Non esiste un vero centro di coordinamento soccorsi libico. Lo si scopre tra gli omissis della documentazione del progetto finanziato da Bruxelles per la "Sar zone" libica messo sotto segreto. Chi è allora a coordinare le azioni delle motovedette?

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Seimila persone in appena otto mesi. Donne, bambini, uomini con i segni dei viaggi nel deserto e delle torture. Sono le persone fuggite dai centri di detenzione libiche e che a quell’inferno sono state restituite dalla Guardia costiera libica. «Salvati». dice Tripoli. «Contenuti», ha spiegato il primo ministro Giuseppe Conte. Riportati in un porto non sicuro per la loro incolumità, nei fatti.

La Guardia costiera di Tripoli è una creatura tutta italiana. Le motovedette che hanno recuperato in mare i migranti naufraghi sono state donate da Roma, la formazione del personale avviene all’interno delle nostre basi navali. E, da più di un anno, il centro di coordinamento dei salvataggi Mrcc delle Capitanerie di porto affida tutte le operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale agli ufficiali di al-Sarraj. Dove prima operava Mare Nostrum, oggi agiscono le motovedette libiche. Un cambio di strategia avvenuto grazie ad un’azione finanziata nel 2017 dalla Commissione europea e affidata al comando generale delle Capitanerie di porto italiane.

Per operare nella «ricerca e salvataggio» dei migranti, la Guardia costiera di Tripoli aveva bisogno di un riconoscimento internazionale, ovvero della dichiarazione di una propria zona Sar, le coordinate che delimitano l’area di competenza per il soccorso. Fino al giugno 2018 non esisteva e, dunque, il coordinamento dei salvataggi non poteva essere gestito da Tripoli. Il progetto europeo affidato all’Italia aveva l’obiettivo di far dichiarare ai libici la propria area «search and rescue».

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Era il passaggio necessario per quell’opera di «contenimento» citata da Giuseppe Conte: fermare i migranti nel golfo della Sirte, impedire i salvataggi da parte di navi europee, che avrebbero avuto l’obbligo di portare i naufraghi in un porto sicuro. Di certo non in Libia.

La struttura della Guardia costiera di Tripoli appare, però, come una sorta di finzione. Mezzi e intelligence italiani («ringrazio i nostri apparati», ha detto Conte), supporto del nostro governo, con una linea di comando opaca. La documentazione del progetto finanziato da Bruxelles per la Sar zone libica è stata messa sotto segreto.
Prima dall’Italia, che ha bollato come “classificato” il rapporto sulla capacità di effettuare salvataggi da parte dei libici. Poi dalla stessa Commissione europea, che ad una richiesta di accesso agli atti ha risposto con un dossier in buona parte coperto da omissis.

Tra le righe oscurate appare però un dettaglio chiave: non è mai esistito un vero centro di coordinamento dei soccorsi libico. Una struttura fantasma. Nella lettera di conclusione del progetto del 16 aprile scorso, inviata dalla Commissione europea al comando generale delle Capitanerie di porto italiano, si parla appena di «futura installazione del centro libico di coordinamento dei salvataggi marittimi». Un centro che oggi non c’è.

Chi coordina, dunque, sul campo le azioni delle motovedette? Chi è al comando delle azioni di «contenimento» dei migranti operate dagli ufficiali di al-Sarraj? È il segreto tenuto sotto chiave, tra Bruxelles e Roma.