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Il cardinale è davanti a un bivio: mantenere l’atteggiamento seguito fin qui o collaborare con i promotori di giustizia per ricostruire la selva di rapporti, investimenti e speculazioni. La rinuncia ai diritti del porporato fa infatti decadere ogni possibile immunità prevista dal diritto canonico e rende Becciu vulnerabile da un punto di vista giudiziario. C’è irritazione negli ambienti investigativi, si sarebbero attesi già da giorni un riscontro da parte del cardinale. Becciu invece ha cambiato strategia difensiva e avvocato (ora è assistito da Fabio Viglione): la strategia verte sul silenzio, mentre fa parlare altri, ex soci nella gestione delle casse del Vaticano come il finanziere Enrico Crasso che con il Fondo Centurion ha amministrato i tesori della Segreteria di Stato dividendoli in fondi investimento offshore e obbligazioni di società con sede in paradisi fiscali.
Da nuove carte riservate che abbiamo potuto visionare in esclusiva e che raccontano i rendiconti e i rendimenti del patrimonio della Segreteria di Stato, la maggior parte dei fondi movimentati sono stati investiti per i prossimi anni in paradisi fiscali come le Cayman, Malta e Russia. Sono rotte consuete per gli investimenti di un certo tipo di finanza speculativa, ma che al Vaticano hanno procurato non solo una caduta di credibilità, ma anche perdite economiche.
Nel 2018 infatti Centurion, fondo che ammonta a circa 70 milioni di euro di cui due terzi del Vaticano, ha perso il 5% del suo valore, ma ha guadagnato circa due milioni di euro per le commissioni di gestione. Centurion aveva un’altra scatola di gestione, la società Gamma Capital, con cui condivide gli uffici a Malta, ed è il gestore del denaro in disposizione del fondo. Centurion è presieduto da Enzo Filippini, già gestore della Banca svizzera Bsi, che fu sciolta dalle autorità svizzere nel 2016 per i reati di omessa vigilanza bancaria, riciclaggio, mancanza di adesione alle regole anticorruzione previste dalla legislazione svizzera.
Filippini si adoperò in quanto tenutario della Bsi a far avere un prestito a condizioni fuori mercato e particolarmente svantaggiose proprio alla segreteria di Stato per la ristrutturazione di un complesso immobiliare a Londra, che diventerà teatro delle speculazioni successive. La ricostruzione dei flussi di investimento sulle carte della Segreteria di Stato ci racconta che la Gamma Capital ha depositato tutti i fondi del Fondo Centurion in una piccola banca svizzera, la Banca Zarattini e nella Sparkasse Bank di Malta. Due istituti accomunati dall’essere al centro di indagini degli inquirenti statunitensi per le tangenti che hanno coinvolto funzionari governativi venezuelani e i vertici della Petróleos de Venezuela. Le mazzette per Abraham Ortega, ex direttore della società petrolifera statale sarebbero proprio passate da un conto bancario della Banca Zarattini di Lugano dove sono depositati i soldi del Segreteria di Stato tramite il Fondo Centurion.
Gli inquirenti svizzeri stanno approfondendo il coinvolgimento proprio del fondo guidato da Crasso che avrebbe, con un espediente fiscale, assieme a Gamma Capital, fornito liquidità per oliare il meccanismo di tangenti in Venezuela, fondi quindi di natura vaticana.
Il petrolio è un investimento che torna nella gestione Becciu della Segreteria di Stato. Saltato nel 2013 l’affare con l’angolana Falcon Oil, Crasso e il cardinale decidono di investire in obbligazioni nella Tullow Oil, una compagnia petrolifera irlandese, accusata proprio nel 2013 di aver dato tangenti a funzionari del governo del Regno Unito e politici tra cui William Hauge, ex leader della Camera dei Comuni ed esponente di spicco del Partito Conservatore, e di aver successivamente causato un disastro ambientale nel villaggio ugandese di Kakindo, versando liquami tossici e scarti di lavorazione petrolifera nelle falde acquifere. Gli investimenti petroliferi portano anche in Australia, dove la Segreteria ha investito nella Glencore Australia Holdings, società accusata dalle autorità locali di aver trasferito 30 miliardi di dollari fuori dalla rete fiscale australiana dopo averne dichiarato 16 di svalutazione. Un altro investimento poco in linea con gli standard etici imposti da Papa Francesco: un investimento che, così come tutti gli altri, è stato rendicontato da Enrico Crasso al cardinal Becciu e agli uomini del suo staff. Questi nel corso degli anni hanno sempre approvato gli investimenti, incuranti delle segnalazioni dei fondi di controllo anticorruzione internazionali e degli alert interbancari.
Insieme agli investigatori italiani e vaticani, in queste ore si sarebbe mossa anche la Finma, l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari svizzeri, che avrebbe acquisito documentazione relativa ai movimenti bancari e speculativi in merito ai fondi gestiti da Enrico Crasso e da Valeur Group. Un atto formale che non configura l’immediata certificazione di un illecito, ma che aiuterà gli inquirenti ad accorciare i tempi di verifica rispetto ai giri di consulenze e investimenti che sono stati effettuati in questi ultimi anni. E che anticipa, come avevamo scritto nelle precedenti puntate dell’inchiesta, il passaggio di documenti importanti tra la Svizzera e gli inquirenti vaticani.
Non c’è solamente il mondo della finanza ad essere nel mirino in queste ore. Gli inquirenti vogliono vedere chiaro anche sul motivo degli investimenti effettuati, passando per la cassa della Segreteria di Stato, in obbligazioni della Cooperativa Osa, attiva nel settore sanitario. La Osa aveva chiesto l’acquisto del suo debito anche a Gianluca Torzi, broker molisano arrestato e poi rilasciato dalla gendarmeria. L’affare non era andato in porto, perché a Giuseppe Milanese, presidente della cooperativa, venne sconsigliato di avere rapporti con Torzi, vista la poca chiarezza che lo circondava per l’operazione del palazzo di Sloane Avenue a Londra. L’investimento operato dalla Segreteria di Stato nella cooperativa sembra essere frutto del rapporto tra Fabrizio Tirabassi, membro dello staff di Becciu, e Milanese. Un capitolo, questo della coooperativa sanitaria, che sarà aperto dagli inquirenti in un secondo momento, ma ricollega a un’altra vicenda che vede il dimissionario Becciu protagonista, quella del Bambin Gesù. Per il momento i bilanci e le carte processuali sono stati secretati per evitare il default dell’ospedale.
E la lista delle accuse all’ex cardinale potrebbe allungarsi ancora. La scorsa settimana, dopo le rivelazioni di Monsignor Alberto Perlasca, collaboratore di Becciu, e dopo la nostra inchiesta, ha preso forma anche la richiesta di un’indagine internazionale sulla vicenda che ha portato alle accuse prima e al processo poi del cardinale australiano George Pell, già Segretario per l’economia, tornato a Roma da dieci giorni.
Papa Francesco qualche giorno fa ha incontrato il nunzio apostolico dell’Australia, Adolfo Tito Yllana, al quale ha richiesto la massima collaborazione della Chiesa locale per comprendere le dinamiche che avrebbero portato a un complotto nei confronti di Pell. L’attenzione del Papa si è infatti concentrata con Ylana sulle mosse degli ordini cavallereschi e religiosi intorno a questa vicenda. Poi ha chiesto un confronto con la comunità di Ballarat, che avrebbe avanzato fin dall’inizio dubbi sulle accuse di pedofilia avanzate nei confronti di Pell.
Il dossier australiano preoccupa parecchio la Santa Sede. Da un lato deve tenere una linea di fermezza nell’opera di pulizia contro i pedofili, ed evitare che un’eventuale conferma del complotto ordito ai danni di Pell possa vanificare il lavoro fatto dal Pontefice per restituire trasparenza su questo aspetto. Dall’altro deve comprendere il meccanismo parallelo che Becciu i suoi uomini avrebbero usato per costruire il dossier e le accuse contro il cardinale australiano. Un metodo, per di più, che avrebbe potuto allungare le proprie spire anche sul prossimo Conclave, una deriva da disinnescare e da comprendere fino in fondo.
Papa Francesco negli ultimi giorni è tornato anche a chiedere chiarezza sugli affari di famiglia del cardinale. Ci sono le storie già note: la vicenda degli infissi rifatti dal fratello Francesco, quella della Birra Pollicina del fratello Mario e della cooperativa Spes del fratello Tonino, attività finanziate con soldi della Cei e dell’Obolo di San Pietro. Ma c’e un nuvo prodotto realizzato dalla filiera di famiglia Becciu: si tratta dell’olio “Donum Dei” prodotto dalla Sabina Trading Srl, una società fondata dalla moglie di Mario Becciu, la professoressa Anna Rita Colasanti, che ne detiene il 30%, una società a composizione familiare e di medici e docenti, con un bilancio robusto. Al momento non vi è alcun addebito, ma l’innegabile verve imprenditoriale del parentado Becciu continua a tenere sveglia l’attenzione degli investigatori.