L’economia verde ai tempi di Renzi
Ma gli ecologisti bocciano il premier
Oltre 300 mila imprese innovative: dall’agricoltura biologica all’energia sostenibile. Con fatturati record e 3 milioni di posti di lavoro. Ma il governo non aiuta
C’è un green Italy che non ti aspetti. È fatto di 341 mila imprese che dal 2008 a oggi, per sopravvivere alla crisi economica e occupazionale, hanno innovato prodotti e processi puntando sulle tecnologie verdi. Facendo di necessità virtù, hanno ridotto l’impatto ambientale e risparmiato energia, riuscendo così a restare competitive sul mercato e a creare nuovi posti di lavoro. Il rapporto “Green Italy 2014”, appena pubblicato da Unioncamere e dalla Fondazione Symbola, mostra senza equivoci come anche nel nostro Paese l’economia verde non sia affatto un fenomeno di nicchia: vale il 10 per cento dell’economia nazionale, con oltre 101 miliardi di euro di valore aggiunto. E offre lavoro a tre milioni di persone.
Se un’azienda italiana su cinque ci ha scommesso è perché conviene. Nel manifatturiero, si legge nel rapporto, un quarto delle imprese che ha investito in tecnologie verdi ha visto crescere il proprio fatturato. Non a caso ad abbracciare con più convinzione la green economy sono i comparti trainanti del made in Italy: alimentare, legno-mobile, fabbricazione di macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, tessile, abbigliamento e calzature. A cui si aggiunge il balzo in avanti, davvero sorprendente in tempi in cui si tira la cinghia anche sulla spesa alimentare, del cibo a chilometro zero, che ha raggiunto un fatturato di 3 miliardi di euro grazie a 7 milioni di italiani che preferiscono acquistare direttamente dagli agricoltori. Mentre il ministero delle Politiche agricole certifica che nell’ultimo anno le coltivazioni biologiche si sono estese del 6 per cento per tenere il passo con l’aumento della domanda.
Pure nel rapporto “Ambiente in Europa 2014” di Legambiente si parla di un’Italia più sostenibile, che emette meno gas serra e produce più energia da fonti rinnovabili. Secondo l’associazione ambientalista si tratta però di una «conversione ambientale inconsapevole»: frutto della recessione e della necessità di ridurre gli sprechi, più che di una precisa strategia politica. Già, perché compiere la transizione verso la green economy richiede investimenti a lungo termine, una programmazione industriale degna di questo nome, disincentivi per chi inquina e un’idea di sviluppo capace di conciliare economia e ambiente.
Vien dunque spontaneo chiedersi se il governo in carica stia facendo qualcosa per sostenere questa svolta buona verso un’economia verde, da più parti invocata come un’opportunità da non perdere per favorire la ripresa. Del resto, già all’indomani della vittoria alle primarie Matteo Renzi aveva definito la green economy «la chiave del futuro del Paese», creando molte aspettative tra i fan dello sviluppo sostenibile. Nel programma dei mille giorni, tuttavia, grande assente è proprio la green economy. E oggi le associazioni ambientaliste accusano il premier di remare in direzione opposta, incentivando petrolio, inceneritori e autostrade, anziché pale eoliche, differenziata e mobilità sostenibile. Chi ha ragione? Abbiamo spulciato i provvedimenti del Governo per scoprire quanta green economy c’è nel Renzi pensiero.
COMPETITIVI E COMPATIBILI Il primo provvedimento del governo a finire nel mirino è stato il decreto Competitività, meglio noto come decreto Spalma incentivi, convertito in legge lo scorso 7 agosto. Nell’intento di sgravare del 10 per cento le bollette elettriche per le piccole e medie imprese, ha infatti tagliato gli incentivi alle fonti rinnovabili, e per di più in modo retroattivo. Sul “Financial Times” e sul “Wall Street Journal” si è sottolineato come la retroattività mandi in frantumi il patto di fiducia con le imprese che avevano investito sull’eolico e sul fotovoltaico, prefigurando una fuga di investimenti all’estero e una valanga di ricorsi. Un vero peccato considerato che, secondo un rapporto elaborato dalla società Althesys per Greenpeace, nel 2013 in Italia le rinnovabili hanno prodotto ricadute economiche per 6 miliardi di euro, dando occupazione a oltre 63 mila persone. Ora alcune associazioni di categoria come Assorinnovabili temono che molte imprese possano fallire, mandando in fumo posti di lavoro. E Legambiente denuncia che il provvedimento non ha toccato gli incentivi ai combustibili fossili, che tra sussidi diretti e indiretti ammontano a 12 miliardi di euro all’anno. Due pesi e due misure che stonano rispetto agli impegni presi contro i cambiamenti climatici.
Ma una luce c’è anche nel decreto Spalma incentivi che prevede esenzioni per gli impianti più piccoli, di potenza inferiore a 20 kW, che non pagheranno più gli oneri di sistema. Viene avvantaggiata anche la produzione di energia per autoconsumo, con l’innalzamento da 200 kW a 500 kW della potenza massima per poter usufruire del cosiddetto “scambio sul posto” (cioè la possibilità di cedere alla rete elettrica una parte dell’elettricità prodotta da un impianto privato, quella che non viene consumata subito perché prodotta in eccesso, prelevandola quindi in un momento successivo, quando se ne ha bisogno).
MANO LIBERA AL CEMENTO Ma l’opposizione degli ambientalisti si è fatta sentire soprattutto quando è stato proposto il decreto Sblocca Italia, convertito in legge lo scorso 5 novembre e già ribattezzato “Sporca Italia”. Secondo il Wwf contiene ben 11 disposizioni che avranno come unico effetto l’indebolimento delle tutele ambientali, lasciando mano libera agli interessi speculativi sui beni comuni. Secondo i più critici, il provvedimento sembra pensato per sbloccare più che altro colate di cemento, trivelle e inceneritori. Quasi la metà dei circa 4 miliardi destinati alle grandi opere servirà infatti per costruire strade e autostrade, solo un quarto finanzierà il trasporto su ferrovia, e meno di un decimo andrà a reti metropolitane e tranviarie. Contestate anche le norme per snellire le procedure di autorizzazione dei lavori edili e la proposta di creare una rete nazionale di inceneritori, che rischia di rendere meno conveniente la raccolta differenziata. Nel libro “Rottama Italia” pubblicato da Altreconomia il fondatore di Slow Food Carlo Petrini ha definito l’iniziativa del governo «uno shock assoluto», un provvedimento che, senza alcuna lungimiranza e tutto a favore delle lobby dell’edilizia, favorirà un’ulteriore cementificazione del territorio. Mentre, al contrario, avremmo urgente bisogno di ridurre il consumo di suolo, che continua a scomparire al ritmo sbalorditivo di 70 ettari al giorno. Con il risultato che il terreno, ricoperto dall’asfalto e reso fragile dal disboscamento e dall’erosione, al primo acquazzone finisce per mandarci sott’acqua o franarci sotto i piedi. Ma quel che meno piace agli ambientalisti del decreto sono alcuni provvedimenti per velocizzare le autorizzazioni di sfruttamento dei giacimenti italiani di idrocarburi. Come il fatto che la concessione per le esplorazioni e per l’attività estrattiva debba essere accordata o negata dallo Stato, limitando il ruolo decisionale degli enti locali e delle valutazioni di impatto ambientale.
NON CI RESTANO CHE I BONUS Qualche notizia positiva arriva invece dalla legge di stabilità, che proroga al 2015 i cosiddetti “ecobonus”, le detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Un’efficace misura anticiclica che secondo Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente territorio e lavori pubblici della Camera, l’anno scorso ha prodotto 28 miliardi di investimenti e 340 mila posti di lavoro, tra diretti e indotto, derivati dal credito di imposta per le ristrutturazioni e il risparmio energetico in edilizia. Nello specifico, i cittadini potranno beneficiare di detrazioni del 50 per cento per ristrutturare casa o acquistare mobili e grandi elettrodomestici di classe non inferiore ad A+, e di detrazioni del 65 per cento per interventi di risparmio energetico qualificato come l’installazione di pannelli solari o di uno scaldabagno a pompa di calore. Da più parti si chiede però che il governo stabilizzi l’ecobonus anziché rimetterlo in discussione ogni anno, con il solo risultato di creare incertezza tra le aziende e i cittadini. Ma per una volta la decisione di estendere provvedimento al 2015 mette tutti d’accordo: governo, imprese, lavoratori, associazioni ambientaliste.