizione fiscale privilegiata che il Lussemburgo ha assicurato a due grandi società straniere – Amazon e Fiat – per caso non siano stati esageratamente dolci. Migliaia di pagine di cosiddetti tax rulings (accordi o concessioni di regimi di imposizione fiscale privilegiata) presi dal governo del Lussemburgo e trapelate di nascosto stanno mettendo in luce in che modo centinaia di altre aziende siano riuscite a trasferirsi nel Granducato e siano riuscite a pagare imposte per importi del tutto irrisori. Adesso, però, finanche alcuni suoi alleati temono che il ruolo rivestito da Jean-Claude Juncker nell’inverosimile ascesa del paese ai vertici dell’elenco delle nazioni europee più ricche pro-capite – in un percorso di 40 anni che da produttore di acciaio l’ha portato a diventare un centro finanziario in piena espansione, pioniere e hub nell’ambito dell’e-commerce – possa finire con lo svelare le sue colpe.

Durante il boom, Jean-Claude Juncker non si è mai tirato indietro quando c’era da riscuotere meriti. Nel 2004 disse a un giornalista di “Revue” che lo intervistava: “Ho esercitato pressioni su quelle aziende di persona affinché scegliessero il Lussemburgo come loro quartiere generale in Europa e di questo non devo né vergognarmi né giustificarmi”. Quello stesso anno con “Le Quotidien” si vantò dicendo: “Abbiamo attirato AOL, Amazon, Microsoft. Alcuni pensano che queste grosse aziende ci siano semplicemente cascate tra le braccia. Dietro all’arrivo di AOL, invece, ci sono state almeno 200 ore di trattative. Per avere risultati di questo tipo si deve lavorare sodo ed essere tenaci”.

Quanti lo conobbero e frequentarono allora ricordano un leader accomodante, dotato di umorismo, affabile. “Abbiamo incontrato Juncker una volta o due” ha ricordato in una schietta intervista a “d'Lëtzebuerger Land” Robert Comfort, responsabile finanziario di Amazon, che ha rivelato nei dettagli i colloqui del 2003 che condussero all’apertura di una sede in Lussemburgo del retailer online più importante. “Il messaggio di Juncker fu: ‘Se vi imbattete in un problema che non riuscite a risolvere, non preoccupatevi e rivolgetevi pure a me. Io farò tutto il possibile per aiutarvi”. Un anno prima di andare in pensione da Amazon nel 2012, Comfort è diventato console onorario in Lussemburgo per lo stato americano di Washington. Quando il “Financial Times” lo ha interpellato per un commento su questa vicenda, non ha voluto rispondere.

Dal canto suo, Juncker resta tuttora spavaldo e incorreggibile. Il mese scorso ha detto che le accuse di scorrettezza che gli sono state rivolte sono “disgustose”. Fino a questo momento nessuno ha dimostrato che abbia colpe precise. Il Lussemburgo non era certo l’unico paese al mondo a corteggiare le multinazionali proponendo un regime di imposizione fiscale molto allettante, e non è mai stato privo di concorrenti all’altezza, compresi Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Gran Bretagna, Svizzera e perfino il Delaware negli Stati Uniti. “Se noi siamo malviventi, allora lo sono tutti quanti” ha detto una volta Juncker.

In verità, per alcuni aspetti il Lussemburgo spicca rispetto agli altri stati. Nel 2000 le aziende americane, senza contare le banche, avevano riportato utili per 3,4 miliardi di dollari grazie alle loro operazioni in Lussemburgo, e a dichiararlo erano i dati del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Dopo dieci anni, quella cifra ha raggiunto i 94,1 miliardi di dollari. Centinaia di tax ruling accomodanti e privilegiate, decine e decine di lettere di patronage rese pubbliche in uno scandalo che assume dimensioni preoccupanti, stanno portando alla luce le complesse manovre che hanno consentito alle multinazionali di eludere le imposte. Se è vero che anche molti altri paesi rilasciano lettere di gradimento di questo tipo, poche le offrivano con la medesima prodigalità del Lussemburgo, e poche chiedevano in cambio dalle multinazionali così rari attestati.

Dietro alle cifre c’era l’ossessione di Juncker per la differenziazione economica. Negli anni Settanta, il Granducato passò dall’acciaio alla finanza grazie a ingegnose agevolazioni fiscali ed efficaci manovre normative. Dagli anni Trenta il Lussemburgo aveva astutamente messo i suoi diritti a disposizione delle frequenze radio e in seguito dei satelliti per ospitare le più importanti emittenti europee, da RTL a Radio Lussemburgo, la stazione radiofonica che lanciò i Beatles.

Per Juncker i rischi legati al fatto di fare eccessivo affidamento su questa strategia assunsero un risvolto personale: da giovane ministro aveva costretto suo padre, che lavorava nel settore dell’acciaio, ad andarsene prematuramente in pensione, dato che l’intero settore lussemburghese dell’acciaio finì in una nuvola di fumo. Per lui, l’era di internet rappresentava sia un pericolo sia un’occasione. Al FT ha raccontato: “Mi resi conto che non potevamo sostituire una forma di dipendenza, come quella dall’acciaio, con un’altra, come quella della finanza. Cercammo in tutti i modi di diversificare la nostra economia, senza fare nulla di illegale, malgrado la forte opposizione di alcuni dei paesi nostri confinanti”.

Jean-Paul Zens, funzionario ai vertici del settore tech lussemburghese per circa vent’anni, dice che le nuove normative relative alle imposte sul valore aggiunto apparse nel 2003 furono una “felice coincidenza”, che permise di concedere agevolazioni fiscali alle corporation che offrivano servizi informatici. Attirarono infatti l’interesse di Rick Minor, un dirigente di AOL, che mise a punto un modello da utilizzare per sfruttare il Lussemburgo e farne l’hub in Europa per l’e-commerce. Da lì nacque quella che “quasi certamente è stata la più grande influenza degli americani in Lussemburgo dalla fine della Seconda guerra mondiale” ha detto Minor.

Una volta palesatosi chiaramente tutto il potenziale del Granducato, il Lussemburgo si è messo in marcia. Mentre Juncker riceveva a casa propria gli equivalenti di un Jeff Bezos di Amazon, i suoi ministri erano occupati a tastare il terreno su e giù lungo la West Coast degli Stati Uniti, facendo visita a multinazionali tra le quali Apple, Yahoo, eBay e Microsoft. Dal 2003 al 2006 le loro missioni furono annuali o biennali, e talvolta comportarono anche royalty.

Una foto risalente al 2006 mostra un ministro lussemburghese in compagnia di Guillaume, erede del Granducato, durante una visita al quartiere generale in California di eBay. Sorridenti, alle spalle dell’erede al trono, sono schierati il responsabile finanziario di eBay, il capo divisione tributario, il vicepresidente per il settore finanziario e un direttore relativamente inferiore delle imposte indirette. Se è vero che molti paesi concedevano royalty per sbandierare e allargare il loro giro commerciale, è anche vero che di rado si sono mostrati fianco a fianco con i responsabili finanziari di un’azienda.

“Se uno se ne resta seduto nella Silicon Valley o a Seattle o a Vancouver, e non conosce granché il Lussemburgo, è molto più difficile prendere una decisione in merito a quest’ultimo” ha detto Zens, un habitué delle trasferte negli Stati Uniti. Il Granducato quindi doveva fare molto di più per avere la meglio rispetto a concorrenti forti come l’Irlanda, che aveva legami culturali con gli Usa. “Diventa indispensabile attivarsi di più. Tutti gli altri paesi viaggiano e promuovono a loro volta ciò che hanno da offrire”.

Quanti erano ministri all’epoca o dirigenti di società di e-commerce sostengono che l’aspetto fiscale fu soltanto uno di molti fattori presi in considerazione. Nei colloqui si parlò anche di regolamentazioni, logistica e perfino di scuole. Durante un pranzo con Kreché, Meg Whitman di eBay ricorda di aver escluso il Lussemburgo a causa di alcune debolezze nelle sue infrastrutture nel settore IT, e tale rifiuto innescò immediatamente una promessa di maggiori investimenti nel settore. “Noi non siamo consulenti finanziari. Noi ci concentriamo sull’aspetto produttivo” ha detto Kreché, all’epoca ministro dell’economia a capo di alcuni missioni commerciali negli Usa.

In realtà, il grande punto di forza del Lussemburgo è stato la sua agilità. Juncker ha sovrinteso a molteplici sforzi concertati per attirare nuovi importanti aziende attive nel settore delle tecnologie, e ciò avvenne modificando le leggi sul commercio, migliorando le connessioni internet, ritoccando quasi di continuo la legislazione fiscale che in ogni caso il Lussemburgo è sempre stato pronto, su richiesta, a modificare prontamente a vantaggio delle multinazionali. “In Lussemburgo noi siamo soliti dire ‘Schnellboot gegen Tank’” ha detto Juncker al FT preparandosi al boom delle multinazionali dell’hi-tech.

Dal punto di vista normativo, il Lussemburgo era un piccolo paese nel quale le porte dell’amministrazione erano sempre spalancate. PayPal, per esempio, nel giro di pochi mesi si è assicurato una licenza bancaria di vitale importanza. Michael Jackson, senior manager di Skype, ricorda di aver consegnato con le sue stesse mani un assegno da 25 milioni di dollari per le imposte sul valore aggiunto e di essere stato ringraziato di persona dal ministro del Tesoro, che gli ha detto: “Questo è il costo di una scuola”. I governi sono cambiati di rado, sia dal punto di vista degli uomini che ne facevano parte, sia dell’atteggiamento di massima cordialità e disponibilità nei confronti delle aziende.

“Una società internet si guarda intorno e prende atto del fatto che nel mondo ci sono 196 nazioni indipendenti: sono tutte clienti potenziali e tutte e 196 vogliono farti pagare le imposte da loro” ha detto Chuck Stoops, ex responsabile finanziario di eBay. “Per sopravvivere è dunque necessario predisporre rapidamente le proprie difese. In qualche caso, facendo di uno o due paesi i propri partner commerciali privilegiati. E il Lussemburgo, trovandosi nel cuore dell’Europa, è un posto ragionevole nel quale farlo”.

Di fronte al vero e proprio assalto normativo dall’esterno, il Lussemburgo sta adesso predisponendo a sua volta le sue difese. Si stanno ritoccando i regimi fiscali particolari – di così cruciale importanza per le multinazionali, preoccupate per le garanzie accessorie – e li si stanno inasprendo per renderli più sicuri anche sul piano legale. Juncker sta sollecitando il Granducato a iniziare a condividerli con altri governi in modo automatico.

“È finito il tempo della flessibilità e dei colloqui caso per caso con le varie amministrazioni fiscali come si faceva in passato” ha detto ai clienti Olivier Van Ermengem di Linklaters. “Adesso i regimi fiscali particolari sono concessi sulla base dell’analisi di leggi e fatti. Dovremo abituarci al fatto che quando si richiede un regime di imposizione fiscale particolare, questo potrebbe finire sul tavolo di un ispettore finanziario in qualsiasi paese al mondo”.

Traduzione di Anna Bissanti

Copyright The Financial Times Limited 2014

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