Tutti a bordo. Decolla il low cost chiamato serie A. È un volo scomodo, ferma quasi in ogni punto della settimana e a qualunque orario. È anche lungo, piuttosto noioso e complicato da prenotare. Ma è il campionato e per chi ha la dipendenza da pallone non ci sono alternative, neppure la corazzata Potëmkin in versione fantozziana. Naturalmente, chi può se ne va. Se ne vanno i campioni, gli allenatori e gli sponsor.
Se ne vanno parte degli spettatori. Dopo tre anni di crescita seguita alla crisi post-Calciopoli, l'ultima campagna abbonamenti registrerà un 20 per cento in meno rispetto alla stagione passata, quando le presenze totali sono arrivate oltre i 9,6 milioni.
Per rilanciare l'immagine del pallone non basterà un'operazione nostalgia a base di vecchie glorie. A Coverciano, il centro sportivo della Nazionale strapazzata ai Mondiali in Sudafrica, sono sbarcati Gianni Rivera, Arrigo Sacchi e Roberto Baggio. Più giù, l'ex serie C ribattezzata Lega Pro, dove da anni non gira un euro, dove i club falliscono a raffica e i calciatori vengono stipendiati a ogni morte di papa, ha avuto una scossa dal ricostituirsi della coppia fra Zdenek Zeman e Pasquale Casillo a Foggia. Hanno vent'anni in più come i moschettieri di Dumas ma bisogna accontentarsi, anche perché tutti gli indici segnano brutto fisso.
Le sponsorizzazioni sono scese da 75 a 58 milioni. Fiorentina, Lazio e Lecce finora hanno la maglietta sgombra come negli anni Sessanta. E la voce oboli aziendali sarebbe andata molto peggio senza i 12 milioni elargiti dalla Emirates al Milan e senza la proliferazione delle varie case di scommesse (Iziplay-Genoa, Eurobet-Palermo, BetClic-Juventus, Merkur Win-Chievo e Bigpoker-Bologna).
Inter (Pirelli) e Sampdoria (Erg) hanno in pratica uno sponsor in house. Prezzi stracciati per le neopromosse. A Nerio Alessandri di Technogym sono bastati 700 mila euro per l'affissione sulle maglie del Cesena. Ubi Banca ne mette 600 mila per il Brescia. Sono prezzi che, solo qualche anno fa, bastavano sì e no in terza serie.
Il calciomercato precipita, con scambi di poco superiori ai 200 milioni contro i 464 milioni del 2009-2010. Esclusa l'operazione Ibrahimovic, il Milan ha fatto una campagna acquisti patetica. Marina e Piersilvio Berlusconi hanno tagliato i fondi e Adriano Galliani si è dovuto adeguare. A Milanello si trattano soltanto svincolati, semisconosciuti e divorziati in prestito. La Roma della proprietaria uscente Rosella Sensi ha fatto uno sforzo umanitario prendendo Adriano dal Flamengo. Nell'Inter campione d'Europa, il brasiliano Maicon (29 anni) forse resta. L'italiano Mario Balotelli (20 anni) se n'è già andato a Manchester. L'unico a spendere è stato Enrico Preziosi, irpino con base a Milano e squadra in Riviera. Grazie all'invasione dei Gormiti, il Genoa ha potuto acquistare stelle del calibro di Rafinha, Zuculini e Ranocchia. Alla Juventus, dove debutta la gestione di Andrea Agnelli, non sono riusciti a vendere Felipe Melo e Diego, i due presunti gioielli da 50 milioni ingaggiati l'anno scorso. In compenso, hanno preso Krasic, il serbo che ricorda Pavel Nedved. A giudicare dal Mondiale africano, la criniera platinata è l'unico punto in comune fra i due.
Grazie a questa politica di parziale austerità, i debiti dei club dovrebbero scostarsi di poco dagli attuali 2 miliardi complessivi, una vera miseria rispetto ai fasti della Premiership inglese (4 miliardi di indebitamento). A meno che i ricavi non si rimettano a scendere.
Una minaccia per gli incassi da botteghino viene dalla tessera del tifoso, uno dei punti qualificanti della politica dell'esecutivo. Lanciata un anno fa con una direttiva del ministro dell'Interno Roberto Maroni, debutta sabato 28 agosto con Udinese-Genoa, l'anticipo delle 18. La tessera è obbligatoria se ci si abbona e se si vuole essere certi di potere seguire la propria squadra in trasferta. Se ci si abbona, è gratis. Se no, costa 10 euro. Però, si hanno sconti del 15 per cento sui treni Fs che eventualmente si intenda sfasciare e riduzioni del 10 percento alla cassa degli Autogrill, oltre alla refurtiva del saccheggio. Distruzioni e furti avvenuti nella trasferta a Milano dei romanisti per la Supercoppa del 21 agosto dovrebbero diventare un ricordo. Ma la contromossa degli ultras alla schedatura del Viminale è già pronta. Domenica 29 agosto all'Artemio Franchi di Firenze si presenteranno ai cancelli centinaia di tifosi napoletani con la loro card made in Forcella, veramente falsa. Le forze dell'ordine fiorentine si sono dette pronte a fronteggiare l'emergenza, ma sui successi nella lotta al tarocco in zona stadio c'è una cabala sfavorevole. Basta farsi un giro fra le bancarelle prima delle partite. Trovare un prodotto di merchandising originale è facile come comprare un panino alla porchetta allo stadio di Teheran.
A proposito di stadi, la questione del rinnovamento degli impianti resta al centro del dibattito. Tutti la indicano come la panacea che risolleverà i conti dei club. L'insistenza sul progetto è inversamente proporzionale alle sue possibilità di realizzazione. La legge bipartisan Butti-Lolli non riesce, da quasi due anni, a superare l'approvazione della Camera. Il resto, cioè finanziamenti, siti di costruzione, autorizzazioni degli enti locali, è ancora più incerto.
Del resto, il calcio è un tale disastro oggi che è inutile pensare ai rischi prossimi venturi. Il primo è il fair play finanziario lanciato dal numero uno della federcalcio europea (Uefa) Michel Platini. Da qui a due anni le nuove regole impediranno ai tycoon del pallone, da Florentino Pérez a Massimo Moratti a Roman Abramovich, di perdere soldi a rotta di collo per poi ripianare le perdite di bilancio con aumenti di capitale o finanziamenti a fondo perduto. Per ristabilire un minimo di equità sportiva, i presidenti miliardari dovranno presentare una contabilità in equilibrio fra entrate e uscite. Sarà questa, molto più degli impraticabili tetti salariali di cui parlava già Sergio Cragnotti dieci anni fa, la soluzione per calmierare il caro-stipendi.
La seconda cambiale a scadenza è più insidiosa, perché nessuno l'ha messa in conto. Il calcio italiano vive di diritti televisivi. Fra il 2009 e il 2010 si è conclusa la vendita, curata dall'advisor Infront Italia, dei campionati 2010-2011 e 2011-2012.
L'ultimo colpo di coda è stato il ricorso anti-Sky presentato da parte di Conto Tv e respinto nello scorso mese di maggio. L'ipotesi che la piccola piattaforma televisiva di Marco Crispino vincesse ha terrorizzato tutto l'ambiente. A pericolo scampato, il sistema può festeggiare con un assegno complessivo di 930 milioni di euro per la stagione appena iniziata e di 965 per la prossima. Niente a che vedere con il miliardo e duecento milioni che alcuni presidenti sognavano ma sensibilmente meglio degli 820 milioni di euro incassati nel 2009-2010. Tutto bene quindi? Al tempo.
I principali contribuenti a questo piatto da 1,9 miliardi di euro nel biennio sono Sky con 1,15 miliardi di euro e Rti-Mediaset con 435 milioni di euro. I due network sono gli arcinemici del settore. Questa è una buona notizia per i club perché una vera concorrenza alza i prezzi dell'offerta. Ma è anche una brutta notizia perché una vera concorrenza abbatte i prezzi degli abbonamenti. Mediaset Premium ha proposto Il calcio criptato in Dt a circa 20 euro mensili per togliere clienti al satellitare di Sky Italia. Di conseguenza, il marketing di Rupert Murdoch è stato costretto ad abbassare le sue offerte promozionali. Insomma, le tv hanno pagato di più un prodotto che devono vendere a meno.
Gli effetti sul conto economico non saranno positivi. Con meno margini di guadagno per i broadcaster, la prossima asta per i diritti non sarà una festa per i presidenti del calcio low cost.