Centodieci candidati ammazzati. Il Paese vota stretto tra The Donald e la violenza dei narcos . E il risultato del voto nella seconda economia dell’America latina influenzarà gli equilibri dell’intero continente
I centododici morti ammazzati tra i candidati al Congresso federale e alle municipali durante 4 mesi di campagna elettorale mostrano il pessimo stato di salute in cui versa la democrazia messicana. Il Messico va oggi alle urne, per scegliere il nuovo capo dello Stato e rinnovare le Camere, segnato dalla campagna elettorale più intrisa di sangue e di minacce esterne della propria storia contemporanea. Mai prima d’ora la criminalità organizzata, gestita dai narcos attraverso i propri infiltrati nel tessuto politico ed economico, aveva fatto un’irruzione a mano armata così violenta contro i protagonisti delle consultazioni e mai prima d’ora il presidente dei confinanti Stati Uniti - la nazione più potente del pianeta - aveva osato “giocare” in modo così cinico sulla pelle dei deboli vicini.
The Donald non ha rinunciato al progetto di erigere un gigantesco muro di separazione, a spese però unicamente dei messicani, dopo aver minato il futuro dell’enorme commercio transfrontaliero con l’imposizione di dazi sull’acciaio e alluminio. Ma il Messico finora ha potuto fare ben poco contro il prepotente vicino con cui (assieme al Canada) nel 1994 aveva siglato il Nafta, l’accordo di libero scambio nordamericano, che coinvolge un Pil da oltre 20 mila miliardi di dollari. Prova ne è che il peso messicano è arrivato a perdere l’1,7 per cento contro il dollaro non appena il presidente uscente Enrique P eña Nieto ha reagito annunciando contromisure analoghe, ovvero le tariffe doganali sull’alluminio e una serie di prodotti agricoli provenienti dagli Usa. Il Messico ha attualmente in vigore oltre 40 trattati di libero scambio. Le esportazioni messicane negli Usa nel 2016, prima della vittoria di Trump oltre frontiera, hanno raggiunto i 300 miliardi.
Per tentare di fronteggiare la corruzione massiva e il terrore disseminato dai cartelli del narcotraffico, che mirano ad aumentare il più possibile il numero dei propri uomini nelle istituzioni, e per mostrare a Trump che il Messico non è il suo zerbino, l’elettorato, dopo molti anni, sembra fortemente intenzionato a consegnare la maggioranza dei seggi al Congresso e al Senato a Morena, un partito di sinistra con molte venature populiste. Se i sondaggi si trasformeranno in voti, è certo che il Movimento della rigenerazione nazionale (Morena) guiderà anche 6 Stati (sui 9 che devono essere rinnovati) e la Federazione nel suo complesso consegnando la presidenza al suo fondatore, Andrés Manuel López Obrador, noto con l’acronimo Amlo.
L’ex esponente del Prd (Partito socialdemocratico messicano) gode di un vantaggio apparentemente insormontabile sui rivali conservatori del Partito Rivoluzionario Istituzionale (Pri) dell’attuale presidente Peña Nieto, e del Partito d’azione nazionale (Pan) dell’ex presidente Felipe Calderón (2006-2012). Durante questa campagna elettorale, Amlo ha lavorato per costruire una coalizione più ampia possibile accogliendo due partiti con istanze molto diverse: il partito del lavoro e quello degli evangelici chiamato Incontro Sociale. Dopo essersi visto soffiare le presidenziali del 2006 per mezzo punto percentuale, molto probabilmente a causa di brogli, e quelle del 2012 per non aver voluto fare alleanze, il sessantaquatrenne Obrador è ora disposto a giocarsi il tutto per tutto, anche a costo di essere accusato di populismo, opportunismo o incoerenza. Del resto l’ex sindaco di Città del Messico è sia un fervente socialista sia un credente praticante. L’unico vero problema per lui è l’ostilità manifesta dei poteri forti e dei più ricchi imprenditori del Paese, a partire da Carlos Slim, che ha accumulato un patrimonio netto di oltre 59 miliardi di dollari dopo l’acquisto di Telmex, ottenendo così il monopolio delle telecomunicazioni messicane.
Il partito dei ricchi Secondo la stampa indipendente i capitani d’industria stanno facendo pressione sui dipendenti per influenzare il loro voto, promettendo tra l’altro benefit e agevolazioni di varia natura. Amlo è sempre stato una figura polarizzante: una parte della società lo considera un difensore duro e puro dei diritti dei più poveri, l’unico sopravvissuto della sinistra, un uomo impermeabile alla corruzione anche in virtù di una incrollabile fede in Cristo, un politico con il potenziale di ripulire il paese e di abbattere il divario sociale in costante crescita; per l’altra parte invece è un obsoleto incantatore di diseredati che riporterà il Messico all’agenda politica degli anni ’70, distruggendo i deboli guadagni che il Messico ha raggiunto nell’ultimo decennio del ’900.
Denise Dresser, una delle massime esperte di politica messicana, ha spiegato che «come analista è diventato piuttosto difficile giudicare Amlo perché presenta due diverse versioni di se stesso». In questo frangente di profonda incertezza sull’accordo di libero scambio nordamericano, Obrador aggiunge quindi un’altra variabile nella complessa e complicata dinamica delle relazioni Usa-Messico. Jesse Wheeler, un analista messicano presso Bmi Research conferma che il voto sarà caratterizzato dall’avversione degli elettori per lo status quo. «La violenza è aumentata e la percezione della corruzione e dell’impunità criminale ha portato a una sfiducia generalizzata nei confronti di partiti e politici consolidati.
Questa insoddisfazione ha favorito Amlo che beneficia di credenziali anti-corruzione più solide, del suo status di outsider relativo e di una piattaforma in politica economica non ortodossa». Solo un cataclisma sembra dunque in grado di ribaltare i pronostici. L’alleanza formatasi per l’occasione tra i partiti rivali Pri-Pan, e l’ipotetico appoggio di parte dei socialdemocratici a quest’ultimo non sembra infatti in grado di mettere in seria difficoltà Obrador e il suo Morena creato dopo la seconda sconfitta del 2012. Gli elettori del Pri invece potrebbero essere riluttanti nel sostenere il candidato alla presidenza del partito alleato, il giovane ma già in odore di corruzione Ricardo Anaya. L’obiettivo più pretenzioso di Amlo è quello di sradicare la corruzione, ma anche il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare da perseguire attraverso programmi nazionali volti a incrementare l’agricoltura e a calmierare il costo dei prodotti agricoli stabilizzandolo. Sebbene queste tattiche siano utilizzate in molti paesi, violerebbero le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e quindi potrebbero essere messe in discussione dai partner commerciali attraverso l’organismo di risoluzione delle controversie dell’organizzazione. Obrador potrebbe essere disposto a correre questo rischio introducendo queste misure dopo la seconda metà della legislatura. L’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto vede il candidato della sinistra populista al 51 per cento, cioè 21 punti in più di Ricardo Anaya e 33 in più di José Antonio Meade del Pri. Anche la ricerca finanziata dalla Confindustria messicana mostra che la presidenza andrà ad Amlo e la maggioranza al Congresso e al Senato alla sua coalizione con almeno il 40 per cento dei voti. Morena vincerà inoltre sicuramente nei governatorati del Chiapas, Città del Messico, Morelos e Tabasco. Nel settimo punto del suo programma, Obrador sottolinea il fallimento dell’economia neoliberale in Messico al guinzaglio degli organismi finanziari internazionali, e propone la creazione di un nuovo modello economico allo scopo di recuperare la sovranità perduta del paese.
È certo che il risultato di queste consultazioni influenzerà tutto l’intero emisfero americano perché il Messico è la seconda economia dell’America latina, nonché membro del G20, e dal 2012 è il punto di riferimento dell’“Alianza del Pacífico” - stipulata con Cile, Colombia e Perù - che ha creato la più grande area di libero scambio dell’America latina, facendo crescere queste nazioni più velocemente rispetto ai loro vicini nella regione. «Rispetto alle ultime due elezioni, soprattutto i giovani sono determinati ad andare a votare. Si percepisce un entusiasmo tra la gente che mancava da decenni. Tutto questo grazie alla figura di Obrador. Nonostante possa sembrare contraddittorio a causa degli alleati scelti, i giovani voteranno compatti per lui», dice a L’Espresso il giornalista d’inchiesta e scrittore Temoris Grecko. Qualora Morena dovesse confermarsi il primo partito e il suo leader venisse nominato Capo dello Stato assisteremo per la prima volta anche in Messico all’insediamento di un tipico movimento sovranista latino americano.
Un triplo salto carpiato, rispetto alla politica multilaterale che aveva caratterizzato il Paese negli ultimi decenni, benedetto dagli evangelici in crescita in tutta l’America latina.