
Mosca risponde con misure identiche per alcuni politici americani, tra cui il senatore John McCain e due consiglieri del presidente Barack Obama. Il 28 aprile, con la guerra in corso nell’Ucraina orientale, Washington e Bruxelles ampliano la lista dei cittadini russi non graditi.
Tra di loro, Igor Sechin, boss del colosso petrolifero Rosneft. ?Le cose si complicano dopo il 17 luglio, quando un aereo della Malaysia Airlines, con 298 persone a bordo, viene abbattuto nei pressi di Donetsk, la città al centro della guerra.
Il 31 luglio, Usa e Ue impongono alle proprie imprese di non commerciare con società russe del settore energetico, finanziario e della difesa. Si sfila la Svizzera, che limita l’embargo alle armi, mentre Australia, Giappone, Norvegia e Canada si accodano.
Vladimir Putin risponde per le rime e il 6 agosto vieta l’import di carne, pesce, frutta, verdura e latticini. A perderci è soprattutto l’Europa, il cui export alimentare verso la Federazione vale 11,8 miliardi di euro, dodici volte quello degli States.
La rappresaglia prosegue e l’11 agosto Mosca vieta l’importazione di prodotti tessili, abbigliamento, calzature e pelletteria dall’Occidente, ma solo se a comprare sono società pubbliche.
E il 19 agosto stoppa invece le esportazioni di cuoio ?e pelli verso l’Europa, inguaiando ?i trasformatori italiani. E pensare che, solo nove mesi fa, Mosca e Roma avevano firmato il protocollo dal benaugurante nome di “Corridoio verde”. «Con l’obiettivo di velocizzare le procedure doganali tra i due paesi. Un’intesa che doveva costituire una corsia preferenziale per l’accesso al mercato russo delle nostre aziende», spiega Alessandra ?Di Salvo, esperta di STS Deloitte.