Caraibi
Cuba, l'isola nelle tenebre è allo stremo
Il blackout energetico che ha spento l’isola di Fidel giovedì 17 ottobre continua ancora adesso. Non era mai accaduto in 62 anni. il Paese dipende esclusivamente dal petrolio e nessuno è più disposto a inviarlo
“La situazione è disperata. Non c’è da mangiare. Quel poco che abbiamo comprato, a fatica, facendo file di ore, nei pochissimi negozi ancora aperti, con gli euro o i dollari che ci arrivano dall’estero, si è guastato. Non c’è elettricità. Da una settimana. E senza elettricità non funzionano i frigoriferi, il cibo si guasta, diventa putrido. Un disastro”. La voce di Juan Carlos arriva a tratti. Il tono è depresso, rassegnato. Perché l’emergenza, adesso, è la fame. Il nostro contatto a L’Avana è riuscito a caricare la batteria del cellulare dopo aver girato tutta la mattina per la città. Ha poche ore di autonomia. Poi tornerà il silenzio. Come quello che ci racconta. Perché Cuba è diventata un’isola spettrale. Da sette giorni è al buio. Un buco nero in mezzo ai Caraibi. Niente luce, niente internet, niente tv e radio. Niente benzina, niente auto e bus. Niente turisti. Persino l’acqua potabile ha finito di sgorgare. Le pompe sono elettriche.
Il blackout energetico che ha spento l’isola di Fidel giovedì 17 ottobre continua ancora adesso. L’apagón ha colpito tutti. Alberghi e ospedali, ministeri e uffici pubblici. Anche le scuole sono state chiuse e non si sa quando riapriranno. Non era mai accaduto in 62 anni. E’ saltata la centrale Antonio Guiteras, la più grande del paese. Sorge nella provincia di Matanzas, nord-ovest dell’isola e fornisce il 90 per cento dell’energia elettrica. Si pensava ad un guasto. L’ennesimo. L’impianto è obsoleto, è stato costruito con tecnologia sovietica, non è mai stato restaurato con tecnologia moderna per l’impossibilità di acquisire materiale per via dell’embargo commerciale che persiste dal 1959. Da giorni dalla centrale era in attesa di una manutenzione approfondita; aveva funzionato tutta l’estate, sebbene con continue interruzioni. L’ultima revisione era avvenuta nel 1988. Da quel momento gli investimenti si sono ridotti al minimo. Quella di Matanzas, come le altre centrali termoelettriche, sono tutte alimentate da combustibili fossili: la spina dorsale della produzione di elettricità nazionale. Si pensa all’energia alternativa, ma ci vorrà tempo. E soprattutto programmazione.
Così, la luce artificiale di Cuba dipende esclusivamente dal petrolio. Che va pagato. Se prima i paesi “amici” come il Venezuela, l’unico rimasto dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ogni settimana spedivano la loro nave carica di greggio, adesso nessuno è disposto più a fare credito. Il vero motivo di questo storico blackout è la mancanza di fondi. Non ci sono più soldi, l’economia si è fermata. Non si produce, non si vende, non si lavora. “La gente”, racconta il nostro contatto che per prudenza ci chiede di indicare solo il nome, “si sveglia la mattina e inizia a vagare per la città alla ricerca di cibo. Gli unici negozi dove puoi comprare qualcosa sono assediati dalla folla. Devi avere una carta di credito in euro o dollari che ricarichi in certe banche. Ma non è detto che trovi quello che cerchi o di cui hai bisogno. Alle 3 di pomeriggio L’Avana si svuota. Tutti si chiudono in casa. Resta il silenzio. Con il buio. Non abbiamo nulla da fare. Aspettiamo che la situazione cambi. Nessuno ci crede più”.
Il blackout ha colto di sorpresa anche il governo. Il presidente Miguel Díaz-Canel ha ordinato ai suoi uomini di informare la popolazione che non si trattava di un guasto. “Lo scenario è complesso”, hanno detto quei funzionari in modo criptico solo alle 20.30 di sera quando tutti si chiedevano quando sarebbe tornata l’elettricità. Senza tv e senza radio, il messaggio è circolato per strada dove la gente si era radunata con torce, candele e lumi ad alcol. Ci sono state le prime proteste. Blocchi stradali, qualche barricata fatta con l’immondizia. Molti urlavano, dalle finestre si batteva con i mestoli sulle pentole. La polizia è subito intervenuta. Si voleva evitare quanto è accaduto l’11 luglio del 2021. Una rivolta clamorosa, repressa con arresti e condanne durissime, fino a 20 anni di carcere. Sono prevalse rassegnazione e stanchezza. Da tempo chi poteva è fuggito. Quest’anno hanno lasciato l’isola 840 mila cubani. Un esodo imponente. Un record storico.
La luce è tornata 12 ore dopo ma solo in alcuni punti della capitale. Soprattutto negli alberghi e nei ristoranti grazie ai generatori. A quel punto è apparso in televisione il primo ministro Manuel Marrero. Ha ammesso la gravità della situazione ma ha tenuto a ribadire che il paese non “è in un abisso senza fondo”. Ha spiegato che dietro il blackout c’erano tre fattori che incidevano sul deficit di produzione di elettricità. “Paghiamo lo stato delle infrastrutture, la mancanza di carburante e l’aumento della domanda”, ha elencato. Il petrolio che arrivava da Venezuela, Messico e Russia si è ridotto al minimo. Non tanto per le sanzioni che sono tornate a colpire Caracas dopo le contrastate elezioni dell’ottobre scorso nelle quali Nicolás Maduro si è proclamato vincitore senza fornire prove convincenti sui voti ottenuti; né per quelle inflitte a Mosca per l’invasione in Ucraina. “Il problema è che non abbiamo valuta estera per importarlo”, ha ammesso Marrero.
Il presidente Canel è volato a Kazan, Russia, dove si svoleva il vertice dei Brics. Ha parlato con Putin e con Xi Jinping ai quali deve aver chiesto aiuti e soldi. Stessa cosa avrà fatto con Maduro che si è presentato all’incontro come se non fosse accaduto nulla negli ultimi due mesi in Venezuela. Ha promesso un po’ di greggio al leader cubano ma ha soprattutto chiesto di entrare a far parte del nuovo gruppo che guida il Sud globale del mondo, quello che aspira a sottrarre l’egemonia geopolitica agli Usa e all’Occidente del G7. Il rais di Caracas dovrà attendere: c’è il veto di Lula, assente dopo aver sbattuto violentemente la nuca sul bordo della vasca da bagno (trauma cranico) mentre stava tagliandosi le unghie dei piedi. Con Maduro i rapporti restano tesi: ha sempre respinto la richiesta del presidente del Brasile di fornire i dati che attestano la sua vittoria alle elezioni di fine agosto. Lula non glielo perdona. Ha fatto naufragare la mediazione che portava avanti con il colombiano Gustavo Petro nel pieno della crisi venezuelana. Lo tiene un po’ nel congelatore. Il Messico ha più possibilità di entrare. E il primo della lunga fila di attesa che raccoglie ben 22 richieste di adesione.
Il presidente cubano è tornato ad accusare, come sempre, il blocco Usa che strangola Cuba. Ma è una scusa che non convince più. “L’economia è in affanno, le piccole e medie imprese private non riescono a sopravvivere”, spiegano economisti e osservatori. “A peggiore le cose c’è stato un afflusso dalle campagne verso la città. Hanno bisogno di lavorare e vanno dove sono convinti ci sia più gente a cui vendere i loro prodotti”. Juan Carlos ci conferma che le strade, di giorno, pullulano di contadini che offrono verdure e legumi, i pochi che si sono portati dietro. “Ma senza soldi non possiamo comprare nulla”, aggiunge. “Campiamo con quello che ci comprano amici e parenti dall’estero. Oggi se vuoi mangiare qualcosa devi fartelo portare dai negozi virtuali che vendono su ordinazione”. Entri nella piattaforma, vedi le proposte, ordini, paghi e fai spedire all’indirizzo che fornisci.