Grazie a un grande fiuto per gli affari l'atleta è diventata uno dei più importanti marchi del tennis. Anche quando la sua carriera sportiva sarà finita continuerà quella imprenditoriale. Ecco quali sono i suoi progetti

Maria Sharapova pensa al futuro: non solo sport ma soprattutto business e famiglia

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Maria Sharapova entra nella lobby dell'hotel indossando short giallo canarino e una maglia grigia. Ha il volto ancora arrossato da un'ora di allenamento in palestra.
"Ciao, sono Maria", dice porgendo la mano. La presentazione è gentile ma del tutto innecessaria. Sharapova è uno dei volti più riconoscibili al mondo – anche in quello del marketing. La tennista alta, bionda e sicura di sé è diventata una celebrità dalla sera al mattino quando, circa dieci anni fa, vinse il suo primo titolo a Wimbledon a soli 17 anni. Da allora ha aggiunto al suo nome altri quattro titoli del Grande slam ed è diventata una delle dieci tenniste al mondo che hanno vinto almeno una volta a Melbourne, Parigi, Wimbledon e New York, i più ambiti trofei del tennis.

All'altezza dei suoi trionfi sportivi c'è forse solo il suo successo fuori dal campo. Sharapova è stata la miglior tennista del mondo solo per certi periodi, ma è da tempo il più importante marchio sportivo. Nella vittoria e nell'insuccesso, Sharapova è rimasta al primo posto della classifica delle donne atleta più pagate del mondo ogni anno negli ultimi dieci anni. Nike, Porsche, Evian, Tag Heuer e una serie di altre grandi società pagano annualmente più di 20 milioni di dollari (dieci volte quanto ha guadagnato con il montepremi dei tornei nel 2014) in cambio della sua immagine abbinata ai loro prodotti nelle affissioni, nelle riviste e negli schermi di tutto il mondo. Inoltre, hanno accesso anche al seguito che Sharapova raccoglie sui sociali media, tra cui 1,6 milioni di fan su Twitter e quasi 15 milioni su Facebook. La tennista ha una sua personale app in rete e sta mettendo in piedi un impero che va dalle caramelle ai vestiti ed è già presente in 30 mercati. Sharapova è più di un volto familiare: è onnipresente.
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Sorride e si scusa per l'aspetto prima di sparire nella sua stanza per una doccia. Ritorna dopo dieci minuti vestita con una maglia nera, pantaloni grigi di cotone e scarpe da tennis nere. È una giornata insolitamente fredda per Madrid e Sharapova ha con sé anche uno scialle di lana che stringe sopra le spalle a ogni folata di vento che entra dalle porte dell'albergo. Ero convinto che si sarebbe presentata accompagnata da un agente o da un portavoce. Invece, oltre a due uomini d'affari ben vestiti, il bar della lobby dell'hotel è tutto nostro. Come mi dirà più tardi il suo veterano agente: "Molti tennisti hanno bisogno di qualcuno che li tenga sempre per mano. Nel nostro caso non è mai stato così… Maria è molto sicura di se stessa". Sharapova ordina un tè English Breakfast e si rilassa nella poltrona rossa a schienale alto.

È nella capitale spagnola per il Madrid Open, un torneo che per importanza si colloca subito dietro gli appuntamenti del Grande slam. L'anno scorso ha fatta sua la coppa proprio prima di vincere, di nuovo, a Parigi in una partita emozionante. A 28 anni, Sharapova sa bene che le restano solo pochi anni per aggiungere coppe alla sua lunga serie di vittorie. La sua ambizione è molto forte, come il solito, ma nelle sue motivazioni ora si è insinuata una sottile differenza: "Semmai ho avuto bisogno di provare qualcosa agli altri, credo di averlo fatto", dice. "Adesso, tutto ciò che conquisto è più per me e va ad aggiungersi alla mia personale gratitudine".

Sharapova ha, ovviamente, molti motivi per provare gratitudine. I suoi due ultimi titoli del Grande slam (entrambi a Parigi) li ha conquistati dopo essersi rotta la cuffia della spalla, un infortunio che potenzialmente avrebbe potuto mettere fine alla sua carriera e che l'ha costretta a un intervento chirurgico a fine 2008. Per nove mesi non ha potuto giocare a tennis, ha dovuto saltare due Grandi slam ed è scesa al numero 126 della classifica mondiale – la sua prima volta oltre le prime cento dal 2003. Le ci sono voluti tre anni per farcela nuovamente fino a una finale di Grande slam e quattro per vincerne finalmente una. La spalla le ha creato dei problemi in varie occasioni, più recentemente verso la fine del 2013.

"L'aspetto più difficile è stato non avere esempi di altri tennisti che avessero superato una lesione simile", ricorda. "Non ho mai potuto pensare ad altri tennisti e dire a me stessa che loro ce l'avevano fatta e che avevano recuperato la loro battuta originale". Difatti, neanche Sharapova c'è riuscita. "L'infortunio ha insinuato molti dubbi nel mio modo di giocare, che si basava sostanzialmente sulla forza e sulla profondità dei miei colpi. Il servizio, in particolare, era molto difficile perché di colpo avevo perso la velocità e il senso di come avevo giocato fino a quel momento. Dopo l'incidente alla spalla, non sarò mai più in grado di reggere un servizio come quello che avevo a 17 anni".

Sharapova ha quindi dovuto reinventare parti fondamentali del suo gioco scambiando la pura forza per un approccio più paziente e tattico. Il suo servizio ha perso la potenza che aveva all'inizio della sua carriera ma la tennista ha migliorato molto la battuta aggiungendo anche mosse nuove al suo gioco, la più nota delle quali è la palla corta. Nella maggior parte dei match, Sharapova ora tenta di occupare una posizione centrale appena davanti alla riga di fondo campo. Da qui può dettare lo svolgimento del gioco mandando la palla da una parte all'altra del campo e costringendo l'avversario a una disperata e stancante caccia finché lei non individua la possibilità di mandargli una palla fuori portata.

È uno stile che si adatta bene alle superfici lente come la terra battuta, meglio che all'erba o i campi duri. Tutti i suoi titoli Grande slam prima dell'intervento li aveva ottenuti su superfici veloci. I suoi due Grandi slam vinti dopo l'infortunio sono stati su terra battuta – a Parigi – così come il suo ultimo torneo vinto, a Roma. Appena ritornata così alla posizione numero due nella classifica della Wta, l'associazione del tennis femminile, Sharapova è subito partita per Parigi per mantenere il titolo al French Open e riprendere le fila dell'impresa ormai decennale di battere la numero uno al mondo, Serena Williams.

La costante nel gioco di Sharapova – e la sua arma più potente di gran lunga sul campo – è la testa. Non mostra mai nervosismo. Non cede mai. Spesso gioca il suo tennis migliore, quello più difficile, quello delle battute lunghe e delle pale corte proprio quando la pressione su di lei sembra al massimo. Corre dietro a palle che sa di avere poche possibilità di prendere – e che nove volte su dieci manca ma, qualche volta, riesce a rimandare dietro la rete una palla impossibile. Ciò che conta è il messaggio che manda all'avversario: sono pronta a lottare fino alla fine.

"Non c'è nessun altro che come Maria abbia una tale perseveranza e intensità, punto dopo punto e senza sosta", mi dice Chris Evert, vincitrice di numerosi Grande slam. "L'ho osservata molte volte, quando sta perdendo, quando è indietro di un set e di un break, o di un set e due break. È in quel momento che tira fuori la forza di lottare. Riprende la partita meglio di nessun altro. Questo suo lato di lottatrice mi sorprende sempre". Per giocare così, Sharapova deve misurare come impiega le forze. Partecipa a meno tornei di altri giocatori e occasionalmente salta qualche girone di quelli ufficiali – è "il tempo di Maria" come lo chiama il suo entourage. "Per essere esplosiva e avere quel tipo di energia occorrono motivazione e volontà. Per questo costruisco il calendario dei miei match in modo tale che quando considero necessario darmi una forte spinta, io sia abbastanza fresca da poterlo fare", dice.

E che fa durante "il tempo di Maria"? Sharapova appare confusa per un momento. "Mi piace lavorare", risponde. "È difficile per me stare ferma, non fare. Mi piace essere attiva". La determinazione di acciaio che contraddistingue gli atleti moderni suscita spesso la tentazione di risalire alle origini della predisposizione. Nel caso di Sharapova, la ricerca la riporta inevitabilmente all'infanzia. Nata a Nyagan, nella Siberia dell'Ovest, cominciò a giocare a tennis a quattro anni, nel 1987, dopo che i genitori si trasferirono nella cittadina di Sochi sul Mar Nero. Quando aveva sei anni, fu vista da Martina Navratilova durante un evento di tennis a Mosca. Ciò imprese una svolta decisiva alla vita della bambina, perché l'ex numero uno suggerì ai genitori di Sharapova di mandarla negli Stati Uniti perché ricevesse l'allenamento giusto. 

Sharapova arrivò negli Stati Uniti poche settimane prima del suo settimo compleanno per cominciare ad allenarsi alla Nick Bollettieri Academy in Florida. Non parlava inglese e il padre dovette accettare i lavori più strani per poterla mantenere (la madre arrivò solo due anni più tardi). "Mio padre a volte lavorava a due ore di distanza e quindi non lo vedevo per un'intera settimana o due. Dormivo in collegio con altre bambine più grandi di me", ricorda, aggiungendo che lei non era "mai parte del gruppo".

Chiunque vada a ricercare indizi psicologici nell'esperienza della bambina russa sola, senza la mamma, che si temprava in un ambiente ostile e diverso, resterà deluso. "Io stavo vivendo il mio sogno", esclama Sharapova. "Ero una ragazzina cui piaceva giocare a tennis e che lo faceva in una delle migliori accademie del mondo. Vedevo giocare Agassi, Monica Seles… Ho visto allenarsi i grandi campioni. Quando mi svegliavo al mattino non vedevo l'ora che suonasse la sveglia alle 6:30 per poter andare a prendere la mia lezione". Quella fu, insiste, una " esperienza veramente bella".

Non essere parte di un gruppo non l'ha mai preoccupata. Sharapova è nota perché nei campionati si tiene in disparte. Il gruppo che l'accompagna è ridotto al minimo. La solitudine che il tennis professionale infligge ai suoi partecipanti non sembra crearle dei problemi. La maggior parte dei tennisti passa dieci mesi all'anno in viaggio, da un hotel all'altro, da un campo all'altro. Il gioco in quanto tale è una impresa individuale quanto poche altre. Non c'è una base alla quale rientrare e non c'è un gruppo che diventi familiare. Non ci sono compagni di squadra, né tristezza o gioia condivise (eccetto forse, con i coach che stanno nel box del tennista). 

L'atleta e la sua racchetta sono da soli a difendere uno spazio grande e vulnerabile contro l'attacco che arriva dall'altra parte della rete. Oltre a brevi scambi di battute negli spogliatoi e a una stretta di mano dopo il match, il tennis richiede pochi contatti tra i giocatori. "È uno sport del quale non si preservano a lungo i ricordi, il che in un certo senso è triste", dice Sharapova. "L'anno scorso ho vinto il titolo qui, ma ricordo poco su come sia andata. Ricordo che è stata una finale difficile. Poi siamo corsi in albergo, abbiamo fatto le valigie, abbiamo preso l'aereo e due giorni dopo giocavo a Roma".

Per Sharapova, la giostra del tennis intercontinentale si fermò dopo la lesione alla spalla. "Dall'età di quattro anni, la mia carriera nel tennis fu quasi automatica. Mi svegliavo, mi allenavo, salivo su un aereo, giocavo la mia partita e tornavo a casa. Di colpo, un infortunio mi stava dando un segnale di alt. Non potevo giocare e dovetti interrompere la carriera per 6-12 mesi. Fu una sensazione strana". Per la prima volta in molti anni, Sharapova trova il tempo per pensare quanto meno a quale sarà la sua vita dopo il tennis. Preoccupata che la sua carriera professionale possa concludersi prima di quanto vorrebbe, Sharapova decide di reinventarsi come donna d'affari. Aveva già lavorato con società come Nike e Tiffany, aiutando qualche volta a disegnare i prodotti che si vendevano sotto il suo nome.

"Nei fatti, questi prodotti avevano ben poco di mio. Io invece volevo avviare qualcosa di mio, subire la pressione e avere il privilegio di possedere un marchio sul quale avere l'ultima parola", racconta. Assieme a Max Eisenbud, l'agente che la segue da molti anni, Sharapova nel 2012 sviluppo il progetto per una linea di dolciumi di fascia alta chiamati Sugarpova. Finanziata e interamente di proprietà di Sharapova, la società produce vari tipi di caramelle e gomme da masticare colorate, vendute in confezioni originali e dai sapori del nome di Flirty, Cheeky e Sporty. Poche sono le informazioni finanziarie note sulla società, ma Eisenbud mi riferisce che Sugarpova ha venduto 3,5 milioni di confezioni di caramelle nei primi due anni e ora è presente in 30 mercati. "Stiamo crescendo vertiginosamente", aggiunge Eisenbud. 

Sharapova considera l'attività dei dolciumi soltanto un inizio. Sugarpova si è già diversificata verso la vendita di accessori come magliette e gioielli. I prossimi prodotti saranno cioccolatini e mentine, mentre l'obiettivo finale potrebbe essere applicare il marchio a profumi e altri capi della moda. "La mia visione è che tutto ciò diventi un marchio di lifestyle", dice Sharapova, che ormai conosce i trucchi del mondo tradizionale del marketing alla perfezione. "Non sono linee strettamente legate ai prodotti edibili, ma per raggiungere la dimensione stile di vita, voglio costruire il marchio che parta da questi ultimi". 

Sia Sharapova sia Eisenbud vedono come loro obiettivo a lungo termine la creazione di una sorta di "Casa Sharapova", a sua volta una collezione di marchi e prodotti. Suona ambizioso, ma non è impossibile, in particolare se si considera la storia della partnership tra Sharapova e Eisenbud, una delle più durature e lucrative dello sport moderno. Eisenbud racconta di aver intuito le potenzialità di Sharapova immediatamente. Egli stesso era appena stato assunto come agente dall'Img, il gruppo di marketing sportivo, è stava facendo il giro dei campi della Bollettieri Academy quando vide una talentosa dodicenne russa che lanciava palle in un campo con sorprendente forza. "Non sapevo niente di lei, ma mi fermai. Era molto magra, quasi uno spaghetto, ma la sua concentrazione era incredibile", ricorda. "Ha mai visto i filmati di Tiger Woods che lancia palle di golf quando aveva 7 o 8 anni? Era lo stesso. Era ovvio che sarebbe diventata una star".

Chiedo a Eisenbud perché Sharapova abbia così tanto valore per il mercato pubblicitario. La questione è più delicata di quanto non appaia. Lo sport dovrebbe rappresentare la meritocrazia portata all'estremo: il migliore atleta che vince tutte le coppe dovrebbe guadagnare più di tutti gli altri. Nel tennis femminile, però, le cose non sono andate così. Serena Williams si è portata a casa 19 titoli Grande slam rispetto ai cinque di Sharapova, il doppio di coppe in generale e anche il doppio di montepremi rispetto a Sharapova. La rivista Rolling Stone ha scritto una volta che il tennis femminile "è gestito da Serena Williams come Kim Jong Un gestisce la Corea del Nord". Eppure, negli ultimi 10 anni, anno dopo anno, dal punto di vista finanziario è stata Sharapova la vincitrice.

Come mai la discrepanza? "La risposta ovvia è che Sharapova è bella, giusta per il marketing e ha vinto molto", risponde Eisenbud. "La risposta corretta, invece, è che Maria è molto intelligente, è una donna d'affari avveduta e capisce il concetto di ricavo sull'investimento. Per esempio, diversamente da altri atleti, Maria capisce bene che se Porsche o Evian stringono con lei contratti milionari, affinché questo flusso di denaro continui lei deve andare incontro ai loro obiettivi. Credo che molti atleti questo non lo capiscano: ritengono di essere grandi e che per questo qualcuno li pagherà. Quando Maria partecipa a una sessione fotografica tutto deve essere perfetto e non tralascia mai di chiedere se il cliente ha ottenuto tutto ciò che gli serviva o se vuole rifare qualche scatto. È molto speciale in questo".

Eisenbud è convinto che Sugarpova sarà lo strumento perfetto al servizio della spinta competitiva di Sharapova quando la sua carriera tennistica si concluderà, una data che è peraltro difficile da prevedere . Sharapova stessa dice "di non sapere assolutamente" quando si ritirerà, ma insiste che l'idea non la spaventa. "Quando ero infortunata, giocare a 28 anni mi sembrava inimmaginabile", precisa. "Ho avuto molte esperienze eccezionali [come tennista] e spero di averne ancora, ma, mi creda, quando finirò, sarò molto felice. Non avrò rimpianti. Ho voglia di avere tempo per la famiglia. Vorrei avere dei figli".

Negli ultimi due anni, Sharapova è stata compagna di Grigor Dimitrov, il tennista bulgaro ventitreenne – i due sono la coppia glamour dell'ambiente è uno dei target preferiti dei paparazzi tra Roma e Los Angeles. Dimitrov, ora 11º nella classifica, è visto come uno dei principali talenti del campionato, anche se deve ancora vincere il suo primo titolo Grande slam. "È una buona cosa avere vicino qualcuno che veramente capisce e rispetta ciò che faccio e che conosce il mestiere", dice Sharapova quando le chiedo della sua relazione. "Nella carriera di un atleta ci sono innumerevoli piccole varianti che non sempre è facile spiegare al mondo esterno. È quindi bello avere attorno delle persone che ne sono consapevoli e le conoscono". 

Se Sharapova quest'anno non dovesse vincere a Parigi – o altrove – non sarà per mancanza di volontà o di disponibilità a lottare, ma perché la carriera professionale di Sharapova si è sovrapposta a quella di colei che probabilmente è la più grande tennista donna di tutti i tempi, la sua eterna rivale, Serena Williams. Sharapova battete Williams con tranquillità in quella speciale finale di Wimbledon nel 2004. Facendosi largo tra i giornalisti nel dopo match, l'adolescente Sharapova si girò verso Williams e disse: "So che ci saranno molte altre opportunità nelle quali c'incontreremo e lotteremo per una coppa. Grazie per avermi fornito questa partita difficile, ma mi dispiace, oggi dovevo vincere io". 

A ragion veduta stava tentando la sorte. Dal 2004, le due tenniste si sono confrontate in 16 occasioni e Williams ha vinto ogni volta, di solito all'interno dei set. Il duello che si protrae da dieci anni è stato così squilibrato verso la Williams che certi fan non le considerano vere rivali. Ciononostante, Chris Evert, che nella sua leggendaria carriera ha attraversato fasi simili rispetto a Martina Navratilova, non è d'accordo. "Per molte persone questa sarebbe una falsa rivalità", dice Evert, "ma non è così, perché rivalità vuol dire versioni del gioco opposte. In questo caso i contrasti sono tanti, dal temperamento all'aspetto, allo stile di gioco. Tutti nel mondo del tennis ci chiediamo sempre, quando le guardiamo giocare, se quella sarà la volta buona che Maria Sharapova batte Serena Williams". 

L'ultimo match importante tra le due è stato all'Australian Open a gennaio. Ha vinto Williams – nuovamente, ma la partita (6-3, 7-6) è stata molto più serrata delle altre recenti. In particolare il secondo set si è trasformato in una lotta fiera, scatenata ed esaltante. Sharapova alla fine è stata sconfitta dalla potenza e dalla precisione del servizio della Williams, il meglio che il tennis femminile abbia mai visto. Williams ha servito nel match 18 ace, 15 dei quali nel cruciale set finale. Anche così, e nonostante la dura sconfitta, Sharapova ne ha ricavato l'idea che, dopotutto, può battere la grande rivale. "Nella storia dei miei match contro Serena, il punto è che ci sono state delle occasioni fattibili. Ci sono state anche delle partite nelle quali mi sono creata delle opportunità, delle piccole aperture che poi non ho potuto sfruttare. Anche Melbourne è stata una di quelle occasioni".

"Quando si gioca contro la numero uno, diverse cose devono allinearsi a proprio favore: non si possono fare errori involontari, non si possono regalare punti facili e non si può darle fiducia considerando anche che non si può giocare al massimo del proprio livello tutto il tempo. È importante invece approfittare dei momenti in cui la palla arriva un po' corta o quando si hanno delle opportunità nel suo secondo servizio".
Pensa che un giorno batterà Williams? Non esita un secondo a rispondere: "Assolutamente".

Copyright Financial Times / l'Espresso
Traduzione di Guiomar Parada


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