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novembre, 2024

Una sciamana in laguna

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L’elettronica. La voglia di sperimentare. Lo sguardo internazionale. La neodirettrice di Biennale Musica si racconta: “La musica è un viaggio nel tempo. Contemporanea è quella che parla di noi”

Dire “musica elettronica” non basta. La musica che Caterina Barbieri compone ed esegue col suo sintetizzatore modulare ha una personalità spiccata ed è generosa: chiede solo ciò che può restituire. Esige attenzione e disponibilità ad aprirsi interiormente. Contraccambia con suggerimenti sonori ipnotici che possono portare lontano. Nella musica di Caterina Barbieri ci sono molte idee e suggestioni impalpabili. Ne parliamo con lei che, a 34 anni, assume un incarico di responsabilità pubblica: è stata appena nominata Direttrice artistica del Settore Musica della Biennale di Venezia per il biennio 2025-2026.

 

Caterina Barbieri, il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco ha scritto, commentando la sua nomina, che lei avrà modo di costruire a Venezia «un festival in grado di interessare nuovi e più ampi pubblici». Si riconosce in questa missione?
«Sì, spero di riuscirci. Il lavoro della precedente direttrice Lucia Ronchetti ha raggiunto ottimi risultati e ovviamente speriamo di realizzare un’edizione ancora più popolata. Vorrei andare oltre l’idea per cui c’è la musica da giovani e quella per vecchi. La musica parla a tutti».

 


Quali sono le idee che sta maturando per le edizioni della Bien- nale Musica che dirigerà?
«Stiamo ancora elaborando le tematiche, ma sicuramente mi ispirerò a Venezia, alla dimensione mutevole dell’acqua: trovo che la musica abbia la capacità di trasformare attraverso l’ascolto. Il mio festival celebrerà anche l’arte dell’ascolto profondo della musica, che ci mette in contatto con una dimensione spirituale dell’esistenza. Sarà un festival che celebra questa visione, che forse si è persa nella modernità, che favorisce invece un uso consumistico della musica».

 


Lei è un’artista di culto: ha un pubblico di settore, ma fedelissimo. Sente di aver raggiunto un limite e vuole spostarlo in là? «Io mi sento in continuo viaggio tramite la musica. Sono molto affezionata alla figura del pellegrino, ho questa idea di viaggio supportato dalla fede. Questa opportunità offertami dalla Biennale è una nuova fase della mia vita».

 


Lei usa riferimenti che sembrano religiosi: la spiritualità, la fede...
«Quando parlo di spiritualità non parlo di religione, ma di contatto con la dimensione profonda e misteriosa che permea il vivente e il cosmo. Quando parlo di fede non mi riferisco a una religione particolare: la mia religione è la musica».

 


Allora si sente una sciamana del suono?
«Sì, trovo che questa espressione sia risonante con me».

 


È italiana, ma risiede a Berlino, quando non è in giro per il mondo a fare concerti. In questo momento, per esempio,mi sta parlando dall’Asia. Si sente un cervello in fuga?
«Ho studiato a Bologna, poi a Stoccolma, ho cominciato la carriera a Berlino. Non mi sento un cervello in fuga, coltivo con grande vitalità la connessione con il mio Paese, mi sento molto seguita in Italia e questo ruolo alla Biennale ha un grande significato».

 

Di quali culture si sente figlia?
«Mi sento in contatto con tutte le culture. Nel mio lavoro c’è una fortissima idea di internazionalità e poi le nuove generazioni, cresciute con il digitale, hanno una concezione più fluida di questo concetto. Nella mia programmazione questo emergerà». 

 


Secondo lei la musica elettronica esprime le idee contemporanee in maniera più efficace rispetto alla Classica o al Pop? «Non lo penso. Credo che la musica quando è bella è sempre contemporanea, perché anche se viene da un’altra epoca ci riporta nel presente. Quando ascoltiamo per esempio una Sarabanda per liuto di Bach, l’emozione che ci fa provare è la nostra emozione. Oppure quando ascoltiamo “Lachrimae pavan”, un pezzo che amo di John Dowland, compositore inglese del Seicento, proviamo una malinconia che è anche nostra. La musica ci fa viaggiare nel tempo e nello spazio».

 


La musica elettronica, secondo lei, è progressista?
«Forse sì. La musica elettronica è un portale sul futuro. Le macchine dell’elettronica trasmettono un’idea futuristica di espandere le percezioni attraverso il rapporto con la tecnologia. Questo ci fa immaginare mondi futuri o impossibili scardinando ciò a cui siamo abituati».

 


Non dimentichiamo che l’elettronica è presente nella musica popolare da decenni: dai Moog di Emerson, Lake & Palmer, al Prog, al Pop degli anni ’80, di cui l’elettronica si era impadronito...«Anch’io ho usato quei sintetizzatori analogici che lei ha citato, il loro linguaggio è in continua evoluzione. L’integrazione dell’elettronica nel Pop ha vivacizzato molte produzioni. Penso anche a Battiato, per citare un esempio conosciuto».

 


Cosa pensa dell’intelligenza artificiale applicata alla musica?
«Se ne parla tanto. Ci sono artisti che la integrano nel proprio processo creativo, ma non ho ancora visto risultati particolarmente interessanti. Sono un po’ critica, soprattutto nei riguardi di chi applica l’I.A. per facilitare o velocizzare ll processo compositivo. Bisogna fare attenzione a non perdere la magia che sta nello sviluppo delle idee che hanno bisogno di lentezza e tempo».

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