Una maionese impazzita. È il centro del centro-sinistra o se si preferisce l’area politica frastagliata e litigiosa «a destra del Pd». Quale ingrediente è presente in misura eccessiva nella cucina “riformista” rovinando l’impasto? Renzi o Sala? Da Schlein, la scorsa estate, era stato visto di buon grado l’arrivo del leader Iv. Un aiuto al bipolarismo, un affossamento del terzopolismo dopo che le liste centriste, divise in tre, erano già naufragate alle Europee. E, soprattutto, un punto a favore del campo largo. Peccato che, dal punto di vista di Renzi, ci sia di mezzo anche e soprattutto il sindaco di Milano come possibile leader di una federazione centrista e contestualmente – è l’auspicio del Pd – un doppio passo indietro, quello dello stesso ex rottamatore e quello di Calenda. Ma ecco che alla fine Renzi, forse anche sospettando che Calenda potesse mettersi d’accordo con il sindaco di Milano a sue spese, ha reagito senza tanta diploma zia, in un’intervista al quotidiano cattolico Avvenire. «Leggo spesso dichiarazioni di dirigenti del Pd che spiegano a chi sta fuori dal Pd che cosa dovremmo fare noi. Suggerirei sommessamente a questi statisti in erba di preoccuparsi del proprio partito, non degli altri. Se poi Beppe Sala vuol dare una mano al centro riformista – superando le precedenti sbandate per i Verdi o per Di Maio – è il benvenuto. Credo che il modo più concreto che ha per aiutare sia tenere Milano più sicura di come è oggi». Parole pungenti verso il Pd e nei confronti di Sala, che ha risposto definendo «infederabile» Renzi, ma che è stato indebolito dalla notizia di contatti in corso con Calenda. E nello stesso giorno in cui il quotidiano della Cei pubblicava l’intervista dell’ex premier, 3 novembre, sulla prima pagina del Corriere della sera il politologo Angelo Panebianco avvertiva: «Davvero serve al Pd, prima di tutto, avere alleato un partitino di centro alla propria destra? Non è più questo il tempo degli indipendenti di sinistra».
Un centro eterodiretto dal Pd e quindi poco credibile come forza autonoma che possa rivolgersi all’elettorato moderato? «Nella cultura politica di chi proviene dal Pci – osserva Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva – c’è sempre stato il tentativo dell’ orientamento, secondo il gergo di allora. È un approccio sbagliato, perché è del tutto evidente che il leader o il federatore del centro riformista sarà scelto dal centro riformista. Non è proponibile un’operazione calata dall’alto da qualche presunto stratega».
Il problema di Sala – dal punto di vista dei renziani – è rappresentato dal fatto che la sua “discesa in campo” sia caldeggiata dal Nazareno, così come in precedenza era stata ipotizzata la candidatura di Giorgio Gori, con il limite ancora più rilevante della sua appartenza al Pd, partito di cui è attualmente europarlamentare, mentre il sindaco di Milano resta senza tessera. L’alleanza fra i partiti di Schlein, Conte e Bonelli-Fratoianni «non è in grado neppure di entrare in partita con il centro-destra, soprattutto in questa fase politica», osserva Benedetto Della Vedova. L’esponente di + Europa, terza componente dell’area centrista, guarda a «una coalizione nella quale i liberali e i riformisti svolgano un ruolo incisivo, conquistando una consistenza elettorale che ora non c’è«. In termini di alleanza, «devono avere come riferimento il Pd ma organizzandosi autonomamente, senza che si pensi a una sorta di delega da parte del partito di Elly Schlein».
Ma nessuna delle tre forze centriste in campo ha fretta di affidarsi a chi dovrebbe realizzare il patto federativo o l’unificazione. Cautela del diretto interessato: «Non mi sono mai proposto», è stata, infatti, la risposta di Sala a Renzi nella polemica delle scorse settimane, anche con l’argomento che le elezioni politiche, a scadenza naturale, sono ancora lontane. In più la sua battuta su «Renzi infederabile» suona come l’ammissione di quanto sia complicata l’ipotesi del rassemblement. Perciò, si va avanti in ordine sparso e il leader di Iv spariglia sempre più, soprattutto per evitare che, a sinistra, sia dominante l’alleanza fra Pd e Cinque Stelle. Davanti all’ipotesi che per le Regionali della Campania il campo largo esprima la candidatura dell’ex presidente della Camera Roberto Fico, ecco l’endorsement a favore di un terzo mandato di Vincenzo De Luca, definito «alfiere del riformismo». Una provocazione verso la leader del Pd.
Già il “capitolo Liguria” aveva visto un brusco smarcamento di Italia Viva dal campo largo in risposta al veto posto da Conte. Risultato? Per il centro-sinistra, «un gol a porta vuota, che potrebbe essere solo l’inizio», avverte Paita riaprendo la polemica con i Cinque Stelle. Più che a un patto federativo sotto la guida di un “Papa straniero” (rispetto ai tre partiti), i renziani sono, infatti, interessati ad accentuare le contraddizioni dei rapporti Pd-Cinque Stelle, dopo aver contribuito all’uscita di Conte da Palazzo Chigi. Quanto a Calenda, vanno registrate unicamente la polemica contro Stellantis e la raccolta di firme a favore del Nucleare.
Corsa solitaria di tutti. Compreso Sala, che intanto avrebbe preferito essere eletto presidente dell’Anci dal Congresso del 20 novembre. Invece si preannuncia una incoronazione del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, soprattutto per il veto della Lega nei confronti del primo cittadino di Milano. Ed essendo già al secondo mandato, Sala non potrà neppure correre per sindaco di Milano nel 2026: la politica, al momento, gli offre esclusivamente la chance del federatore centrista. «Però deve essere chiaro che nessuno stende tappeti rossi e non ci sono leadership predestinate», ricorda Alessandro Alfieri, esponente dell’ala riformista del Pd. «Lo spazio politico c’è, occorre vedere chi riesce a conquistarlo. Chi intende costituire una nuova Margherita deve sapere che dovrà condurre una battaglia politica senza sconti o automatismi». La Margherita saldò esperienze politiche diverse. Italia Viva, Azione e + Europa, invece, guardano allo stesso elettorato. E intanto, fra attese e rinvii, i voti centristi vanno a destra.