
All’esterno non va meglio. Facendo due chiacchiere con i gestori dei 25 alberghi spuntati come funghi, si scopre che lo Sheraton, il quattro stelle a forma di biplano di fronte al Terminal 1, è in concordato. Ad agosto è fallita la società del Grand Hotel Malpensa, mentre l’Hilton ha chiuso e riaperto: «Da quando Alitalia ci ha abbandonato gli alberghi sono vuoti. Speravamo nell’ingresso di Etihad, ma abbiamo capito che qui non ci sarà alcuna valorizzazione. Che ne sarà dei cinquemila dell’indotto?», si domanda Guido Brovelli, presidente della locale Federalberghi, dopo che il governatore lombardo Roberto Maroni ha messo le mani avanti, svelando le condizioni dettate dagli arabi, fra cui la liberalizzazione delle rotte che interessano l’aeroporto di Linate per renderlo più vicino alle capitali europee e agli hub del Medio Oriente, togliendo ossigeno e passeggeri a Malpensa, che nei piani Ethiad diventerà un maxi scalo merci.
«Le rotte intercontinentali passeranno da 11 a 25 la settimana», sostiene il capo di Alitalia, Gabriele Del Torchio, lo stesso che nel luglio scorso aveva spostato a Linate tutti i voli di AirOne, la low cost del gruppo. Oggi Alitalia mantiene a Malpensa quattro destinazioni extra-Ue, e cioè Mosca, Tirana, Il Cairo e Tunisi. Tutto il resto è stato dirottato sul Forlanini, proprio come hanno fatto Air France e British Airways. Per capirci, la compagnia francese vola 14 volte al giorno a Parigi, imbarcando da lì i passeggeri sui suoi voli intercontinentali.
Bisognerà dunque trovare un modo per spiegare ai cittadini perché 1,2 miliardi di euro delle loro tasse sono stati spesi per realizzare Malpensa 2000, una struttura che la politica, Lega in testa, definiva vitale per l’economia del Nord ma il cui sviluppo è sempre stato ostacolato. La Emirates di Dubai per avviare un volo diretto a New York ha dovuto ingaggiare una battaglia legale contro Alitalia e Assoaereo. Così come nel 2011 il governo aveva detto no a Singapore Airlines, che voleva fare scalo a Malpensa sulla rotta tra l’Oriente e New York. Problemi che secondo il professore della Bocconi, Oliviero Baccelli, scoraggiano le compagnie straniere. Eppure questo è l’unico aeroporto italiano con tutte le carte in regola per crescere, perché si è dotato di una rete viaria mastodontica, costata agli italiani un miliardo e mezzo. Il Centro di Ricerca sui Trasporti dell’Università Liuc di Varese ha contato decine di infrastrutture dedicate allo scalo. Fra un anno sarà pronto il treno che collega il Terminal 1 al Terminal 2, un progetto da 114 milioni. E poi c’è la ferrovia Varese-Mendrisio, pronta dal lato svizzero, meno da quello italiano, e il grande punto di domanda dell’Alta Velocità fra Torino e Milano che, per 208 milioni, dovrebbe fare tappa qui.
Se il progetto della terza pista è finito nel cassetto, per finanziare il restyling del Terminal 1, una mano l’ha data l’aumento delle tariffe concesso dal governo Monti nel 2012 con il decreto “Cresci Italia”. Nel bilancio 2013 della società aeroportuale Sea si dice che l’impatto delle nuove tariffe è stimabile in 59 milioni, non pochi se si considera che lo scorso anno la società ha portato a casa un risultato netto di 33 milioni. L’incertezza però è al massimo, al punto che la Sea non ha faticato a trovare 300 volontari disposti a lasciare la controllata Sea Handling (che sta passando ai privati) in cambio di una buonuscita: «Molti lavoratori, temendo che la situazione possa solo peggiorare, hanno deciso di andarsene», racconta Sara Fenzi del sindacato Cub. Anche secondo Anna Gervasoni, professoressa alla Luic, che sul caso Malpensa ha scritto un libro, si profilano anni difficili: «Ma nel lungo periodo questo scalo è destinato a crescere perché con il completamento delle nuove autostrade Brebemi e Pedemontana i collegamenti saranno sempre più veloci e il Nord Italia, al netto della crisi, è destinato a svilupparsi».