Jihadisti con passaporto siriano, allarme alle nostre frontiere

Un agente tunisino presidia il museo del Bardo dopo l'attentato
Un agente tunisino presidia il museo del Bardo dopo l'attentato

Quattromila documenti d’identità siriani, in possesso dello Stato Islamico. Usati per entrare nel nostro Paese. E altri rubati in Italia, finiti nelle mani dei terroristi. Ecco il dossier che avverte: la minaccia è sempre più vicina

Un agente tunisino presidia il museo del Bardo dopo l'attentato
Ci hanno già provato diverse volte. Bussano alle porte dell’Italia e cercano di entrare con documenti apparentemente validi. Sono, stando a informazioni in possesso delle intelligence europee, terroristi provenienti dalla Siria e hanno già lasciato tracce all’aeroporto di Ciampino come a quello di Torino. Non solo. Anche da Calais (Francia) e da Zagabria (Croazia) arrivano segnalazioni da polizie “amiche” di una migrazione jihadista verso il nostro Paese.

Dopo l’attacco al museo del Bardo di Tunisi in cui sono stati uccisi 18 turisti occidentali, compresi quattro nostri connazionali, l’allerta è diventata massima. Il rischio che i fondamentalisti vogliano colpire in Italia viene considerato alto. E gli investigatori sono concentrati su un dossier riservato, consegnato al governo italiano a metà febbraio, poco più di un mese fa: un rapporto sviluppato grazie alla collaborazione tra servizi segreti italiani, tedeschi e turchi. L’intelligence ha ricostruito la trama di una filiera logistica che sostiene le attività dei terroristi, una connection che ha le sue ramificazioni principali a Roma, Parigi, Istanbul e Ankara. E, nell’analisi dei movimenti degli affiliati, un ruolo importante lo gioca Milano, dove opera una centrale che aiuta i profughi arrivati dalla Siria a raggiungere l’Europa del Nord.

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27/3/2015
I nostri 007 concentrano le loro attenzioni soprattutto su 4000 passaporti della “Repubblica araba di Siria” di Bashar Assad finiti nelle mani dell’Is e di Jabhat Al Nusra, movimento fondamentalista concorrente e vicino ad al Qaeda. Sono documenti originali, in parte sottratti agli uffici amministrativi di Raqqa (dove lo Stato Islamico ha installato il suo quartier generale dopo averla conquistata), in parte provenienti dall’ex enclave armena di Deir er Zor. I seguaci del Califfo e i miliziani filo al Qaeda, spiega la nota dell’intelligence, avrebbero venduto i passaporti “al prezzo di 2500 dollari americani ad appartenenti ad altre formazioni terroristiche intenzionati a viaggiare sotto falsa identità”. E fornisce i numeri di serie dei lotti sospetti perché le polizie di frontiera possano intercettare coloro che li utilizzano.

Ora 4.000 passaporti al prezzo di 2500 dollari fa 10 milioni di dollari (e tra gli acquirenti potrebbero esserci anche cittadini siriani che vogliono fuggire dalla guerra). Un capitale importante per organizzazioni che hanno il perenne problema del finanziamento per pagare i miliziani e, per garantire, nel caso del sedicente Stato Islamico, anche il funzionamento delle “istituzioni” create tra la Siria e l’Iraq. Ma il sospetto è che quei documenti così preziosi possano essere usati dagli stessi uomini del califfato dalle bandiere nere per penetrare in Europa e compiere attentati.

Ci fosse poi solo la partita dei 4.000 passaporti. Ad aggiungere elementi di allarme ci sono altre relazioni provenienti dalle polizie di tutta Europa circa la circolazione di documenti contraffatti. Un fiume in piena che ha costretto il segretariato generale dell’Interpol di Lione a emanare un nuovo regolamento: è stata creata una banca dati globale sui documenti personali sequestrati a sospetti terroristi e loro fiancheggiatori.

Gli investigatori sono convinti che i passaporti falsificati siano il tassello di una nuova strategia militare. Alcuni episodi sono significativi. La sera del 23 febbraio a Ciampino la polizia di frontiera ha bloccato quattro siriani con passaporto valido. Erano tutti a bordo di un aereo proveniente da Salonicco. Sui loro documenti erano stati applicati gli sticker, adesivi che certificano il possesso di un permesso di soggiorno, rilasciati da autorità svedesi o norvegesi. Soltanto ad un controllo approfondito quei visti si sono dimostrati falsi. In assenza di contestazioni di reati specifici legati al terrorismo e in ossequio alla legge sull’immigrazione, i quattro siriani sono stati denunciati e immediatamente rilasciati a piede libero, dopo la contestazione del reato di uso di documento falso.

E ancora. Nel porto francese di Calais, di ritorno dalla Gran Bretagna, lo scorso gennaio è stato fermato Satam Al Raqui Ziad, un cittadino siriano che secondo i servizi segreti di Parigi è legato agli ambienti del radicalismo islamico. Al controllo documenti, Al Raqui ha presentato una carta d’identità italiana. Dopo un rapido accertamento si è scoperto che era stata rubata a Napoli due anni fa: Al Raqui era stato inserito nella lista dei sospetti anche nella banca dati del Viminale, dopo essere stato fermato al porto di Trieste, nell’estate del 2012, allo sbarco da una motonave turca.

Stesso copione il 26 febbraio all’aeroporto di Torino Caselle, quando dal volo proveniente da Istanbul è sceso “Vittorio Bianchi”: in realtà si trattava del siriano Najib Khajat. Se i passaporti siriani sono un comodo supporto per entrare in Europa e tentare di chiedere il permesso per ragioni politiche e umanitarie, l’altra faccia della medaglia è costituita dall’utilizzo di documenti europei per andare in Siria. A Parigi è scattata la caccia a un cittadino italiano convertito all’Islam; l’uomo è in attesa di recarsi sul fronte di guerra per legarsi alle brigate dell’Is. Prima di partire, il nostro connazionale aspetta la consegna di un passaporto italiano: di quel documento gli investigatori sanno tutto, dal numero di serie, sino alla provenienza da un lotto rubato nel dicembre 2014. Il Dgsi, l’intelligence francese, ha ricostruito la storia in ogni dettaglio grazie al contributo di una “fonte confidenziale da tutelare imperativamente”. Un altro passaporto italiano rubato è stato ritrovato a gennaio di quest’anno in Croazia, quando dall’aereo proveniente da Istanbul è sceso “Jacopo Vicini”. Si trattava in realtà di Shehko Mounir, un siriano che per l’intelligence occidentale è vicino agli ambienti del jihadismo e potrebbe progettare attacchi terroristici in Europa. L’hanno rispedito in Turchia.

Una falsa identità invece è riuscita a proteggere la missione di Wahib Cabdi: un cittadino britannico di origini somale che appartiene alla schiera dei foreign fighters. Una “gola profonda” ha rivelato la sua intenzione di tornare a casa dal fronte, passando da Turchia, Grecia e Italia. Del viaggio di ritorno del miliziano si sapeva tutto: giorno del transito e mezzi da utilizzare (in nave da Patrasso a Brindisi e poi in treno fino a Fiumicino per tentare di prendere il volo verso Londra). Ma grazie ai documenti di copertura Wahib non ha lasciato tracce.
In questo contesto, con l’allerta ai massimi livelli, il compito degli investigatori è arduo. Per colpa anche della burocrazia. Ne è esempio l’ultimo “regalo” del governo tedesco all’Italia. Il 12 gennaio la polizia federale ha avviato le procedure di estradizione nel nostro Paese di Mohamed Al Shagel.

È l’ “ingegnere” di Jabhat Al Nusra. Era a capo di una cellula che dalla Bulgaria forniva supporto logistico, producendo generatori di energia elettrica e motori da distribuire sul fronte siriano. Al Shagel è stato espulso in Germania dal governo di Sofia alla fine del 2013, quando l’Interpol ha certificato la sua affiliazione al network jihadista. Ma il governo di Berlino, accordi di Schengen alla mano, opterà per l’estradizione in Italia, perché proprio nel nostro Paese aveva presentato domanda di asilo. Senza una modifica alle normative europee, c’è il rischio che molti dei presunti miliziani vengano poi rispediti in Italia, moltiplicando il problema dei controlli.

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