Il 25 aprile nei diari conservati all'archivio di Pieve Santo Stefano
Quel giorno a Milano raccontato dalle parole di chi era lì. Nove storie selezionate tra quelle conservate nell'archivio diaristico nazionale
Mercoledì 25 aprile 1945. Il giorno della Liberazione, il giorno in cui l’Italia ha debellato il nazifascismo e chiuso l’oscura esperienza della Repubblica Sociale Italiana. Milano è stata e resta il luogo simbolo di quel passaggio storico.
Una città che in pochi giorni ha vissuto gioie estreme e dolori estremi, distribuiti tra centinaia di migliaia di persone che tornavano ad abbracciarsi e altrettante che continuavano a uccidersi. Con le vittime e i carnefici a passarsi il testimone, in uno di quei momenti della storia in cui è impossibile tracciare un confine universale tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Per comprendere cos’è accaduto in città in quei giorni non esiste racconto più efficace di quello racchiuso nei diari e nelle memorie di chi c’era. Centinaia di questi sono conservati presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Una rapida perlustrazione di questo fondo in gran parte inedito lascia affiorare le voci dei protagonisti. Ne abbiamo scelte nove, che ci sembrano rappresentative di sentimenti e stati d’animo diversi e complementari.
A partire da quella dell’operaio della Compagnia generale elettricità Antonio De Palo ("Due fucilati") che il 24 assiste a uno degli ultimi crimini commessi dai fascisti, che “per impressionare le maestranze” fucilano due partigiani prelevati dal carcere di San Vittore nel piazzale antistante la sede della Compagnia.
C’è poi quella della giovane studentessa di ragioneria Maria Rachele Ciccarelli (“Liberi? Sembra impossibile”), che riassume l’enorme impatto delle novità che si stanno abbattendo sulla vita di tutti con una semplice frase, pronunciata dal sanatorio dov’è in cura: “Liberi. Cosa vuol dire per noi liberi. Mi sembra impossibile”.
Una libertà che sfugge a Rina Alberici ("Trentasette morti"), che nella sua testimonianza racconta ancora di esecuzioni sommarie, ma che vedono invertirsi le parti tra vittime e carnefici. Allo stabilimento Breda gli operai insorti hanno imprigionato il personale dirigente. Compilano una lista di capi d’accusa e si fanno giustizia da soli. Tra i reclusi c’è anche Aurelio, marito di Rina, che verrà risparmiato e tornerà a casa salvo, facendosi però strada tra i cadaveri di trentasette colleghi ammucchiati di fronte al cancello della fabbrica.
Non rischierà la vita ma subirà una violenta aggressione la giovanissima Maria Luisa Torti ("Picchiata dai partigiani") che sarà picchiata e rasata dai partigiani per essersi rifiutata di baciare una lercia bandiera rossa.
Sono gli episodi più tragici di una riconquista della città che annovera molte tappe pacifiche, come quelle che Antal Mazzotti ("Scene dalla Liberazione") e il membro del Comitato di liberazione nazionale Vella Folgore ("La riconquista di Milano") descrivono minuziosamente nei rispettivi diari. Sono i rovesci inaspettati che il partigiano ed ex repubblicano Luigi Mingozzi riassume alla perfezione nella sua biografia e nel racconto delle giornate che seguono il 25 aprile ("Vendette, festeggiamenti, amori").
Tutte queste storie di gente comune rappresentano tasselli che aiutano a comprendere la Storia. E a rispondere agli interrogativi. Come quelli che è lecito porsi al cospetto della compassione che prova il piccolo Mauro Pistolesi ("Più pietà che odio") pur trovandosi di fronte ai fascisti fiancheggiatori dei nazisti, responsabili dei delitti ai quali ha assistito. Come quello di cui parla un altro testimone, Claudio Cimarosti ("A otto anni ho visto il duce a testa in giù"), nella sua memoria. Claudio ha otto anni quando il 29 aprile il padre lo conduce a piazzale Loreto per vedere i cadaveri di Mussolini, Clara Petacci e dei gerarchi. “Come hai potuto pensare di portare un bambino?”, ha chiesto al genitore anni dopo. “Mi sembrò assolutamente normale portare anche te”, la risposta. “Tutti gioivano che il fascismo avesse fatto quella fine. Che fosse finita la guerra, le lotte civili, la dittatura. E mi sembrò giusto far partecipare anche te a questa gioia”.