Gli allenamenti con i big. Il ruolo dei mister. Gli ingaggi. Così i club lavorano per allevare giovanissimi campioni. Viaggio nei vivai di Roma e Inter

Nel centro sportivo Fulvio Bernardini di Trigoria, Bruno Conti parte dalla notizia. "Per la prima volta da quando sto qui", dice il campione del mondo dell'82 responsabile del settore giovanile della Roma dal 1993, "mi è arrivata una mail da Coverciano con un resoconto del programma seguito dai nostri ragazzi convocati in Nazionale". Lo dice con il tono di chi credeva di averle viste tutte. I supremos della divisa azzurra si degnano di comunicare con la periferia dell'impero. Dell'ex impero, sarebbe meglio dire, dopo che i barbari paraguayani, neozelandesi e slovacchi hanno fatto a pezzi le anziane legioni italiche ai Mondiali di calcio 2010.

Circa 700 chilometri più a nord, alla Pinetina di Appiano Gentile, c'è identità di vedute con i rivali giallorossi. "Prima dell'arrivo di Gianni Rivera e Arrigo Sacchi, la Federcalcio non metteva sul sito neppure i risultati delle partite giocate dalle Nazionali giovanili", dice Piero Ausilio, responsabile dei ragazzi dell'Inter fino al 2009 e ora direttore sportivo dei nerazzurri.

Il 27 settembre è sorta una nuova era. Tutti convocati a Coverciano per parlare di pulcini, esordienti, giovanissimi, allievi e Primavera. Sono i calciatori nati fra il 2002 e il 1991, quelli che dovrebbero trasformare la serie A da un campionato per vecchi (nel 2009-2010 oltre 27 anni di età media, la più alta in Europa) in un vivaio di sfrontatezza e di talento in boccio. Roma ed Inter sono pronte. Dalle loro scuole sono stati lanciati decine di calciatori. Solo qualche nome. Francesco Totti, Daniele De Rossi, Alberto Aquilani, Daniele Conti, Alessio Cerci, Daniele Corvia da Trigoria. Goran Pandev, Mario Balotelli, Robert Acquafresca, Leonardo Bonucci, Davide Santon da Interello. I due club hanno modelli diversi ma li interpretano con rispetto reciproco, a differenza dei battibecchi continui fra dirigenti e giocatori delle prime squadre.

Del resto, il settore giovanile è un sistema che, in ultima analisi, serve il professionismo ma ha le regole e le tutele dovute ai minori. Almeno in teoria. "La guerra per prendere la procura dei giovani calciatori", dice Conti, "incomincia con i tredicenni". In modo ufficioso, perché le norme federali lo vieterebbero, senza grande efficacia e con sanzioni poco applicate. Amici, parenti, avvocaticchi e agenti certificati si uniscono nella corsa all'ipotetico campione. E poi ci sono gli squali inglesi. Arrivano quando il possibile talento ha 16 anni e sta per firmare il vincolo. In quel momento, il giovane diventa un lavoratore, guadagna il minimo dello stipendio federale (quasi 2 mila netti al mese) e ha libera circolazione in Europa. A volte basta alzargli l'ingaggio e promettergli una villa nei sobborghi di Manchester. È successo con Macheda della Lazio. Con Petrucci della Roma. "Aveva già firmato il contratto per vincolarsi con noi", ricorda Conti: "Poi per quattro giorni non l'ho visto agli allenamenti. Il Manchester ci ha pagato il parametro e se l'è preso".

Le promesse romaniste di domani si chiamano Sini, Ciceretti, Amato, D'Alessandro, Scardina, Pettinari. Sono in giro per Trigoria in un pomeriggio di sole settembrino, insieme ai titolari della prima squadra come Borriello e Pizarro. I grandi si sono allenati la mattina. I più giovani di mattina vanno a scuola. Chi arriva da Roma e dal Lazio, cioè oltre l'80 per cento dei 200 e passa ragazzi inseriti nelle nove squadre giovanili giallorosse, si organizza da sé. I fuori sede sono 20. Pochi stranieri: un greco, Pechlivanopoulos, tre rumeni portati da Gica Popescu, ex Barcellona, Lecce, Galatasaray e, ahilui, anche ex spia della Securitate di Ceausescu.

I forestieri dormono a Trigoria e vanno a scuola all'Eur. Di pomeriggio, allenamento con mister Alberto De Rossi, padre di Daniele, 53 anni portati alla grande e 17 stagioni alla Roma, cioè per tutta l'era Sensi. Può darsi che sia un dettaglio marginale, ma i De Rossi boys si sentono tenuti a salutare per primi, chiunque incontrino. Quelli della Primavera si sono presentati a Trigoria il 2 agosto e hanno fatto 13 giorni di ritiro. Poi, in campo con cinque partite in sei giorni. "Io non ho rapporti né con i genitori né con i procuratori", dice mister De Rossi, "l'unico mio obiettivo è fare crescere i ragazzi fino alla prima squadra nel rispetto delle linee guida della società. È chiaro che l'aria è cambiata. Tutti giocano alla Playstation ma, alla fine, la cultura sportiva è sempre la stessa".

La Roma lavora sul territorio e sul senso di appartenenza. La maggioranza, a Trigoria, è fatta di romani e romanisti. Questo aiuta parecchio nel caso di una società che non ha soldi da investire per comprare sul mercato giovanile come fanno l'Inter, il Milan, la Juventus. I principi emotivi sono anche norme imprenditoriali. Solo il tifo spiega perché Francesco Totti non si sia mai mosso dalla Roma e perché, finora, lo stesso sia accaduto a Daniele De Rossi. "Noi non lavoriamo solo per vincere ma prepariamo i giovani per aumentare i valori patrimoniali di una società quotata in Borsa", dice il coordinatore dell'area sportiva romanista Gian Paolo Montali, argento alle Olimpiadi del 2004 sulla panchina della Nazionale di volley maschile, e consigliere di amministrazione della Juventus del post-Calciopoli per tre anni e mezzo.

Un altro prodotto del vivaio che ha avuto meno di quanto meritava, come Daniele Conti, ha invece cercato la sua strada in Sardegna. E non certo perché non fosse da Roma. "C'è stata l'occasione di riportarlo qui", dice il padre Bruno, "quando il suo contratto a Cagliari era in scadenza. Mi ha detto che non sarebbe venuto finché io lavoro a Trigoria. Lì ho capito che l'ho educato bene". Conti senior è il cardine del sistema Roma. Il suo ruolo e la sua efficacia non potrebbero essere così incisivi altrove. La sua capacità di appianare le difficoltà con le famiglie e con i procuratori è in funzione diretta del suo carisma di ex campione cresciuto andando con la merenda al sacco ad allenarsi al vecchio centro sportivo Tre Fontane. E, prima ancora, della sua famiglia di sette figli con padre muratore che si alzava alle quattro di mattina per andare a lavorare da Nettuno a Roma. Oggi invece ci sono i papà-tifosi ossessivo-compulsivi che pretendono il figlio in foto sotto la Coppa del Mondo al più presto possibile. "Le loro aspettative", dice Montali, "sono molto più alte di quelle dei ragazzi".

Eppure, accanto ai nomi che diventeranno figurine Panini, ci sono centinaia di profili che non usciranno mai dall'ombra. Quelli che alla fine del campionato, vengono chiamati per ricevere una bocciatura. "Quando non li devo confermare è il momento più brutto", dice Conti: "Spiego ai genitori che i loro figli giocherebbero e si divertirebbero di più a livello dilettantistico". I ragazzi restano delusi. I genitori, a volte, la prendono anche peggio. Qualche anno fa, a Trigoria, potevano assistere agli allenamenti. Poi litigavano fra loro in tribuna e li hanno buttati fuori. Anche con queste intemperanze, per i club il gioco vale la candela. L'introduzione del fair play finanziario fra due anni impedirà di spendere e spandere per poi coprire le perdite con un bell'aumento di capitale o un prestito infruttifero dell'azionista. Alla Roma lo fanno già da un po'.

La cosa interessante è che ha incominciato a farlo anche l'Inter, che ha pagato i suoi successi recenti con anni di bilanci disastrosi. "Dieci anni fa", dice Ausilio, "Inter, Milan e Juventus non investivano nel vivaio. Compravano direttamente sul mercato il giocatore formato. Adesso ci si è resi conto che un buon giocatore delle giovanili, anche se non è un campione, può essere usato come contropartita ed abbattere il prezzo di acquisto dei campioni. Diego Milito e Thiago Motta, presi dal Genoa per 40 milioni di valutazione complessiva, ci sono costati meno di 20 milioni in contanti".

Certo, l'Inter non è la Roma. I nerazzurri investono 5 milioni di euro nel vivaio, il doppio dei giallorossi. Per i patiti della statistica, il club di Massimo Moratti spende 1,5 milioni di euro in cartellini, 1 milione di euro in contratti dai Primavera e da alcuni degli allievi per un totale di 55 ragazzi, inclusi quelli fuori in prestito ad altre squadre. Una cifra consistente, 1,5 milioni di euro, se ne va per i costi di gestione, con le sole trasferte che valgono 600 mila euro all'anno. Quel che resta, 1 milione di euro, serve alle spese del personale. Fra allenatori, preparatori, medici, fisioterapisti, accompagnatori, osservatori, amministrativi, ci sono circa 100 persone che fanno capo al centro sportivo Giacinto Facchetti, il cosiddetto Interello, vicino all'ospedale di Niguarda. L'area è di proprietà del Comune di Milano e del consorzio Parco Nord e fino al 1988 era un istituto per l'infanzia abbandonata.

Soltanto quelli della Primavera, allenati da Fulvio Pea, vanno ad Appiano Gentile con la prima squadra, per una decisione presa ai tempi di Hector Cuper. Gli altri stanno ad Interello che, per alcuni, è diventata casa. È accaduto con Obafemi Martins, nigeriano dalla capriola facile cresciuto sui prati del Parco Nord, dove torna ogni volta che passa per l'Italia, anche se oggi gioca a Kazan, nella steppa russa. I nuovi prospetti si chiamano Tirelli, Natalino, Lussardi, Biraghi, Crisetig, Faraoni, comprato dalla Lazio, Benedetti, preso dal Torino.

La catena del talento viene alimentata poco al di sopra dell'infanzia. Sotto gli otto anni ci sono le scuole calcio del club: Piacenza, Suno (Novara), Sarnico (Bergamo) e, a Milano, Enotria e Accademia Inter. Oltre ai prodotti formati in casa, ci sono gli acquisti pesanti extra budget, come quello del brasiliano Coutinho preso dai carioca del Vasco da Gama per 5 milioni di euro quando aveva quasi 16 anni ed era già un protagonista nelle giovanili della Seleção verdeoro. Il giovane trequartista è stato individuato attraverso lo scouting internazionale, che è uno dei punti di forza dei nerazzurri e che fa capo a un uomo di 70 anni, Pierluigi Casiraghi. È solo omonimo dell'ex centravanti oggi commissario tecnico dell'Under 21. Il Casiraghi in questione ha incominciato vendendo frantoi per l'olio e oggi è il capo degli osservatori dell'Inter per i giovani. Il suo ruolo ufficiale sul sito nerazzurro è responsabile Area Ricerca & Selezione Settore Giovanile, detto in bocconiano standard.

Ma Casiraghi è tutto salvo che un bocconiano. A settembre è stato, fra l'altro, in Perù dove è andato a visionare Dio solo sa chi. Di certo lui non va a raccontarlo in giro, almeno finché l'affare si è concluso. Per essere ancora su piazza alla sua età, Casiraghi non carbura certo a euro ma a passione calcistica. Un po' come Osvaldo Bagnoli, allenatore del Verona Hellas campione d'Italia nel 1984-85, che da pensionato girava in macchina per le periferie di Milano e si fermava quando vedeva dieci ragazzini in un campetto. Il richiamo della foresta, lo chiamava l'Osvaldo della Bovisa.

Casiraghi è di quella razza. Su di lui circolano tante storie. Una riguarda Jonathan Biabiany, che quest'anno è tornato all'Inter dopo tre anni di prestito a Modena e Parma. È il 2004. Casiraghi è a Parigi. Verso la fine del giro esplorativo, gli suggeriscono di dare un'occhiata a un tipo che gioca nel Blanc-Mesnil. È una squadra dilettantistica del famigerato 93, il ghetto di Seine-Saint-Denis dove l'anno dopo scoppieranno i tumulti della banlieue. Dato che Blanc-Mesnil è di strada verso l'aeroporto, Casiraghi va a vedere. Il giocatore suggerito non lo impressiona tanto. Invece ce n'è un altro che ha stoffa. Si chiama Biabiany ed ha appena compiuto 16 anni anni. Quindi può essere vincolato. Nel parcheggio del campo del Blanc-Mesnil, il contratto viene firmato sul cofano di una macchina: 20 mila euro alla squadra francese e per il ragazzo un biglietto Parigi-Milano Malpensa. Un sogno può incominciare per caso.

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